Individuati gli esecutori
Delitto Mattarella: Fioravanti non c’entrava, quando l’antifascismo rovescia storie e sentenze
Trovati i killer che spararono al Presidente della Regione. Scagionati i fascisti. Però la tesi del complotto, chissà perché, resta in piedi
Giustizia - di David Romoli
Non bastano le assoluzioni: sennò gli errori giudiziari che ci starebbero a fare? Non basta neppure individuare i veri colpevoli. Quando di mezzo c’è la fede, le smentite della realtà contano ben poco. Sarebbero stati individuati gli esecutori dell’omicidio Piersanti Mattarella, presidente della Regione Sicilia, leader emergente della sinistra Dc, ucciso a Palermo il 6 gennaio 1980.
Sono proprio quelli che aveva indicato il pentito Gaspare Mutolo nel 1992: Nino Madonia e Giuseppe Lucchese. Allora non lo ascoltò nessuno: nel mirino c’erano i neofascisti dei Nar, Valerio Fioravanti e Gilberto Cavallini. A metterli in mezzo per prima era stata la moglie della vittima, testimone oculare, che assicurò di aver riconosciuto in Fioravanti il killer. Poi arrivarono anche i pentiti, Cristiano Fioravanti, fratello di Valerio, e Angelo Izzo. Falcone, che istruiva l’indagine, inquisì il secondo per falsa testimonianza. Lo stesso Falcone, comunque, escluse da subito piste diverse da quelle dei puri interessi mafiosi: nessun complotto, nessun puparo. Se Cosa Nostra si era rivolta, come non capita praticamente mai, a killer esterni era perché la Commissione era divisa. I Corleonesi e con loro la maggioranza della cupola erano per l’omicidio. I potenti Bontade e gli Inzerillo contrari. Suonava molto tirata per i capelli già allora. Peraltro Buscetta escluse categoricamente.
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Gli imputati dei Nar furono assolti in primo grado nel 1995, l’appello confermò, la Cassazione passò in giudicato. Eppure ancora quattro anni fa, nel 2018, era convinzione generale, conclamata e sbattuta in prima pagina che il killer fosse proprio Valerio Fioravanti, che si sarebbe prestato in cambio del promesso aiuto di Cosa Nostra al progetto di far evadere Pierluigi Concutelli, il terrorista nero che aveva ucciso il giudice Occorsio. Ora che i misteriosi killer avrebbero un nome e un volto, con i mandanti già condannati e la motivazione del delitto tutta legata agli affari di Cosa Nostra, almeno questo capitolo dovrebbe essere chiuso. Non lo è.
Sta per uscire un film-documentario, Magma, che corre con la fantasia e collega l’omicidio alla strage di Bologna. Il rasoio di Occam al contrario. Lo stesso giornalista che ha dato per primo la notizia dei due nuovi indagati, e che in passato era stato tra i più solerti segugi sulla pista nera, fa capire che comunque i fasci c’entrano e rilancia la presenza di una stessa pistola nell’omicidio del giudice Mario Amato, vittima effettivamente dei Nar, e in quello di Mattarella. La dà per certa anche se certa non è affatto, essendo le prove balistiche impraticabili per il troppo tempo intercorso. Ci si mette anche Rosy Bindi che, ignorando tutto l’ignorabile in particolare proprio l’impianto accusatorio di Falcone, riparte con il complotto.
Tutto si tiene e se il compromesso storico non arrivò al felice esito che lo attendeva fu per una serie di delitti eccellenti nel biennio 1978-80. Moro per iniziare, la strage di Bologna per finire e in mezzo Piersanti Mattarella: se fosse stato vivo lui – Mattarella – le cose sarebbero andate ben diversamente, lo stesso congresso Dc del 1980 si sarebbe concluso all’opposto. Un tantinello azzardata come ipotesi politica, priva di qualsiasi puntello su quello storico. Ma si sa, “Io so anche se non ho le prove” è il motto che unifica politici, giornalisti e avventori all’osteria. Al caso se ne accostano alcuni altri, di molto minor momento ma certo indicativi.
Il sindaco di Roma ha spedito Carabinieri armati di piccone, per iniziare bene l’anno, a smantellare una targa che in via Acca Larentia ricordava un giovane missino ammazzato proprio in quella via, di fronte alla sezione del partito, il 7 gennaio 1979. Erano appena stati uccisi due neofascisti dai rivali rossi, era in corso una spontanea manifestazione di protesta. I carabinieri spararono senza che ce ne fosse alcuna ragione e ammazzarono Stefano Recchioni, ricordato appunto nella targa che il sindaco voleva abbattere, essendo firmata “i camerati” e apriti cielo. Persino Achille l’acheo, che non era una mammola, dimostrava qualche grado di pietà più di Gualtieri.
Nella conferenza stampa della premier, pochi giorni fa, Acca Larentia è rispuntata. Era al corrente la leader di FdI che i quattrini per comprare la sede erano stati forniti dall’associazione Alleanza Nazionale, cioè da FdI stessa? Certamente vero ma non si capisce bene quale sia il problema: Acca Larentia, diventata una specie di monumento dopo la strage del 1979, è una storica sezione del Movimento Sociale Italiano, partito che poteva non piacere, sul quale si potevano avere giudizi drastici e senza appello ma del tutto legale, presente in Parlamento lungo tutta la parabola della Prima Repubblica. Perché dovrebbe creare problemi il fatto che gli eredi di quel partito assolutamente legale sborsino 30mila euro per salvare quello che per loro è un monumento? La premier infatti non ha battuto ciglio, “Non ne sapevo niente ma sono contenta che la sezione non sia diventata un fast food”. Beh, dagli torto…
Ad andare avanti con gli esempi invece di limitarsi agli ultimi giorni si riempirebbe un’enciclopedia. Però non serve, essendo il quadro già purtroppo nitido. L’antifascismo, sbandierato ogni secondo e sempre a sproposito, ha smesso da un pezzo di essere una categoria politica. Rientra piuttosto nella religione: ha i suoi dogmi, i suoi rituali, le sue bestemmie. Peccato che così si perda la sostanza, si guardi da un’altra parte quando succedono cose che col fascismo hanno davvero a che vedere. Capita così che un ragazzino venga ammazzato per gioco mentre scappa in moto dopo uno scippo e la cosa desti molto meno scandalo che qualche braccio destro alzato nel saluto romano.