La Lega rilancia. Al termine di un consiglio federale riunito d’urgenza a Montecitorio che somiglia come una goccia d’acqua a un consiglio di guerra il Carroccio dirama un comunicato tassativo: “Totale sintonia e condivisione degli obiettivi tra Salvini, Zaia e l’intero consiglio federale. Il Veneto è un modello di buon governo apprezzato a livello nazionale e internazionale. Squadra che vince non si cambia”. Giorgetti, il leghista più governista che ci sia, all’uscita si allinea senza esitazioni: “Sono assolutamente a fianco di Zaia. Ma una quadra si troverà”. Il ministro dell’Economia è ottimista.
Il capo dei senatori Romeo è più greve: “La Lega, all’unanimità, vuole tenersi le regioni dove governa. È interesse della Meloni trovare una soluzione che soddisfi gli alleati leali”. Trattasi di avvertimento non meno minaccioso di quello lanciato pochi giorni fa da Zaia: “Potremmo andare divisi”. Incidentalmente, la conseguenza di una spaccatura con due candidature diverse in Veneto significherebbe molto probabilmente la crisi di governo, fanno sapere con discrezione e in forma anonima i Fratelli di Giorgia, la controparte in un braccio di ferro che è già durissimo. Romeo, con il capogruppo alla Camera Molinari e con i governatori del nord Zaia, Fedriga e Fontana fa parte del potentissimo gruppo di ras del nord che ieri stava con gli occhi spalancati e le armi pronte nel caso Salvini avesse proposto uno scambio tra il ministero degli Interni per lui e il Veneto per il partito della premier.
Ufficialmente quel baratto è fuori discussione. L’incipit del comunicato, con quella sottolineatura con pennarello verde della piena sintonia tra Salvini e Zaia, è stato probabilmente scelto proprio per chiarire che non ci sono subordinate alla richiesta di mantenere il Veneto nelle mani della Lega. Del resto, se anche quell’ipotesi fosse stata avanzata, o se dovesse rispuntare nei prossimi giorni, sbatterebbe sulla fermissima determinazione di Giorgia nel tenere il suo vice leghista ben lontano dal Viminale. Non solo Giorgia vuole evitare che l’alleato/competitor faccia del ministero degli Interni il palco più alto per la sua propaganda. Vuole anche e forse soprattutto evitare che danneggi la sua strategia, che non prevede scontri istituzionali con il Quirinale o tensioni alle stelle con un’Europa che ora la leader sovranista considera invece alleata.
Certo Salvini arriva alla trattativa con Giorgia più debole che mai. La scommessa del ministero dei Trasporti si è rivelata un disastro. Il sogno di adoperare il Ponte sullo Stretto come volano per rilanciare nel sud la sua Lega nazionale è già tramontato. Lo sfacelo delle ferrovie non è colpa dell’attuale ministro, anche se nel passato a occuparsi più di ogni altro di Trasporti è stata proprio la Lega. Ma di certo sarebbe responsabilità del ministro fronteggiare una situazione di fronte alla quale appare invece paralizzato e smarrito. Alla fine, su sua insistenza, i capigruppo di FdI hanno dettato alle agenzie comunicati praticamente identici nei quali difendono il ministro: “Contro Salvini è in atto una campagna denigratoria volta a screditare l’importante lavoro che sta portando avanti”. Ma il ritardo con il quale il partito alleato si è deciso a sostenere il ministro sotto tiro e il fatto che sia stato lui a reclamare il pronunciamento sono dati più che eloquenti.
Debole nella trattativa con il governo, il leader leghista lo è altrettanto nel confronto con il fronte nordico all’interno del suo partito: se dovesse arrivare al congresso di marzo senza poter assicurare che il Veneto resterà leghista finirebbe sotto il tiro di quelli che ne sono tornati a essere gli azionisti di maggioranza: i rappresentanti del nord. Per anticipare possibili agguati il capo ha registrato a suo nome tutti i simboli della Lega, non solo quello attuale con la scritta “Salvini premier”. Ma sperare di risolvere crisi politiche affidandosi a espedienti legulei è sempre ingenuo.
Consapevole della delicatezza della situazione la premier ha ordinato ai suoi di volare bassi, evitando ogni accento polemico, e propone un classico “tavolo” nel quale spartirsi da buoni alleati le candidature per l’importantissima tornata di elezioni regionali del prossimo ottobre. Amici, non c’è mica solo il Veneto! Quello però Giorgia resta fermamente determinata ad assegnarlo al suo partito. Le minacce leghista non la spaventano. E’ convinta che Salvini non abbia la forza e i margini di gioco per permettersi di far cadere il governo. Probabilmente la presidente ha ragione. Il problema che forse tende a sottovalutare che sul Veneto a decidere non sarà Salvini ma i colonnelli del nord. Molto meno malleabili.