Si è spento a 96 anni
Chi era Jean-Marie Le Pen, il capo della Francia fascista e avanguardia del populismo europeo di destra
Violento, razzista, xenofobo e antisemita, considerava le camere a gas “un dettaglio della storia”. Quando nell’88 prese il 14% alle presidenziali, nessuno si allarmò. E invece era stato gettato il seme del populismo di destra che oggi sta dilagando in Europa e negli Stati Uniti
Editoriali - di Pietro Folena
Quando, nel 1988, Jean-Marie Le Pen ottenne al primo turno delle elezioni presidenziali francesi il 14,38% dei voti, in pochi volevano credere all’esplosione di un nuovo fenomeno di estrema destra nel paese della Rivoluzione Francese, dei diritti e di un contributo fondamentale alla sconfitta, alla fine della seconda guerra mondiale, del nazifascismo.
Le Pen, con una storia familiare semplice – figlio di un pescatore e di una sarta di famiglia contadina – era espressione della subcultura reazionaria presente nel sud della Bretagna e nella costa atlantica, discendente dello spirito vandeano, conservatore e antirivoluzionario. E, come successe a tanti giovani dopo la seconda guerra mondiale, il giovane Le Pen si infiammò di uno spirito ultranazionalista e colonialista, entrando nella famigerata Legione Straniera, combattendo in Indocina e in Algeria. La scelta di Charles De Gaulle, nominato Primo Ministro nella IV Repubblica, di riconoscere il 3 luglio 1962 l’indipendenza della nuova grande nazione maghrebina, fu vista da una parte della Francia come un tradimento.
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Le Pen, in quegli anni, diventò protagonista di diversi tentativi di dar vita ad una destra apertamente razzista, antisemita, nostalgica del nazifascismo, prima di tutto col movimento qualunquista e populista di estrema destra fondato da Pierre Poujade. La Francia, del resto, non ha mai fatto tutti i conti con le sue responsabilità nella vicenda nazifascista. Il regime del maresciallo Philippe Petain, e il collaborazionismo della polizia francese coi nazisti, sono una pagina ancora troppo poco studiata di quei drammatici anni. Dopo una partecipazione al gruppo neofascista Ordre Nouveau – cugino dell’italiano Ordine Nuovo – nel 1972 Le Pen fondò il Front National. Si può considerare che la nascita del FN, e in qualche modo la presenza parlamentare del Movimento Sociale Italiano, collegato a gruppi armati e stragisti, e favorito in chiave anticomunista dai servizi segreti, siano stati l’inizio di una storia nuova della destra radicale che, cinquant’anni dopo, è oggi al Governo, o rischia di andare al Governo, in molta parte dell’Europa.
Le Pen ha cominciato a operare, nelle città operaie e nelle cinture metropolitane, come nella Francia profonda delle campagne, facendo della lotta contro l’immigrazione, e contro gli stranieri la propria identità genetica. Tutta la costruzione ideologica di questo apparato di idee si è condita di un’esaltazione della storia francese puntata su un’interpretazione reazionaria di Giovanna d’Arco, e sull’uso della forza militare contro gli stranieri. In qualche modo, la sorpresa di quel primo voto così largo nel 1988 – sottovalutata a sinistra e fra le forze democratiche – è avvenuta in parallelo con l’affermazione, su basi antimeridionali e xenofobe, della Lega Nord in Italia alla fine degli anni ‘80.
Questo primo successo, temperato, ma non rientrato, negli anni 90 da una fase di crescita della globalizzazione capitalista e dal forte sentimento di disciplina repubblicana e antifascista della grande maggioranza dei francesi, è riesploso all’inizio del millennio, quando col 16,86% Le Pen andò al ballottaggio delle presidenziali contro Jacques Chirac, erede di De Gaulle e di Georges Pompidou. Ricordo come, senza dubbi né mal di pancia, anch’io votai per Chirac. Al ballottaggio Le Pen superò di poco il 17%. Negli anni successivi le sue dichiarazioni benevole sull’occupazione nazista della Francia e sulle camere a gas (“un dettaglio della storia”, dichiarò) furono oggetto di processi e di condanne.
