Il rientro in Italia della reporter

Come è stata liberata Cecilia Sala: il bel colpo di Meloni, successo completo sull’asse con Trump

Il successo della premier non è circoscritto al caso Sala e alla politica interna. Meloni ha adoperato la circostanza per occupare la postazione alla quale mira sin dal giorno dell’elezione di Trump: l’unica considerata vicina e affidabile tanto dalla Casa Bianca quanto da palazzo Berlaymont

Politica - di David Romoli

9 Gennaio 2025 alle 07:00 - Ultimo agg. 10:01

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Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

La standing ovation al Senato, i ringraziamenti al governo di Elly Schlein e poi, uno dopo l’altro di tutti i leader dell’opposizione, il tripudio giustificato della maggioranza: nessuna discussione, stavolta il successo di Giorgia Meloni è completo. Cecilia Sala è stata liberata ed è uscita dal carcere in anticipo anche sulle più rosee aspettative. Palazzo Chigi dà la notizia con una certa sobrietà, come usa quando una notizia non ha bisogno di essere spinta e pompata per lievitare: “È decollato pochi minuti fa da Teheran l’aereo che riporta a casa Cecilia Sala. Il presidente del Consiglio ha informato personalmente i genitori”.

La tempistica accelerata è stata dettata da Donald Trump nell’incontro di Mar-a-Lago che ha sbloccato la situazione, tanto che dopo quell’incontro la giornalista italiana era stata tolta dall’isolamento e spostata in una cella a due e le era stato permesso di leggere un libro. La condizione di Trump per garantire il suo silenzio/assenso alla scarcerazione dell’ingegnere iraniano Abedini in cambio della liberazione della giornalista era che tutto venisse fatto con Biden ancora presidente. Dunque nella finestra temporale che arriva al 20 gennaio. Magari la decisione non è cortese nei confronti del presidente uscente, a cui la leader italiana deve molto, avendola non solo sdoganata ma santificata. Poco male: altro non si può fare.

La premier corre a Ciampino per accogliere la rimpatriata con il ministro degli Esteri Tajani, con il quale tutti si complimentano a partire dal padre della giornalista, sua vecchia conoscenza, ma che tutti sanno essere stato invece completamente tagliato fuori dalle trattative. Con loro c’è anche il sindaco di Roma ma sull’aereo, arrivato qualche ora prima nella capitale dell’Iran per scortare la giornalista liberata c’è il direttore dell’Aise Giovanni Caravelli. La direttrice dimissionaria, peraltro, ha di molto addolcito la pillola in una chiacchierata con la vicedirettrice del Corriere della Sera Fiorenza Sarzanini, smorzando ogni polemica (al contrario di quanto aveva fatto il giorno prima su Repubblica) e mostrandosi pronta ad accettare la collaborazione con Ursula von der Leyen che la aspetta a Bruxelles.

Le modalità della scarcerazione dell’iraniano non sono ancora definite. Poco dopo l’annuncio della liberazione di Cecilia Sala il guardasigilli Nordio corre a palazzo Chigi, incontra il sottosegretario Mantovano e i bookmaker danno per probabilissima l’imminente liberazione anche del detenuto di Opera. Non arriva: “L’incontro non riguardava il caso Abedini. Abbiamo un trattato di estradizione con gli Usa che viene valutato secondo parametri giuridici”. Non gli crede nessuno. Si tratta solo, come spesso capita nelle trattative a fronte di un sequestro come è stato quello di Cecilia Sala, di salvare le apparenze pur sapendo che tutti capiscono la finta. In concreto, il governo, presumibilmente già d’accordo con le autorità iraniane, aspetterà la sentenza della Corte d’appello di Milano sul passaggio dell’iraniano dal carcere ai domiciliari, il 15 gennaio.

Se il verdetto sarà favorevole lo svizzero-iraniano accusato di terrorismo uscirà di prigione e a quel punto trovare il modo di farlo espatriare sarà solo questione di qualche tempo: poco tempo. Solo in caso contrario, se la Corte accoglierà il parere della Procura di Milano contraria ai domiciliari, Nordio dovrà impugnare la penna e ordinare d’autorità la scarcerazione, forte anche del fatto che la richiesta di estradizione da parte degli Usa è stata preannunciata ma non ancora inoltrata. In ogni caso, il trasferimento dell’iraniano nelle carceri americane è fuori discussione.

Pur se dettata da Trump, la tempistica è utile anche alla premier. Potrà presentarsi oggi alla fluviale conferenza stampa di inizio anno, quella che sino al 2023 era “di fine anno”, con il successo di ieri alle spalle. È probabile che la premier avrebbe proceduto comunque, anche senza il semaforo verde del futuro presidente, ma farlo al prezzo di uno scontro diplomatico con l’alleato americano o con la sua benedizione non è certo la stessa cosa. In ogni caso il rinvio della scarcerazione di Abedini a dopo la sentenza del 15 gennaio servirà anche a non mettere Biden anche di fronte all’umiliazione del fatto compiuto. Questione di forme, anche in questo caso. Il presidente uscente, a questo punto, non ha più voce in capitolo.

Il successo della premier non è però circoscritto al caso Sala e alla politica interna. Meloni ha piuttosto adoperato la circostanza per occupare la postazione alla quale mira sin dal giorno dell’elezione di Trump: non una vassalla fedele, come i leader della destra radicale europea che accorreranno per l’insediamento del 20 gennaio, né una nemica come il grosso dei leader europei, bensì l’unica considerata vicina e affidabile tanto dalla Casa Bianca quanto da palazzo Berlaymont, amica di Trump, amica di von der Leyen, autonoma da entrambi. Dire che ce l’ha già fatta sarebbe esagerato ma certo le fondamenta sono state gettate. A tutto scapito di Salvini, che sognava di proporsi come primo referente di Washington in Italia ed è stato scalzato ancora prima che Biden sia davvero presidente.

9 Gennaio 2025

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