Il portavoce di Amnesty Italia
Intervista a Riccardo Noury: “Così il genocidio di Gaza ci sta abituando all’orrore”
Il portavoce di Amnesty international: “È questo il primo effetto del decreto sicurezza in Italia su un migrante appena arrivato”. “La Turchia, il nuovo padrone della Siria, lascerà in pace i curdi?”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
Riccardo Noury è il portavoce di Amnesty International Italia.
Qual è la sfida del 2025 in mondo che in gran parte i diritti umani li calpesta?
C’è una data che dovremmo tenere presente non solo per ricordare cosa è stato, ma anche cosa torna a succedere: l’11 luglio sarà il trentesimo anniversario del genocidio di Srebrenica. Avvenuto in Bosnia, nella nostra Europa. Il genocidio più veloce della storia, compiuto in sì e no una settimana, da parte della soldataglia serbo-bosniaca ai danni di oltre 10.000 uomini, anche ragazzini, musulmani. Srebrenica era stata dichiarata “zona protetta” da una risoluzione delle Nazioni Unite. E c’è stato un genocidio. Non c’è esempio peggiore, nella storia recente, del cinismo e della doppiezza dell’uso di parole come “protezione” e “diritti umani”. Quando penso al periodo attuale, il paragone con quel decennio maledetto, gli anni Novanta dello scorso secolo, pieno di guerre e di genocidi (quello del Ruanda avvenne solo 15 mesi prima di quello di Srebrenica) viene naturale. Lo stesso orrore, la stessa incapacità di porvi fine. Eppure, allora nacque la giustizia internazionale, dapprima coi suoi due tribunali speciali sul Ruanda e sull’ex Jugoslavia, poi con la Corte penale internazionale. Anche oggi, se c’è una speranza di contrastare i peggiori crimini di diritto internazionale e di punirne i responsabili, guardiamo alla giustizia internazionale e contiamo sull’indomito attivismo di coloro che ne sollecitano il funzionamento.
Il 2024 si è chiuso con la caduta in Siria del regime di Bashar al-Assad, che definire sanguinario è un eufemismo
Un mese fa la Siria ha avuto il suo 25 aprile senza sapere bene cosa sarebbe accaduto il 26 o il 27. Ma ha fatto bene a festeggiare la fine di un regime dinastico, quello degli Assad padre e figlio, che insieme hanno totalizzato 54 anni di orrori. Per far conoscere a 100.000 famiglie la sorte dei loro cari scomparsi dal 2011 e per incriminare, processare e condannare gli autori di crimini efferati e continuati nel tempo, occorre mettere in sicurezza le fosse comuni, conservare ogni prova documentale come i registri delle carceri: esattamente quello che inizialmente non si è fatto. Occorre che i tribunali europei utilizzino lo strumento della giurisdizione universale per arrestare eventuali funzionari di Assad fiduciosi che una richiesta d’asilo da noi costituirà uno stratagemma verso l’impunità. Un’altra preoccupazione ha a che vedere col nuovo “padrone” del paese: al posto dell’Iran e della Russia, ora c’è la Turchia. Questa preoccupazione riguarda il futuro dei curdi di Siria. Sarebbe bello se la Storia ogni tanto smentisse sé stessa e se, questa volta, non fossero loro a pagare il conto più alto. Insieme alle donne.
A Gaza continua la mattanza di bambini. E il mondo sta a guardare.
Sta a guardare un genocidio in atto, come Amnesty International e Human Rights Watch hanno definito, un mese fa, quanto sta accadendo da 15 mesi nella Striscia di Gaza occupata. Chi non solo guarda ma continua a mandare all’esercito israeliano gli strumenti principali del genocidio, ossia le armi, di quel genocidio si rende complice. Fa spavento questa abitudine all’orrore, l’idea che sia normale che dei neonati muoiano di freddo in un luogo reso intenzionalmente inadatto alla vita umana. Così come fa spavento che quei bambini e quelle bambine siano considerati “vittime collaterali” di una campagna militare e, forse ancora di più, che parte della nostra stampa consideri le loro morti “notizie collaterali”.
Nessuno parla di quel che accade in Sudan.
Non si dovrebbero mai fare paragoni o classifiche tra popolazioni che stanno subendo gli effetti di spaventose crisi umanitarie: è un macabro e cinico rituale contabile. Il paragone tra crisi umanitarie al centro dell’attenzione e dimenticate, invece, è un dovere farlo perché chiama in causa le responsabilità della politica internazionale e anche dei mezzi d’informazione, il cui compito spesso si riduce a raccontare cosa fa la prima. Possiamo concludere quindi che nel 2024, a differenza di quella dell’Ucraina e di quella della Striscia di Gaza, la crisi umanitaria in Sudan è stata pressoché ignorata, con poche eccezioni. Eppure, quella crisi, originata dal conflitto esploso nell’aprile 2023 tra esercito e paramilitari (gli eredi dei predoni a cavallo che devastarono il Darfur all’inizio del secolo) è tutto meno che locale. A favore dell’una o dell’altra parte sono schierati attori regionali e persino Russia e Ucraina. All’una o all’altra parte arrivano strumenti di morte anche per fare stragi in Darfur dove dovrebbe essere rispettata una risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite sull’embargo alle armi, che Amnesty International chiede per ora invano sia non solo fatta rispettare ma anche ampliata al resto del Sudan.
