La legge sul terzo mandato

Terzo Mandato: la guerra di Meloni per colpire De Luca e affondare Salvini in Veneto

Dura reazione del presidente campano: “Fanno ricorso solo contro di me”. Ma nel mirino di Meloni c’è Zaia. L’idea è di soffiare così il Veneto alla Lega

Politica - di David Romoli

11 Gennaio 2025 alle 08:00

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Foto Roberto Monaldo / LaPresse
Foto Roberto Monaldo / LaPresse

Il governo ha deciso, come ampiamente previsto e annunciato già dalla premier in conferenza stampa, di impugnare la legge regionale campana che permetterebbe la terza candidatura all’uscente Vincenzo De Luca. Calderoli si è rimesso al voto dei colleghi: una spaccatura ma per il momento non troppo fragorosa. Impugnare la legge campana significa chiudere ogni possibilità anche per il quarto mandato di Zaia in Veneto, e al suo posto la leader di FdI vuole assolutamente un candidato del suo partito. Salvini non può accettarlo, dunque il botto prima o poi arriverà e sarà rumoroso. Dove invece l’esplosione si è già verificata è in Campania.

De Luca ha convocato sui due piedi una conferenza stampa e ha sparato a palle incatenate: “Incredibilmente non è stata impugnata la legge del Veneto, del Piemonte e quella delle Marche, che è esattamente quella approvata dalla Campania persino più moderata. Il governo nazionale non ha avuto nulla da eccepire rispetto a regioni che avevano adottato leggi sul terzo mandato. Quindi la domanda è: la legge è uguale per tutti, o è uguale per tutti tranne uno, cioè io?”, Conclusione: “È qualcosa di vergognoso il modo in cui è stato calpestato il principio costituzionale ‘per cui la legge è uguale per tutti”.

De Luca prende di mira il governo che ha impugnato la sua legge, ma colpisce in realtà il Pd. Sembra che il governatore abbia considerato la possibilità di dimettersi subito per correre al voto prima della sentenza della Consulta. Non lo ha fatto, ha scelto di scommettere proprio su quella sentenza: “L’impugnativa del governo non cambia assolutamente nulla. Noi andiamo avanti, e per quello che mi riguarda la mia posizione non cambia di una virgola e non cambierà. Ci difenderemo davanti alla Corte Costituzionale e abbiamo la sensazione che avverrà come avvenuto per l’autonomia differenziata: sarà smantellata”.  Il governatore non risparmia un commento durissimo e sprezzante nei confronti del suo ex partito che sosterrà invece comunque un candidato dei 5S, l’ex presidente della Camera Roberto Fico: “Non mi serve il simbolo del Pd, come diceva Parmenide l’essere è e il non essere non è. Noi peschiamo da destra e sinistra. Questa è una battaglia per i cittadini, non per i partiti”.

La decisione di non dimettersi potrebbe essere in realtà un segnale di possibile apertura, ove la Consulta gli desse torto. Ma il rischio che, anche se bocciato, decida invece di mettere in campo un suo uomo, facendo convergere i voti su di lui per poi imporsi come governatore di fatto se non di nome è alto. Non è detto che ce la farebbe comunque, anche se è probabile. Ma per il Pd la partita sarebbe invece persa in partenza, a vantaggio di De Luca o del candidato della destra. È proprio questo che sembra mediti di fare Zaia: se la Consulta boccerà l’impugnativa del governo cercherà di sfruttare la sentenza anche a proprio vantaggio (pur essendo la sua eventuale candidatura per un quarto e non solo per un terzo mandato).

In caso contrario metterà in campo il suo vice, Fulvio Bonavitacola, come “candidato di paglia”. Per Salvini non appoggiarlo sarebbe letteralmente impossibile: i voti del Carroccio, in Veneto, sono di Zaia, solo di Zaia e sono tanti, intorno al 40%. Dunque la destra si presenterebbe con due candidati l’uno contro l’altro e l’esito politico sarebbe disastroso. La narrazione per cui sì, certo, la destra discute, a volte litiga ma al momento buono è sempre unita si sgonfierebbe una volta per tutte. E la rottura nel Veneto non resterebbe a lungo un caso unico.

11 Gennaio 2025

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