L'addio al giornalista
Furio Colombo, ex direttore de l’Unità è stato un grande intellettuale
Giornalista, scrittore, parlamentare. Se ne va un grande intellettuale. Alla Rai con Eco, Vattimo e Piero Angela. Fu l’uomo di Agnelli negli Stati Uniti. Dell’America sapeva tutto e l’ha raccontato: l’America del ‘68, del Vietnam, della lotta per i diritti civili, l’America dei Kennedy e di Luther King.
Politica - di Umberto De Giovannangeli
In molti si cimenteranno nel raccontarne la storia. La storia di un grande del giornalismo. Per chi scrive è anzitutto la storia di un grande direttore che risollevò l’Unità dopo la sua prima chiusura, il 28 luglio del 2000. Un “borghese”, persino amico dell’Avvocato (Gianni Agnelli) alla guida del giornale fondato da Antonio Gramsci! Un’eresia, una lesa maestà alla storia del giornale comunista, del Pci.
Invece, Furio, assieme ad Antonio Padellaro, vinse la scommessa. La “sua “Unità – che diresse dal 2001 al 2005 – fu un bel giornale. Un giornale letto da molti e apprezzato anche dai rivali, che non faceva sconti al potente di turno. Che, per primo, usò, apriti cielo anche a Botteghe Oscure, il termine “regime” all’avvento di Silvio Berlusconi e del “berlusconismo”. Quanti colpi bassi ricevette Furio per aver osato andare contro i desiderata tranquillizzanti dell’allora gruppo dirigente del fu Pci. Allarmava Colombo soprattutto la scarsa sensibilità della stampa e dei cittadini di fronte alle mosse spregiudicate del centrodestra di governo, specie in fatto di leggi ad personam in campo giudiziario: «La libera opinione pubblica in Italia — aveva scritto — è come un muscolo disattivato». Non piegò la schiena.
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Anche se certi colpi bassi lasciarono il segno. Come nel titolo di una prima pagina de l’Unità “Con chi parlo”…Nel quale raccontava di una assemblea nella storica sezione dell’ex Pci di Mazzini, nel cuore di Roma, nel corso della quale dovette difendersi dalle accuse di “estremismo” per aver coniato il termine “regime berlusconiano”. Andò avanti per una strada che, col passare del tempo, fece tanti e illustri proseliti nel campo del giornalismo e della politica. Non fu mai un direttore piegato alla realpolitik. Non lo fu nei giorni, terribili, del G8 di Genova, quando l’Unità, con i suoi editoriali, con i racconti degli inviati sul posto, tra cui chi oggi dirige questo giornale, dette conto di una pagina nera, vergognosa, della storia d’Italia.
Furio Colombo praticò l’autonomia dell’Unità, che non confliggeva ma, al contrario, valorizzava il legame con i Ds, il Pds, l’Ulivo (di cui fu anche attivo parlamentare, a lui si deve l’iniziativa della legge che nel 2000 ha istituito il Giorno della Memoria per ricordare il 27 gennaio l’anniversario della liberazione di Auschwitz) Chi ebbe il privilegio, perché tale fu, di lavorare in quel tempo con lui, ricorda le riunioni di redazione, con i post-it gialli su cui si appuntava idee, richieste, osservazioni critiche. Sempre pertinenti, esigenti, stimolanti. Come lo erano i racconti di una vita che lo ha portato a incontrare la Storia e a raccontarla in molte delle sue pagine più importanti e, spesso tragiche. Un uomo del mondo, prim’ancora che un uomo di mondo, è stato Furio.
Scomparso ieri all’età di 94 anni. “Nella mattinata di oggi è deceduto all’età di 94 anni Furio Colombo, assistito dalla moglie Alice e dalla figlia Daria”, spiega una nota della famiglia. “Intensissima la sua attività di giornalista – ricorda ancora la nota – che lo ha visto inviato della Rai e corrispondente dagli Stati Uniti, editorialista di Repubblica, direttore de L’Unita, fondatore del Fatto Quotidiano. Parlamentare per tre legislature per i Ds, L’Ulivo e il Pd”. Autore di testi letterari e cinematografici, ha svolto un’intensa attività culturale dirigendo per tre anni l’Istituto di Cultura di New York, nonché come titolare di cattedra alla Columbia University. Nella sua lunga carriera ha svolto anche incarichi aziendali prima alla Olivetti e poi come Rappresentante Fiat negli Stati Uniti. Nato a Châtillon, in Valle d’Aosta, il 1° gennaio del 1931, si laurea giovanissimo in Giurisprudenza a Torino e già a metà degli anni ’50 inizia a dedicarsi in parallelo alla pratica da avvocato e alla scrittura di programmi culturali in Rai, insieme a Umberto Eco, Gianni Vattimo e Piero Angela. Attento ai mutamenti sociali e culturali contemporanei e conoscitore del mondo statunitense, nella sua vasta produzione saggistica ha analizzato in particolare i problemi dell’informazione e il rapporto tra realtà e mezzi di comunicazione.
