La scomparsa 25 anni fa

Bettino Craxi, l’uomo che la sinistra deve riscoprire

“Io mi sento figlio di una storia”, disse Bettino prima di morire. Parole che riassumono una parabola politica che la sinistra deve rileggere con occhi nuovi

Politica - di Enzo Maraio

16 Gennaio 2025 alle 14:30

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Foto LaPresse Torino/Vincenzo Coraggio Storico
Foto LaPresse Torino/Vincenzo Coraggio Storico

Se è vero che il tempo aiuta a comprendere meglio la storia, il quarto di secolo che ci separa dalla scomparsa di Bettino Craxi può essere un tempo sufficiente per una lettura più profonda di ciò che fu quella stagione per il Paese. Una stagione, certo, malinconica per l’epilogo tragico che ebbe, ma che segnò profondamente il corso della storia della Repubblica, cambiandolo per sempre.

A distanza di 25 anni quella storia oggi viene riscoperta da più parti. Persino da coloro che al tempo la avversarono più ferocemente. Persino da chi sventolava cappi e tirava monetine. Sul craxismo coesistono ancora oggi giudizi controversi e al contempo non definitivi. E però il craxismo rappresentò una stagione in cui fu operata una vera operazione culturale della vita politica italiana, soprattutto per la massiccia portata di cambiamenti che produsse. Il bisogno di modernizzazione profonda del paese, il ruolo internazionale, il protagonismo italiano nel mondo, l’ansia di rinnovamento socialista crearono uno choc nella società che era segnata da un ventennio di instabilità e turbolenze politiche. Anche per queste ragioni ci fu un tentativo di liquidare il craxismo e derubricarlo a questione giudiziaria, per poi cancellarne ogni traccia.

Ma veniamo all’oggi. “Io mi sento figlio di una storia”, disse Bettino Craxi ad Hammamet, poche settimane prima di morire, a uno dei giornalisti che erano lì per intervistarlo. È tutto in quelle parole il senso stesso di come Craxi, oggi, andrebbe “letto”. E cioè come uno dei principali leader della sinistra italiana ed europea (fu tra i fondatori del Pse) e l’ultimo vero leader della Prima Repubblica. L’unico ambito possibile, quello nel quale si collocò lui stesso: “Io sono uno degli uomini più di sinistra che l’Italia abbia avuto degli ultimi venti-trenta anni”, ebbe a ribadire senza esitazione. Contestare il tentativo della destra, quanto mai fantasioso, di “appropriarsi” di Craxi, è naturale per chi, come noi, è figlio naturale e non adottivo di quella storia.

Ma attenzione: la destra occupa uno spazio che la sinistra “progressista” si ostina a voler lasciare colpevolmente vuoto. Un paradosso bello e buono, un tentativo antistorico. Se ci fosse una rivendicazione chiara, della sinistra, un pantheon chiaro, un riconoscimento chiaro, questo tentativo sarebbe risultato vano. Le iniziative che si susseguono in questo venticinquennio dalla scomparsa di Craxi ci dicono qualcosa. Che l’Italia fu ingiusta con lui e con il suo partito, la magistratura miope, i giudizi troppo feroci. E ci dicono che la sinistra italiana ha necessità di una pacificazione storica. Craxi e Berlinguer non riuscirono ad unire le sinistre. E nemmeno dopo la caduta del Muro di Berlino i due partiti seppero superare la rottura del ‘21. Sapevano che il mondo stava cambiando e che, forse, i tempi non erano ancora maturi. Era la Prima Repubblica, c’era il primato dei partiti, classi dirigenti di qualità. Oggi è tutto diverso.

La sinistra socialista e riformista e quella che proviene dal vecchio Pci, quella che ha scelto la via delle libertà e che ha animato le esperienze più significative nell’ultimo secolo, hanno il dovere di trovare una nuova sintesi, un rinnovato slancio, un percorso di futuro. Serve perché solo una sinistra di governo, plurale e garantista, capace di parlare al mondo cattolico senza ammainare la bandiera dei diritti civili e sociali, può battere il peggiore Governo delle destre. Ma se ha una visione comune, un programma, una idea di Italia. Elly Schlein non porta sulle spalle il peso del retaggio ideologico del vecchio Pci e anche per questa ragione può promuovere l’avvio di un percorso.

Una riflessione comune su Craxi, senza partigianerie, è l’occasione per avviare un dibattito, per chiudere la stagione dell’odio e delle contrapposizioni. Per non lasciare Craxi alla destra. Non per farne un santino, inserendolo timidamente nel proprio Pantheon. Ma per proseguire a viso aperto la strada interrotta delle riforme, con quell’ansia di cambiamento, di innovazione e di progresso che furono la ragioni stesse della sua vita. E per restituirgli il posto che gli spetta. Quello di un grande italiano e di uno dei più grandi leader della sinistra internazionale.

*Segretario nazionale Psi

16 Gennaio 2025

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