La rubrica Sottosopra

Anno nuovo, vecchi parametri: l’inganno della crescita infinita separata dalle sue lordure

L’Onu è da tempo corsa ai ripari, istituendo l’Isu (Indice di sviluppo umano) che, oltre al Pil pro capite, tiene conto dell’alfabetizzazione, della speranza di vita delle persone ecc, secondo parametri multidimensionali nell’insieme più attendibili. Ma è sufficiente?

Editoriali - di Mario Capanna

29 Dicembre 2024 alle 13:50

Condividi l'articolo

Photo credits: Scarpiello Imagoeconomica
Photo credits: Scarpiello Imagoeconomica

Ho deciso di essere felice perché fa bene alla mia salute.
(Voltaire)

Il clima delle feste forse ci permette di trattare con qualche levità questioni complesse che emergono dalle brutture del mondo, a cominciare dalle guerre. Il rilassamento dei giorni di quiete, che predispone gli animi alla morbidezza nei confronti del prossimo, ci aiuta a guardare le cose in modo meno assillante, con pacatezza più distesa.

D’altra parte non sarà casuale che, appena prima di Natale, c’è stato il solstizio d’inverno: il vecchio anno, finendo, regala al nuovo, ogni giorno, uno spicchio di luce in più, come una cortesia beneaugurante, un lascito positivo che durerà, crescendo, fino all’inizio dell’estate. Ce ne accorgiamo poco con gli occhi, ma con l’animo sì.
La crescita, dunque. La riteniamo preziosa e assolutamente indispensabile. Se veniamo a sapere che in Italia, nel 2025, lo sviluppo economico aumenterà appena dello 0,5-1%, ci pervade una sottile angoscia, come se l’“azienda” nazionale stia incespicando, anziché avanzare con gagliarda velocità.

Sappiamo che in natura tutti i viventi crescono fino a un certo punto, poi lo sviluppo si arresta e muoiono. Ma ce ne dimentichiamo rapidamente. Troviamo dunque “naturale” che la crescita economica sia indefinita – infinita – pure entro un sistema finito. Rimuoviamo la contraddizione, che riteniamo inammissibile, se non per considerarla una pausa (deleteria) transitoria in un percorso destinato prima o poi a riprendere vigore. Non a caso ci siamo dotati del Pil. Il Prodotto interno lordo misura il risultato complessivo dell’attività produttiva dei residenti di un Paese in un periodo dato. Paradigma assolutamente parziale e impreciso pure sul piano strettamente economico: l’aggettivo “interno” sta a significare che sono calcolate le attività svolte dentro il Paese, con esclusione dei servizi e beni prodotti dagli operatori nazionali all’estero.

Inoltre: il termine “prodotto” si riferisce a servizi e beni dentro un processo di scambio, e quindi esclude dal calcolo le prestazioni a titolo gratuito, ad esempio l’autoconsumo e il prezioso, immenso lavoro del volontariato. Sicché, a… conti fatti, il Pil è più una misura… spannometrica… che un parametro di calcolo realmente attendibile. Ma tant’è: per molto tempo abbiamo ritenuto il Pil come il riferimento certo della valutazione economica. C’è voluto, da noi, un economista sottile e disincantato come Giorgio Ruffolo per smontare ironicamente il Pil, ribattezzandolo Lip (Lordura interna prodotta). È infatti un autoinganno, fra i più pericolosi, quello di separare la “crescita” (lo “sviluppo”) dai suoi effetti drammaticamente negativi, come ad esempio l’inquinamento atmosferico generatore dei mutamenti climatici e delle catastrofi umane e ambientali da essi prodotte.

Se poi si considera che circa la metà dell’umanità vive nelle metropoli – ovvero in ambienti caratterizzati da alti tassi di avvelenamento dell’aria, di inquinamento acustico e luminoso, di condizioni igienico-sanitarie inaccettabili nelle periferie degradate ecc – si dovrà convenire che il calcolo della Lip costituisce un parametro molto più attendibile… dell’aereo… Pil. L’Onu è da tempo corsa ai ripari, istituendo l’Isu (Indice di sviluppo umano) che, oltre al Pil pro capite, tiene conto dell’alfabetizzazione, della speranza di vita delle persone ecc, secondo parametri multidimensionali nell’insieme più attendibili. Ma è sufficiente?

Ora: non è solo per via della tranquillità favorita dalle feste, ma anche perché dobbiamo liberarci dai gravami ansiogeni indotti in noi dalle brutture del mondo, è necessario orientarsi a considerare l’autentico paradigma che può misurare davvero la sostanza del progresso umano: la Fil (Felicità interna libera – più che “lorda”).
Si obietterà: ma è mai possibile “misurare” il grado di felicità di un singolo, di un popolo, dei popoli? E perché no? È molto più semplice di quanto si pensi. Basta rispondere alla percezione che scaturisce dall’esperienza personale di ciascuno di noi: si è felici quando si ha un buon rapporto con noi stessi. Ma, poiché si vive in contatto con gli altri, per avere un buon rapporto con se stessi è necessario avere un rapporto buono con il prossimo, e con il circostante.

Affinché ci siano queste condizioni, ci deve essere una libertà piena, per sé e per gli altri. Vale a dire: libertà dal bisogno (autosufficienza di sostentamento), libertà di apprendimento e di azione, in una situazione di pace durevole – e dunque di assenza totale di guerra – di democrazia autentica (non solo formale), di spirito critico, di autodeterminazione. Misurare questi parametri significa tenere conto dei modi e delle condizioni che sono alla base di una vita realmente degna di essere vissuta con gioia, o almeno serenamente.

La Fil, ben al di là del Pil e anche dell’Isu, ci farebbe conoscere il grado di progresso effettivo di un popolo, dei popoli della Terra. E ci segnalerebbe, di volta in volta, i miglioramenti da compiere, i progressi da realizzare. Un orizzonte incoraggiante, per costruire davvero, insieme, il futuro umano.

29 Dicembre 2024

Condividi l'articolo