Il parlamentare dem
Parla Graziano Del Rio: “Musk e i suoi amici, un’oligarchia senza regole a cui non interessa chi resta indietro”
“La nuova oligarchia del denaro e del potere non si preoccupa di chi rimane indietro, della libertà e dell’uguaglianza. Dobbiamo reagire, le stesse società aperte devono porsi limiti e garantire opportunità per tutti”
Interviste - di Umberto De Giovannangeli
La sfida della pace, le grandi manovre nei Dem. Parlamentare, già sindaco di Reggio Emilia, ministro per gli Affari regionali e le autonomie nel governo Letta, ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti prima nel governo Renzi e poi riconfermato nel governo Gentiloni, è stato anche capogruppo PD alla Camera dei deputati. La parola a Graziano Delrio.
Il 2025 si è aperto con un mix di dolore e di speranze.
Dobbiamo essere felici che il 2025 si sia aperto con la liberazione di Cecilia Sala e una possibile tregua con l’accordo a Gaza e la liberazione degli ostaggi. Papa Francesco ha aperto l’anno giubilare con la visita al carcere per rappresentare a tutto il mondo che l’anno giubilare significa liberazione per tutti gli abitanti della terra: innanzitutto liberazione dalla guerra che è l’orrore più grande che l’umanità possa sperimentare poi liberazione dalla schiavitù della fame, liberazione dalla tragedia dell’esilio forzato di milioni di persone dalle loro case e dai loro beni. Ora tocca alla politica raccogliere la sfida dell’anno giubilare: trasformare il rosario di cattive notizie e di guerre in un impegno senza sosta per restituire pace e sviluppo umano in tutti gli angoli della terra. Purtroppo, gli Stati appaiono ripiegati su se stessi su deliri di potenza impraticabili, su nazionalismi economici, religiosi e sociali che non fanno presagire nulla di buono rispetto a quell’impegno collettivo, unanime ed universale, che apparve all’indomani della seconda guerra mondiale quando l’Europa si destò dall’incubo del conflitto e comprese che la cooperazione e non la forza è l’unico modo per regolare il diritto tra le nazioni
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La pace senza giustizia non è pace, ripete con forza Papa Francesco. Ma una pace giusta resta ancora un sogno in Terrasanta.
Attendiamo con ansia in queste ore la liberazione degli ostaggi e il ritiro progressivo dell’esercito israeliano da Gaza. Sarebbe una piccola luce in fondo al tunnel che Hamas ha scavato predisponendo la trappola dell’odio in cui purtroppo Israele è caduto. Una trappola che ha portato di nuovo alla ribalta un antisemitismo che credevamo sconfitto e sepolto nelle cantine della storia e ha portato in secondo piano il vero tema dei diritti del popolo palestinese che ha subito crimini di guerra inaccettabili. Netanyahu è riuscito probabilmente ad ottenere qualche vittoria militare contro i terroristi di Hamas e ad indebolirli in maniera importante ma è stato sconfitto nell’opinione pubblica mondiale. L’immagine di uno Stato ebraico e democratico, casa delle differenze e delle libertà per tutti indipendentemente dalla religione o dalla etnia, cioè il sogno dei padri fondatori di Israele, è stata, speriamo non irrimediabilmente, compromessa. Allo stesso tempo le sofferenze del popolo palestinese non paiono premessa per una nuova alba ma piuttosto un prezzo inutile pagato sull’altare del fanatismo religioso di Hamas e con una prospettiva di ricostruzione morale, civile e politica che appare ad oggi impossibile affrontare da soli. Per una pace giusta sarà necessario rimettere in campo le parole fondanti la convivenza umana: il dovere verso ogni essere umano di riconoscere il suo diritto alla libertà e alla terra, alla parola e all’ordine, alla pace e anche alla patria. Un dovere che ha Israele verso la Palestina e che ha la Palestina verso Israele. E richiederà uno sforzo straordinario della comunità internazionale, in primo luogo della Unione Europea per accompagnare un processo così impegnativo. La pace nel Mediterraneo, al pari e di più della convivenza nei Balcani, infatti è una priorità soprattutto europea, un discrimine fra un futuro di prosperità e di sviluppo e un’instabilità permanente. Il sogno di un Mediterraneo, come diceva La Pira, grande lago sulle cui sponde possono convivere le religioni monoteiste, un luogo di incontro e non una barriera fra i continenti africano, europeo ed asiatico.
In tutto questo, l’Europa?