La vicenda successiva, con una saga familiare da serie di Netflix, che portò la figlia Marine Le Pen alla guida del FN, poi trasformato in Rassemblement National, per darsi una parvenza di legittimità distinta dalle posizioni filonazifasciste del padre, espulso dal partito, diventa poi storia dei nostri giorni. La nipote prediletta Marion Maréchal Le Pen ha tentato di prendere in mano la bandiera del nonno, fino all’appoggio del nuovo partito di Eric Zemmour, Reconquete, salvo poi rientrare nelle file del RN. Le Pen, invecchiato, è stato poi messo in tutela giudiziaria dalla famiglia, fino alla sua morte.
Ma non si può nascondere, ora che è scomparso il vecchio capo dei fascisti francesi, che i suoi eredi si sono distinti da lui per gli eccessi verbali, e per quanto di troppo nostalgico c’era nella sua impostazione, ma non del cuore del suo pensiero e della sua azione: il rifiuto di una visione aperta del mondo, il rigetto di un’Europa federale, un nazionalismo esasperato, un linguaggio violento e, soprattutto, l’odio per gli immigrati e per altre culture e religioni, diverse da quella cattolica. Le Pen ha generato il nuovo populismo francese. E, trent’anni dopo i suoi parziali successi, si vede come questa ideologia sia diventata dilagante, dalla Francia, in tutta l’Europa. Il RN non ha mai reciso la sua radice più profonda, esattamente come ha fatto – in forme più temperate – Giorgia Meloni con Fratelli d’Italia, che nel suo simbolo reca ancora la vecchia fiamma del MSI e di Giorgio Almirante.
Sono le dichiarazioni di queste ore dei leaders del RN, del resto, a confermare questa tesi. “Per il RN, Le Pen resterà colui che nelle tempeste ha saputo tenere in mano la piccola fiamma vacillante della nazione francese”, ha dichiaro ufficialmente il partito. E ancora: “un immenso patriota” (Sebastien Chenu, vicepresidente del RN), “un tribuno del Popolo (Jordan Bardella, presidente del RN), “uomo di coraggio, di intuizioni potenti e di patriottismo sincero (Eric Ciotti, già capo dei gollisti francesi). Del resto, come avevamo avuto modo di scrivere su queste pagine, la risposta fragile di un Presidente ormai politicamente finito, come Emmanuel Macron, con la formazione del governicchio di François Bayrou, mette nuovo vento nelle vele del populismo francese.
Ora sono stati sdoganati tutti i tabù usciti dalla seconda guerra mondiale. Si è dissolta la memoria di quel conflitto, dei genocidi che ha conosciuto, della shoah e della persecuzione etnica sotto ogni forma. Xenofobia, razzismo, antisemitismo, omofobia, nuovo maschilismo patriarcale, bellicismo ad oltranza – e potremmo continuare – appartengono non solo al linguaggio di piccole minoranze, ma vengono quotidianamente veicolati in televisione, sui social, nella comunicazione. La guerra è entrata nella vita quotidiana, e la parola pace viene dipinta come un cedimento. Questa ideologia impregna una parte delle società occidentali, a partire dagli strati più emarginati, più impauriti dalla crisi – lasciati soli dal venir meno di una sinistra popolare e combattiva – che si illudono di potersi difendere meglio nel mondo di oggi costruendo muri fisici e morali.
In queste ore il capo dell’estrema destra austriaca, intrisa di nostalgia nazista, ha l’incarico di formare il Governo. In Germania con apprensione si attendono le elezioni, e parte dei conservatori e dei moderati – così come in Austria – ipotizza alleanze con l’estrema destra. Lo scenario dei paesi dell’Europa orientale, salvo poche eccezioni, da anni va nella stessa direzione. E, dopo la vittoria di Donald Trump e la nomina di Elon Musk, l’attacco a quello che resta, anche in forme sbiadite, come in Gran Bretagna, delle forze democratiche e di sinistra assume toni sinistri. Solo una strada diversa da quella perseguita dal campo democratico e progressista negli ultimi anni può fermare la strada a quest’onda potente.
C’è bisogno, come non mai, di idee forti, di pensieri lunghi, di una critica all’assetto sociale odierno radicale. C’è bisogno di un pensiero rivoluzionario: fatto di nonviolenza, non di armi, ma rivoluzionario. Una nuova idea di società e di convivenza, nell’era digitale, del controllo e della manipolazione dei dati. Il sonno della ragione genera mostri, come nell’opera di Francisco Goya e negli scritti di Immanuel Kant. Jean-Marie Le Pen ha generato il populismo di oggi. So che la ragione serve, ma non basta. Occorre anche la volontà.