Il 18 gennaio , una data simbolo per il cattolicesimo militante, si terrà un convegno sul futuro e presente dei cattolici democratici. Ciclicamente ritorna la questione politica dei cattolici.
La prima questione si consuma verso l’Ottocento, con la fine del potere temporale della Chiesa, fino alla stipula dei Patti Lateranensi del 1929. La seconda questione politica dei cattolici attraversa gli anni 30, quando in tutta Europa il movimento cattolico si attesta su posizioni conservatrici: in molti casi il pensiero cristiano deraglia sui binari dell’autoritarismo e così chi cerca di trovare un altro approdo politico alla cristianità, si trova a fare i conti sulla «sponda del marxismo», che in quegli anni si presenta anche come «umanesimo cristiano». Il trentennio del ‘900 riduce i cattolici dentro a una strettoia, tra il fascino verso la filosofia marxista, che porterà molti intellettuali negli anni a costruire l’embrione dei primi gruppi di «cattolici comunisti»; e dall’altra parte la radicalizzazione della lotta politica che subiva il fascino del fascismo. Con la fine del partito popolare, «che si caratterizza per una certa diffidenza nei confronti dello Stato, diffidenza nella quale è ravvisabile una matrice liberale, che confluisce in una più generale concezione cattolica, nella quale una vera autonomia politico-statuale nella gestione della cosa pubblica non ha mai una vera e propria legittimità».
La seconda questione politica dei cattolici si completa con la nascita della Democrazia cristiana ad opera soprattutto della sapienza politica e morale di De Gasperi, capace di ricostruire, dopo la seconda guerra mondiale, quell’unicum di partito cattolico, che prende a riferimento il Zentrum tedesco «non solo perché evidenti ragioni di opportunità sconsigliavano di fare riferimento al Partito popolare italiano, ma perché convinto che, sotto questo profilo, l’esperienza del partito tedesco fosse più valida di quello del P.P.I». ( A. Giovagnoli). Il Zentrum, per lo statista trentino era il modello culturale a cui affidarsi per “ricostruire” un partito cattolico capace di cogliere la libertà religiosa e l’inserimento dei cattolici dentro lo Stato liberale. Dopo la fine dell’unità politica dei cattolici, il movimento cattolico è ritornato nell’alveo delle prime accezioni. «Una prima accezione, allargata, designa l’insieme delle posizioni assunte all’indomani della Rivoluzione francese, incluse quelle che si determinarono nella direzione dell’astensione e del rifiuto della modernità. In senso ristretto, invece, con la medesima espressione si può indicare l’insieme dei cattolici più intransigenti, che interpretando la modernità come “diabolica” – fedeli quindi al dettato della bolla papale non expedit- esprimono con l’astensione la loro fedeltà ad una Chiesa che non riconosceva la legittimità dello Stato liberale».
La fine del partito dei cattolici ha riprodotto “quasi” le accezioni antiche, con la dovuta dimensione storica, riportando i “cattolicesimi” a una pluralità di “ideologie”: liberali, democratici, popolari, sociali. Una pluralità di appartenenze che non trovando più un’unica casa si consuma tra la ricerca di un’utopia e il desiderio di una nuova organizzazione politica dei cattolici. Il progetto storico della Democrazia cristiana, si consuma già alla fine degli anni 60 “il cosiddetto dissenso cattolico post-conciliare, innervato dallo spontaneismo e dell’attivismo dei giovani cattolici protagonisti del ’68, lambì un partito oramai di fronte a una duplice crisi: politica, con la formula di centrosinistra in crisi dopo il voto del 1968, ma anche – e forse in modo ancor più preoccupante – culturale […] “(M. Marchi).
La pluralità dei “ cattolicesimi” dopo la fine dell’unità politica dei cattolici, ha sancito la nuova dimensione dell’impegno del cattolicesimo militante, tra la irrilevanza e l’autonomia da una Chiesa che con Giovanni Paolo II ricerca una dimensione sociale scollata dalla presenza di un partito o blocco dei cattolici uniti. Con il Papa polacco non serve più un partito di cattolici, ma è la stessa Cei che svolge il ruolo sociale e politico di intermediazione con lo Stato e la “politica”. Un progetto storico, quello dei democristiani, che aveva tentato con Moro di riprendere il filo di una nuova dimensione sociale, culturale e politica, magari per riassestare l’impegno dei cattolici fuori dal recinto dell’unità politica, cercando di riposizionare la Democrazia cristiana nel nuovo assetto internazionale che si andava delineando lentamente, e con la «terza fase» creare le condizioni di una politica dell’alternanza (?).