Purtroppo, l’Europa, ostaggio dei nazionalismi incluso quello italiano, non si sta attrezzando per avere una politica estera e di difesa comune e si sta condannando all’irrilevanza completa dal punto di vista politico. È un gigante economico ma con i piedi di argilla, che mostra di non capire il cambiamento epocale con il ritorno di logiche imperiali in Russia, in Iran, in Turchia e, speriamo di sbagliarci ma le uscite di Trump non fanno pensare nulla di diverso, anche persino negli Stati Uniti. Questi cambiamenti dovrebbero indurre a una scelta forte politica di avvio di una Unione Europea federale mentre invece siamo ancora a “prima gli italiani, prima gli ungheresi, prima i polacchi”; ma la somma di 27 prima non fa mai un dopo e soprattutto non fa una comunità europea forte che difenda gli interessi dei suoi cittadini, delle sue famiglie e delle sue imprese da una competizione mondiale con giganti economici, demografici e politici come l’India la Cina e appunto gli Stati Uniti. La competizione esiste e Trump la renderà visibile sempre di più dopo il 20 gennaio e il pensiero che gli Stati europei vadano in ginocchio a elemosinare qualche riduzione dei dazi singolarmente è esattamente il prodromo alla irrilevanza completa sia delle nazioni singole che dell’Unione Europea. Il tempo è quindi ora. Spero che almeno la famiglia socialista e democratica comprenda l’urgenza del salto di qualità.
Migranti, carceri, una idea progressista di patriottismo: quale è stato a suo avviso il segno prevalente del discorso di fine anno del Presidente Mattarella?
Il Presidente Mattarella è stato come sempre capace di indicare il cammino per questo nuovo anno a tutto il nostro paese. In primo luogo, ci ha detto che mai come ora la pace grida la sua urgenza, che l’Unione Europea è la storica espressione della pace giusta e concreta. E che, mentre si espande la povertà di tanti e la ricchezza di pochi, la crescita della spesa in armamenti ha toccato quest’anno la cifra record di 2.443 miliardi di dollari otto volte di più di quanto stanziato per il cambiamento climatico. Una sconfortante sproporzione ed una direzione da correggere. Il presidente poi ci ha chiamato alla speranza per il nuovo anno indicando come tante persone sono al lavoro per il bene comune con sentimenti, valori, principi che animano quotidianamente la nostra vita. Proprio chi semina solidarietà, fiducia, rispetto, chi crea legami guarisce la nostra democrazia e la rende forte e solida. Mettendo in risalto il patriottismo dei medici, dei volontari, degli imprenditori, degli immigrati il Presidente ha voluto ricordare che la vera radice della convivenza della nostra comunità nazionale ed europea sta nel praticare le virtù costituzionali, nei reciproci doveri e diritti. E direi, parafrasando Alessandro Magno, che è straniero solo chi pratica il male. Chi invece alimenta odio e divisioni specialmente su base etnica e religiosa, chi alza il dito accusando e non riconoscendo mai le ragioni dell’altro, indebolisce il tessuto della comunità nazionale che non può vivere e prosperare senza il riconoscimento della dignità di tutti.
Il 18 gennaio ci sarà a Milano la kermesse Comunità democratica. C’è chi ha scritto: Prodi, Delrio e Ruffini. Torna in campo l’ex Ppi a caccia del grande centro. È una forzatura?
Si. Il nostro è semplicemente il tentativo di mettersi in ascolto di un mondo, quello del cattolicesimo democratico e sociale, che s’è espresso con una vitalità di proposte e una capacità di mobilitazione alle Settimane sociali di Trieste del luglio scorso. Un appuntamento culturale e dunque politico perché, come dice il presidente Mattarella, siamo noi che dobbiamo animare la democrazia, pretendere una democrazia sostanziale e non arrenderci al fatto che un paio di ricchi californiani possiedono il mondo, andando sopra le leggi. La crisi della democrazia non si risolve solo rinnovando i partiti ma coinvolgendo civismo e movimenti, che si esprimono anche nelle liste territoriali. Del resto, gli stessi partiti devono mettersi in ascolto di questi ambienti: c’è un certo disagio che spesso si risolve nell’astensionismo elettorale. Mi riferisco a realtà vive e generose sul piano civico, ma non su quello politico. La politica deve andare incontro a tale malessere, perché la fuga dalle urne rappresenta un problema serio. Stiamo entrando in un ciclo pericoloso che supera le stesse categorie élite-popolo e Stati nazionali-comunità. Ci sono i titani della Silicon Valley, Musk e pochi altri, che pretendono di operare fuori dalle regole e che dispongono di monopoli strategici come i satelliti. Anche qui l’Europa sta arrivando in ritardo. Siamo nel bel mezzo di una rivoluzione autentica che non è solo economica, perché viene accompagnata da una ideologia tecno-consumistica. Siamo oltre la stessa globalizzazione che abbiamo conosciuto dagli anni ’90 in poi, in quanto la nuova oligarchia del denaro e del potere non si preoccupa di chi rimane indietro, della libertà e dell’uguaglianza. Anzi, è disposta a sacrificare i principi fondanti della democrazia. Questa regressione non solo deve allarmarci, ma ci costringe a reagire per difendere la nostra libertà insidiata, ora, pure dalle nuove tecnologie. Per troppo tempo c’è stata l’illusione che i mercati globali potessero riempire di senso la vita quotidiana e offrire felicità alle comunità civili. Non basta il fatto economico in sé a dare pienezza alla democrazia. È un pensatore liberale dell’800, Tocqueville, a ricordarci che la democrazia non vive senza principi profondi. Le stesse società aperte devono porsi limiti e garantire opportunità per tutti. I mercati non sono in grado di fornire senso d’appartenenza specialmente là dove le radici comunitarie si sono frantumate.