La visita del Pontefice
Papa Francesco e il giubileo a Rebibbia: “Non buttate le chiavi, aprite le porte”
I nostri “cuori chiusi, quelli duri”, che “non aiutano a vivere”, al contrario, alimentano sfiducia reciproca e, alla lunga, disperazione.
Giustizia - di Stefano Anastasia
“È un bel gesto quello di spalancare, aprire: aprire le porte” dice Papa Francesco davanti alle detenute e ai detenuti, agli operatori e alle autorità intervenute all’apertura della seconda Porta Santa dell’anno giubilare, nel carcere romano di Rebibbia nuovo complesso. Nelle parole del Papa, “aprire le porte” significa aprire i cuori alla speranza: “I cuori chiusi, quelli duri, non aiutano a vivere. Per questo, la grazia di un Giubileo è spalancare, aprire e, soprattutto, aprire i cuori alla speranza”.
Non ci sono chiavi da buttare nella Chiesa del Pontefice che ha cancellato l’ammissibilità della pena di morte dalla dottrina ecclesiastica e che ha detto che “l’ergastolo non è la soluzione dei problemi, ma un problema da risolvere”. Non ci sono chiavi da buttare nell’insegnamento di Bergoglio perché la persona non è il suo reato. L’apertura della Porta Santa a Rebibbia, all’indomani di quella aperta in San Pietro, ha un significato particolare, di vicinanza alla sofferenza umana che si consuma dietro quelle mura tutti i giorni, la sofferenza delle persone detenute, cui si aggiungono quella dei familiari e la frustrazione degli operatori. Di fonte a questa sofferenza, Francesco si rivolge ai detenuti e al mondo di fuori. “La speranza non delude”, dice Bergoglio – citando la lettera di San Paolo ai Romani e chiosando assertivamente: “Mai!”.
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“Nei momenti brutti uno pensa che tutto è finito, che non si risolve niente. Ma la speranza non delude mai” aggiunge il Papa, rivolgendosi alle donne e agli uomini detenuti che gli sono davanti, invitandoli ad aggrapparvisi come alla fune che lega l’ancora alla terra. In pochi luoghi come il carcere è necessario il messaggio di speranza del Giubileo, tanto più in questo Paese in cui la disperazione ha portato a livelli intollerabili il numero dei suicidi tentati o consumati in carcere e tra i poliziotti penitenziari. Ma il messaggio di speranza del Pontefice è rivolto anche al mondo di fuori: aprendo i cuori alla speranza anche noi, la cosiddetta “società civile”, possiamo cercare una giustizia che non si rinsecchisca nella riproduzione per equivalente della sofferenza che riteniamo di aver subito, ma si apra invece alle possibilità di un mondo nuovo e di una giustizia sociale fondata sulla eguale dignità degli esseri umani. I nostri “cuori chiusi, quelli duri”, che “non aiutano a vivere”, al contrario, alimentano sfiducia reciproca e, alla lunga, disperazione.
Bisogna prenderlo sul serio, questo messaggio giubilare e adoperarsi per una politica che sia all’altezza della domanda di giustizia che esso muove, una domanda di pace e di convivenza, tra i popoli e le generazioni, attraversati da inaudite sofferenze, nelle guerre e nelle minacce al futuro del pianeta. Nel nostro piccolo, in quel fondo di bottiglia in cui si depositano gli scarti delle società ineguali, bisogna rovesciare l’abitudine di scambiare la domanda di giustizia con quella dell’inflizione di una sofferenza in capo a un capro espiatorio. Progetto di tempi lunghi, per una politica dallo sguardo lungo.
Intanto, però, come scrive Francesco nella bolla di indizione del Giubileo, siamo chiamati a “essere segni tangibili di speranza per tanti fratelli e sorelle che vivono in condizioni di disagio”, a partire dai detenuti che, “privi della libertà, sperimentano ogni giorno, oltre alla durezza della reclusione, il vuoto affettivo, le restrizioni imposte e, in non pochi casi, la mancanza di rispetto”. Per questo Francesco propone ai governi che nell’anno del Giubileo “si assumano iniziative che restituiscano speranza; forme di amnistia o di condono della pena volte ad aiutare le persone a recuperare fiducia in sé stesse e nella società; percorsi di reinserimento nella comunità a cui corrisponda un concreto impegno nell’osservanza delle leggi”. È questa l’urgenza di oggi, in Italia più che altrove.