Il progetto storico moroteo fin dall’inizio si pone come l’artefice di un vero processo di democratizzazione ed integrazione di gruppi sociali rimasti per lungo tempo esclusi dalla rappresentanza politica. Lo statista pugliese si pone come obiettivo politico l’integrazione di intere masse popolari nella vita politica ed istituzionale. Moro aveva compreso che lasciare pezzi di umanità negli anni ’60 fuori dalle porte della democrazia sarebbe significato la fine stessa del progetto storico dei democristiani. Ora la nuova questione politica dei cattolici, la terza secondo alcuni, non può trovare la dimensione di riorganizzare una “parte” dei frammenti del cattolicesimo politico, sarebbe perpetuare un errore già commesso dopo la fine della Dc. La nuova dimensione politica dei “cattolicesimi” non può fermarsi alla ennesima costruzione di un soggetto politico, c’è bisogno di ridisegnare una nuova progettualità storica, quell’ “andare oltre” che racconta anche Goffredo Bettini, uno dei pochi dirigenti politici che in questi anni si è misurato nel tentativo di tenere in piedi la dimensione cristiana e la dimensione socialista, come «grandi vettori di un nuovo messaggio di salvezza, contro il degrado persino antropologico».
L’unico messaggio di una forza rivoluzionaria rimane il cristianesimo, che Croce settantaseienne, di fronte alla violenza nazista, vede (carteggio con la poetessa Maria Curtopassi) come « il più profondo rivolgimento spirituale compiuto dall’umanità». Di fronte all’annientamento dell’umano, Croce «volle risalire il corso della civiltà fino alle fonti, perché i figli della storia si riconoscessero figli del cristianesimo» (V. Zanone). La stanchezza dell’umano in questo tempo dominato da un “capitalismo stellare”, può trovare una nuova dimensione spirituale e culturale nella ricerca di quel fondamento non solo storico che Croce sintetizza: «il cristianesimo è stato la più grande rivoluzione che l’umanità abbia mai compiuta: così grande, così comprensiva e profonda, così feconda di conseguenze, così inaspettata e irresistibile nel suo attuarsi, che non maraviglia che sia apparso o possa apparire un miracolo, una rivelazione dall’alto, un diretto intervento di Dio nelle cose umane, che da lui hanno ricevuto legge e indirizzo affatto nuovo. Tutte le altre rivoluzioni, tutte le maggiori scoperte che segnano epoche nella storia umana, non sostengono il suo confronto, parendo rispetto a lei particolari e limitate» (B. Croce).
Il cristianesimo è il nuovo progetto storico per una democrazia fragile che stenta di fronte ai cambiamenti di una tecnica predominante priva di una cornice “ideologica”. Questo futuro dell’umanità appare di colpo aperto, si realizza così ciò che avevano previsto, tra gli altri, Nietzsche, Marx, Kant e Max Weber: nel passaggio d’epoca, la politica viene confinata nella penombra degli arnesi antichi, così che la tecnocrazia senza la cornice di un pensiero avanza calpestando ogni regola che conduca al convivere umano. È un tempo complesso quello che viviamo, di grandi rivoluzioni e, immaginare di “leggere” questi cambiamenti senza lo sforzo di costruire un nuovo patrimonio di idee e di simboli significa consegnare il mondo nelle mani di “Poteri” che non hanno bisogno del fastidio delle democrazie. Ulrich Beck ci ricordava che per contrastare questa nuova ideologia è necessario opporgli l’indispensabilità del politico e la creazione di un contropotere politico, che riorganizzi soggetti politici mondiali.
A questo punto, ben venga ogni iniziativa politica che discuta come riannodare i fili di una democrazia fragile , ma non basta dirsi cattolici per riannodare i fili di un ragionamento politico, perché di questo si tratta, bisogna tentare di fare ricerca, di scavare, di osare , immaginando per questa nuova umanità la forza storica del cristianesimo che si frappone a questo sistema di tecnocrazia . I progressisti sono in crisi in tutto il mondo, di colpo alle sinistre del globo è venuto meno il dizionario del futuro, ecco perché non bisogna fermarsi a riproporre schemi che rischiano di incarnare un mondo passato, mentre la sfida è rinnovare le storie , avendo l’ambizione della ripartenza per osare e guardare l’oltre. Oltre gli steccati di muri identitari che se trattati come un feticcio rischiano di appesantire luoghi che hanno bisogno di contaminare culture, storie , e di inseguire quel divenire tra “cielo “ e “terra” .
*Università degli studi di Napoli Federico II