Il primo giorno dell'accordo
Le ultime stragi di Israele prima della tregua: 81 morti prima del cessate il fuoco
Israele accusa Hamas: “Hanno ritrattato” e rinvia il vertice di governo per il via libera all’intesa, ma gli islamisti negano. I falchi dell’ultradestra: “Sì all’accordo solo se poi riprendono i combattimenti”. Ma le bombe non si sono mai fermate: 20 bambini tra le vittime dei raid di ieri.
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
Che tregua è quella che inizia con 81 morti e centinaia di feriti? Definirla precaria è un eccesso di ottimismo. Di certo, è una tregua insanguinata. Sono almeno 81 i palestinesi che sono stati uccisi, tra cui 20 bambini e 25 donne, in raid aerei israeliani nella Striscia di Gaza da quando è stato annunciato l’accordo di cessate il fuoco. Lo riferisce il portavoce dell’agenzia della difesa palestinese Mahmud Basal all’Afp, aggiungendo che 230 persone sono rimaste ferite. ”A partire da quando è stato annunciato il cessate il fuoco, le forze dell’occupazione israeliana hanno ucciso 81 persone, compresi 20 bambini e 25 donne”, ha spiegato.
Altre 230 persone sono rimaste ferite “in bombardamenti che continuano” il giorno dopo l’annuncio. Secondo l’agenzia Reuters, Hamas ha dichiarato che l’attacco israeliano seguito all’annuncio dell’accordo di cessate il fuoco ha colpito un luogo dove era tenuta in ostaggio una donna. Il portavoce delle Brigate al-Qassam, Abu Ubaida, non ha rivelato la sorte dell’ostaggio. Quello che avrebbe dovuto essere il primo giorno dell’accordo si consuma tra bombe e accuse reciproche. Le autorità israeliane hanno accusato Hamas di aver fatto marcia indietro su alcuni punti dell’accordo di cessate il fuoco annunciato ieri e per questo hanno rinviato la riunione con cui il governo avrebbe dovuto dare il via libera all’intesa. “Hamas sta tornando indietro sui punti concordati e creando una crisi dell’ultimo minuto”, si legge in un comunicato dell’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu. Il governo israeliano “non si riunirà” per approvare l’accordo, “finché i mediatori non avranno notificato a Israele che Hamas ha accettato tutti gli elementi”, si spiega.
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Hamas non sta facendo marcia indietro sulle intese raggiunte per una tregua a Gaza. A dirlo è Izzat el-Risheq, alto funzionario di Hamas, che nega con il Times of Israel le accuse secondo cui il gruppo terroristico avrebbe rinnegato alcuni dettagli dell’accordo sugli ostaggi. Il movimento, ha aggiunto, è impegnato nell’accordo annunciato mercoledì sera dai mediatori. Gli Stati Uniti sono a conoscenza dei problemi che restano per chiudere gli ultimi dettagli dell’accordo tra Israele e Hamas per il cessate il fuoco e per arrivare alla liberazione degli ostaggi. A dichiararlo è stato il portavoce per la sicurezza nazionale della Casa Bianca, John Kirby, che si è tuttavia detto fiducioso che l’accordo inizierà ad essere attuato domenica. “Siamo consapevoli delle questioni che il Primo Ministro ha sollevato oggi (ieri, ndr), e stiamo lavorando su questo. La nostra squadra sul campo sta lavorando con lui e con il suo team per appianare tutti questi problemi e farli avanzare”, ha dichiarato a ‘Meet the Press’ della NBC riferendosi a Netanyahu. “Ci aspettiamo che l’accordo Gaza parta domenica”, gli fa eco Antony Blinken in un briefing con la stampa al dipartimento di Stato. Il segretario è stato interrotto da una manifestante che ha accusato l’amministrazione Biden di «genocidio a Gaza».
“Finora non ci sono stati progressi nei colloqui in Qatar, nel tentativo di colmare le distanze tra Israele e Hamas. Lo hanno riferito ad Haaretz fonti secondo le quali non è previsto che Netanyahu convochi il governo finché la crisi non sarà risolta, il che ritarderà l’attuazione del cessate il fuoco. L’ufficio del primo ministro israeliano ha affermato che Hamas sta contestando l’autorità di Israele di porre il veto sul rilascio di un certo numero di prigionieri classificati come assassini di massa e considerati “simboli del terrore”. Le famiglie degli ostaggi del Forum Haim, facendo riferimento all’annuncio dell’ufficio del primo ministro secondo cui “Hamas ritratta le sue intese”, hanno affermato che “né Hamas né Ben- Gvir, ma Benjamin Netanyahu, sarà responsabile di qualsiasi ulteriore ostacolo al ritorno degli ostaggi”. Secondo le famiglie, “l’accordo deve essere avviato immediatamente in tutte le sue fasi”.