Quando si parla dei diritti umani non fatti rispettare, si mette in evidenza l’impotenza degli organismi internazionali che a questo sarebbero preposti. Ma non c’è anche un atteggiamento colpevole dei singoli Stati dato che negli accordi bilaterali che sottoscrivono – vedi l’Italia con la Tunisia o l’Unione europea con la Turchia – il rispetto dei diritti umani non è contemplato o è assolutamente irrilevante?
Da chi sono composti gli organismi internazionali se non dagli Stati che ne fanno parte? E che dunque, coi loro doppi standard, ne influenzano l’azione o ne provocano la paralisi? Quei singoli stati portano avanti le loro politiche nazionali che, a volte, come nel caso dell’Unione europea per quanto riguarda asilo e immigrazione, diventano politiche regionali. C’è persino un paradosso: quando il mondo è d’accordo o quasi su qualcosa, poi si comporta al contrario. L’esempio? A dicembre oltre 130 stati membri delle Nazioni Unite hanno votato a favore di una moratoria sulle esecuzioni di condanne a morte. Eppure, i mondiali di calcio del 2034 si svolgeranno in Arabia Saudita, dove lo scorso anno sono state impiccate oltre 300 persone (per inciso, in Iran sono state circa un migliaio: la supremazia regionale tra i due stati pare passi anche per questi macabri record). Obietterai: che c’entra lo sport? La risposta è che l’uomo forte di Riad, il principe della corona Mohamed bin Salman, con l’organizzazione di eventi sportivi (come la Supercoppa italiana appena terminata) ha conquistato il consenso politico del mondo. Anche di quella parte del mondo che vota no alla pena di morte.
Che c’è da aspettarsi dalla seconda presidenza Trump dal punto di vista dei diritti umani?
Intanto c’è da aspettarsi ancora qualcosa dalla fine della presidenza Biden e mi auguro che i suoi imminenti incontri romani (con Papa Francesco in particolare) producano qualcosa. Ha graziato 37 condannati alla pena capitale federale che Trump avrebbe voluto veder morti molto presto. Ma sono rimasti fuori dal provvedimento altri sette prigionieri nei bracci della morte: tre civili e quattro militari. Perché non completa l’opera? Tra pochi giorni, l’11 gennaio, il simbolo delle violazioni dei diritti umani dei primi due decenni del secolo, il centro di detenzione di Guantanamo, entrerà nel suo ventitreesimo anno di attività. Perché non trasferire nelle carceri federali, con garanzie di un giusto processo, quella ventina di detenuti che ancora sta lì a marcire senza un procedimento giudiziario in vista? Infine: che aspetta il presidente Biden a dare la grazia a Leonard Peltier, il nativo-americano ottantenne e gravemente ammalato che da quasi mezzo secolo sta scontando un doppio ergastolo comminatogli al termine di un’indagine e di un processo che hanno lasciato enormi dubbi sulla sua effettiva colpevolezza nell’omicidio di due agenti dell’Fbi, nel lontano 1975? Su Trump dico questo: nel primo mandato ha dato vita a politiche e azioni segnate da pregiudizio, xenofobia e retorica suprematista bianca e ha causato enormi violazioni dei diritti umani. Il secondo mandato dovrà essere differente. In caso contrario, saranno grossi problemi per chi vive tanto negli Usa quanto in luoghi in cui l’azione o la mancanza d’azione della Casa Bianca favoriscono crimini di diritto internazionale: come la Striscia di Gaza.
Tra i più indifesi tra gli indifesi sono i migranti. Il 2025 si è aperto con altre stragi in mare, si moltiplicano i respingimenti.
Tutto fa pensare, purtroppo, che quelle stragi in mare e quei respingimenti si ripeteranno come l’anno scorso. A colpi di provvedimenti amministrativi e di assegnazione di porti lontani, le organizzazioni non governative di ricerca e soccorso in mare sono state costrette a lasciare in larga parte sguarnita la rotta mortale del Mediterraneo centrale. Gli asset governativi destinati al soccorso in mare non possono sostituire la loro azione. I percorsi legali e sicuri promossi dalle chiese italiane sono insufficienti e non certo per colpa di queste ultime. Chi sopravviverà ai respingimenti e verrà salvato, approderà in un paese dalle leggi e dalle prassi sempre più ostili. Se passerà il “decreto sicurezza”, non potrà neanche acquistare una scheda sim per telefonare a casa e dire semplicemente “Sono ancora vivo”.