Ricorda con affetto e ammirazione Antonio Cairoti per il Corriere della Sera: “Partecipe dei fermenti letterari più significativi degli anni Sessanta, in particolare la Neoavanguardia del Gruppo ’63, dal 1965 al 1972 era stato responsabile dei programmi culturali nel servizio radiotelevisivo pubblico, realizzando documentari di notevole interesse. Al mondo dei media aveva dedicato un’assidua attenzione e numerosi libri: anche per questo era così sensibile al tema della commistione tra politica e mezzi di comunicazione, quindi così critico verso Berlusconi. Nel 1975, da firma di prestigio della Stampa, gli era capitato di realizzare l’ultima intervista con Pier Paolo Pasolini, poche ore prima che il poeta fosse assassinato, pubblicata poi pochi giorni dopo il delitto. Si tratta di un documento impressionante, per il quale lo stesso Pasolini aveva proposto il titolo, retrospettivamente profetico, Siamo tutti in pericolo. Una conversazione appassionata, nella quale spiccava la dialettica tra il pessimismo apocalittico del regista e la visione illuminista, certamente meno severa verso la modernità, dell’intervistatore. Inoltre, Colombo, docente alla Columbia University di New York, era stato tra i primi, da fautore di un liberalismo progressista kennediano, a mettere in rilievo l’importanza che il fattore religioso andava assumendo nella vita politica degli Stati Uniti, con l’ascesa di una nuova destra d’ispirazione evangelica, trainata da telepredicatori spesso ambigui. Sull’argomento aveva scritto uno dei suoi saggi più famosi, Il Dio d’America (Mondadori, 1983). E sempre negli Usa aveva conosciuto la moglie, la scrittrice statunitense Alice Oxman…”. Alice, meravigliosa compagna di vita.
Una passione civile che l’ha avvicinato anche al cinema italiano. Nel 1972 partecipò al film Il caso Mattei di Francesco Rosi, interpretando il ruolo dell’assistente e traduttore di Enrico Mattei, fondatore dell’ENI, interpretato da Gian Maria Volonté. Ha ragione Carioti quando annota: “L’aspetto esteriore di Furio Colombo non lasciava trasparire l’estrema intensità della sua passione politica e civile. I modi cortesi, l’eleganza curata da manager di primo piano, la voce impostata, la capacità di parlare con assoluta proprietà di linguaggio, senza mai perdere il filo del discorso, ne esaltavano la signorilità di scrittore, giornalista, uomo di cultura. Ma poteva mostrarsi anche — senza mai apparentemente scomporsi troppo — duramente polemico, persino fazioso, quando riteneva che valori fondamentali fossero in gioco. Con questo atteggiamento aveva diretto il quotidiano ex comunista l’Unità, tra il 2001 e il 2005, conducendo una battaglia a viso aperto, con titoli spesso gridati, contro quel Silvio Berlusconi la cui leadership governativa reputava una iattura per l’Italia…”.
Dell’America sapeva tutto, aveva conosciuto personaggi che avevano segnato passaggi epocali, in politica, nella musica, nei costumi. L’America del ’68; della contestazione della guerra del Vietnam, della lotta per i diritti civili, delle memorabili marce per l’eguaglianza tra neri e bianchi, l’America di Woodstock, della liberazione sessuale. L’America di Martin Luther King, dei Kennedy, J.F.K e suo fratello Robert – ne raccontò le morti in reportage da scuola di giornalismo – di Bob Dylan, di Joan Baez, di Andy Warhol. L’America “liberal”, trasgressiva, che fu al centro di tanti libri o servizi giornalistici e televisivi di successo.
Tra i suoi numerosi saggi ricordiamo: Da Kennedy a Watergate: quindici anni di vita americana (1974); Aspetti della comunicazione visiva nelle società industriali (1975); Rabbia e televisione (1981); Il Dio d’America: religione, ribellione e nuova destra (1983); Confucio nel computer (1995); Ultime notizie sul giornalismo (1995); Il candidato: la politica senza il potere (1997); La vita imperfetta (1999); Il libro nero della democrazia. Vivere sotto il governo Berlusconi (2001; in collaborazione con Antonio Padellaro). E poi ancora L’America di Kennedy (2004); America e libertà. Da Alexis de Tocqueville a George W. Bush (2005); Ci sarà un’Italia. Dialogo sulle elezioni più importanti per la democrazia italiana (2006; in collaborazione con Romano Prodi); Post giornalismo. Notizie sulla fine delle notizie (2007); La fine di Israele (2007); La paga. Il destino del lavoro e altri destini (2009); Clandestino. La caccia è aperta (2018); La scoperta dell’America (2020). Ha pubblicato anche il romanzo Privacy (2001). È solo una parziale bibliografia di un lavoro di produzione intellettuale immenso.
Amò Israele, Furio, fu tra i promotori di Sinistra per Israele, senza per questo chiudere gli occhi di fronte ad eccessi e derive oltranziste. Nello scrivere questo ricordo, ho in mano uno dei suoi biglietti. In cui, ringraziava per “il modo chiaro, sereno con cui stai seguendo il dramma del Medio Oriente. Siamo forse il quotidiano più equilibrato e spesso il più umano. Tuo Furio”. Grazie a te Furio, per la lezione di vita e di professione che hai dato. i funerali si svolgeranno al Cimitero Acattolico di Roma oggi mercoledì 15 gennaio alle ore 15. Che la terra ti sia lieve, Direttore.