L’esatto opposto di quanto reclamano gli ultra-falchi al governo. Il partito di estrema destra israeliano Sionismo religioso di Bezalel Smotrich afferma che approverà l’accordo e rimarrà al governo solo se il premier Benjamin Netanyahu promette di riprendere i combattimenti per distruggere Hamas dopo la prima fase dell’intesa sugli ostaggi. Il ministro delle Finanze vuole ricevere l’impegno del primo ministro per iscritto, riferisce Ynet. Distruggere Hamas. Vittoria totale. La narrazione bellicista che non tiene conto di un dato di realtà che va nella direzione opposta. Secondo il segretario di Stato americano Antony Blinken “Hamas ha già arruolato tanti militanti quanti ne ha persi”. Una considerazione numericamente in difetto: autorevoli analisti militari israeliani stimano che Hamas potrebbe contare oggi su almeno 20mila uomini, i più giovanissimi, animati da un desiderio di vendetta che fa di loro 20mila potenziali “shahid” (martiri).
Ma l’estrema destra non arretra. Illuminante è l’editoriale di Haaretz, soprattutto nei suoi passaggi finali: “Non dobbiamo accontentarci solo della prima fase di questo accordo, al termine della quale altri 65 ostaggi, vivi e morti, rimarranno nelle mani di Hamas. L’accordo che si sta delineando prevede altre due fasi, ma la seconda fase – durante la quale verranno rilasciati tutti gli ostaggi rimanenti – sembra essere una mina che rischia di esplodere. Il Primo ministro Benjamin Netanyahu sa benissimo che non c’è alcun motivo reale per ostacolare la seconda fase, se non le minacce irresponsabili dei suoi partner di coalizione. Se c’era bisogno di un’illustrazione della profondità del cinismo di questi partner, è arrivata dal ministro della Sicurezza Nazionale Itamar Ben-Gvir, che ha ribadito ancora una volta l’inconcepibile affermazione di aver usato la sua capacità di far cadere il governo per bloccare i precedenti accordi “sconsiderati” sugli ostaggi.
In altre parole, le minacce sue e del ministro delle Finanze Bezalel Smotrich di far saltare la coalizione sono la causa del continuo abbandono degli ostaggi prigionieri di Hamas. Si tratta di un crimine a tutti gli effetti, che potrebbe ripetersi prima che venga attuata la seconda fase dell’accordo. La semplice verità è che la guerra è finita. In realtà, è diventata inutile pochi mesi fa e i soldati che sono morti da allora sono caduti per motivi politici, non di sicurezza. Pertanto, non c’è alcun motivo reale per non proseguire con la seconda fase, che dovrebbe basarsi su un accordo israeliano per la cessazione dei combattimenti e il ritiro dalla Striscia di Gaza. L’accordo completo deve essere attuato anche per fermare le uccisioni di massa e l’enorme distruzione di Gaza. Restituire tutti gli ostaggi è un obbligo morale supremo, ma anche porre fine alla calamità nella Striscia deve essere un imperativo morale che incombe su Israele. I prossimi giorni saranno delicati e volatili. Le immagini che appariranno sui nostri schermi televisivi saranno emotive e dolorose. La gioia si mescolerà alla tristezza e l’attenzione si concentrerà sul ritorno degli ostaggi e delle loro famiglie. Queste immagini non devono essere le ultime che vediamo; non dobbiamo accontentarci. Tutti gli ostaggi devono tornare a casa. La guerra deve finire, completamente e assolutamente. È arrivato il momento di ricostruire”.
Quanto a ricostruire, farlo a Gaza sarà una impresa titanica. Secondo il ministero della Sanità di Gaza, controllato da Hamas, l’esercito israeliano ha ucciso in un anno e mezzo più di 46.000 palestinesi. Si stima che a Gaza, sotto le macerie, ci siano i corpi di oltre diecimila uomini e donne. Oltre 100 mila feriti, decine di migliaia di dispersi e 1,9 milioni di sfollati: il 90% della popolazione. Gaza è un cumulo di macerie. Reali, non metaforiche. Macerie causate dai bombardamenti: 42 milioni di tonnellate. Secondo una stima delle Nazioni Unite ci vorranno almeno 14 anni per rimuoverle e smaltirle, a un costo di 1,2 miliardi di dollari. I dati satellitari dell’Onu riportano che circa il 69% degli edifici della Striscia sono stati distrutti. In questo numero ci sarebbero 245.123 unità abitative. Sempre secondo l’Onu, la ricostruzione delle case richiederà almeno fino al 2040, ma è un calcolo ottimistico. Poi, si contano inagibili 200 strutture governative, 136 tra scuole e università, 823 moschee e tre chiese. Per non parlare delle strutture sanitarie: la maggior parte sono danneggiate, solo 17 su 36 avrebbero qualche reparto in funzione.
Il danno stimato alle infrastrutture arriva a 18,5 miliardi di dollari. Meno di un quarto delle reti idriche sono disponibili, e quasi il 70% delle strade è inagibile.
Per la Striscia, l’agricoltura è uno dei settori fondamentali. A oggi, più della metà dei terreni agricoli sono considerati inutilizzabili. Per quanto riguarda l’allevamento, 15.000 bovini, ossia oltre il 95% del totale, sono stati macellati o sono morti così come metà delle pecore. Questa è Gaza, oggi. In attesa di una tregua che non cancella l’inferno in terra.