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Bettino Craxi a 25 anni dalla morte, il ricordo del figlio Bobo: “Un patriota eliminato per terminare la Prima Repubblica”

Foto LaPresse Torino/Archivio storico

Foto LaPresse Torino/Archivio storico

Difficile restare impassibili dinnanzi al groviglio di sentimenti che scuotono l’animo dei sensibili dinnanzi alle commemorazioni “comandate” che si traducono in veri e propri giorni della memoria. Così è per me quando si arriva nei pressi del 19 Gennaio, che quest’anno coincide con il quarto di secolo che mi separa dalla morte del Padre e del leader politico, amato o mal sopportato a seconda delle angolazioni.

Ho riflettuto nell’anno solare passato circa la coincidenza che ha fatto si che figure così significative nella Storia Repubblicana del dopo guerra, Moro, Berlinguer e mio padre Bettino, un democristiano, un comunista ed un socialista, fossero periti in circostanze inusuali e, seppur diverse, piuttosto tragiche. Ed é questa circostanza che ha alimentato con il passare degli anni oltre che una necessaria revisione critica e pratica della loro parabola politica anche una sorta di mitologia che non è mai sconfinata in un tragico culto della personalità ma piuttosto in una raffigurazione simbolica che ha generato anche una sorta di identificazione in molti italiani che hanno saputo in ciascuno di loro, per ragioni e circostanze assai diverse, riconoscere tratti condivisi della lunga Storia della Repubblica che abbiamo classificato come la Prima. Certamente c’è stato un “poi”, una seconda Repubblica, ma la Prima “non si scorda mai” non solo per canzonarla alla maniera di Zalone ma perché sappiamo di che lagrime e di che sangue ne sia stata costellata.

Dopo venticinque anni riconosco che se non una vera e propria “riabilitazione” abbiamo conosciuto la restituzione di una lettura dei fatti della vita politica di Bettino Craxi assai meno stereotipata di quanto non lo fosse al momento della sua scomparsa nell’auto-esilio. Ruppe il silenzio conformista dapprima nel 1999 L’Unità dell’epoca che coraggiosamente, per ciò che aveva scritto in passato, si uní alle poche voci che chiedevano un atto di clemenza nei confronti dell’ex presidente del consiglio dei ministri. Successivamente la copiosa messe di pubblicazioni, convegni, iniziative politiche riordinarono le idee sulla forma esatta di ciò che rappresentò il craxismo nella vita politica e culturale del paese, quale scossa improvvisa fu per una nazione inchiodata e resa immobile dal riverbero inevitabile che la divisione in blocchi del mondo aveva determinato. Non fu soltanto la riedizione aggiornata del cosiddetto Centro-Sinistra declinato con la formula aritmetica del Pentapartito, ma una determinata quanto cocciuta idea di fondo, ovvero l’idea che si potesse guidare il paese da un fronte progressista sfidando simmetricamente l’immobilismo democristiano e la paralisi di un grande partito di massa qual era il PCI, alle prese con la caduca esperienza del comunismo internazionale.

Il compromesso con il potere, il mancato sfondamento elettorale e l’appuntamento mancato con la prospettiva d’avvenire dell’unità fra tutte le forze eredi del Socialismo Italiano crearono le premesse per la sconfitta politica che si trasformò poi con la gogna mediatica e giudiziaria che non solo lui in prima persona ma un’intera comunità alla fine dovette subire per espiare una colpa democratica che fu quella di aver tentato di cambiare lo stato delle cose italiane. Al decennale della sua scomparsa, Giorgio Napolitano, il più dialogante dei dirigenti del partito comunista, asceso nel frattempo alla più alta carica dello Stato, ebbe modo di dire in una lettera inviata a mia madre, commentando la triste parabola e la fine di Bettino Craxi, che la giustizia italiana si mosse nei suoi confronti con una “durezza senza eguali”. Parole, pronunciate dall’allora capo della magistratura italiana, a cui non seguirono particolari critiche. Era d’altronde così, molti sapevano che era così. Era necessario al più presto che ci si sbarazzasse della prima repubblica e che i suoi calcinacci venissero al più presto seppelliti. La Storia poi si sarebbe incaricata di mettere le cose al loro posto. Non era possibile rovesciarne gli esiti, oramai le cose erano andate avanti, nuovi protagonisti o sedicenti tali si erano impossessati del proscenio aggirandosi con destrezza sul “Teatrino” che fingevano di disprezzare; ma mettere per lo meno in condizione le nuovi generazioni di interrogarsi su ciò che fosse successo durante il tramonto della Prima Repubblica quella dove un’inchiesta giudiziaria produsse ben 25mila avvisi di garanzia, 4.525 arresti, 1.300 condanne e 41 suicidi.

Ci prova a rendere “nazional-popolare” la figura di Craxi il regista Amelio in occasione del ventennale; In sostanza ci riesce seppur con un film dove l’elemento romanzato sovrasta totalmente la realtà dei fatti. Ci discussi tardivamente, ma poi lasciai che le cose facessero il loro corso convincendomi che l’elemento compassionevole avrebbe indotto lo spettatore meno informato a prendersi la briga di approfondire la sua figura politica ma più in generale di acquisire maggiori elementi per esprimere giudizi su che cosa fosse in realtà la Prima Repubblica nel suo complesso. E nell’era delle ideologie va da sé che mio padre Bettino, pur fuoriuscendo dal cliché classico del politico dottrinario ed indottrinato, rappresentava una personalità che interpretava, aggiornandoli, i dettami della Socialdemocrazia internazionale e riannodava la tradizione socialista italiana alla storia patriottica risorgimentale.

Spingeva per un orgoglioso riscatto della nazione che era uscita umiliata dal secondo conflitto bellico, schiacciata dal nazi-fascismo e per questo a lungo rimasta sotto tutela degli Alleati. Rivendicava l’impulso che nella Storia ha fatto sí che gli italiani furono protagonisti non solo negativi nella vicenda del Mediterraneo ma ne furono una significativa espressione storica, culturale, interprete delle sue tradizioni, e quindi in grado di trovare in queste radici lo spazio ed il ruolo che la Storia aveva loro assegnato. Non è stato un caso che le sue membra riposano su una sponda che si affaccia sulle nostre coste e sulla Sicilia dei nostri avi. (Sulla X del cognome solo recentemente ho trovato la fonte originale che mo dice che mentre lui riteneva fosse genericamente “spagnola”, in realtà era Catalano-Aragonese).
Più Caprera, in omaggio al Generale Garibaldi, che Cascais, come malevolmente fu più volte descritto in quegli anni, fu il suo auto-esilio.

Tornerò in Italia, solo da uomo libero” dichiarava dandosi coraggio sapendo che non sarebbe mai accaduto. “Vieni con me” , mi disse dopo aver tentato invano un riparo francese dall’amico Jospin, che prima acconsentí e poi dovette retrocedere a causa dell’apertura di una “mani pulite” transalpina; Felipe Gonzalez seguiva le cose italiane quotidianamente, “mi vogliono far fare la stessa fine, solo che io alle ultime elezioni ho preso il 30% sarà molto difficile… dí a Bettino di tenere duro!”, mi disse a Madrid stringendo i pugni mentre Mario Soares sfidó l’impopolarità venendo a Tunisi a trovarlo all’Ambasciata del Portogallo. “Resta qui con me -mi disse – che fra meno di dieci anni non ci sarò più, rimani a casa tua..”.

Quando ripercorro il viale oggi asfaltato di Route El Fawara mi suonano le sue parole come fosse ieri. E sono passati venticinque anni; e com’è sorprendente sentire e vedere che la sconfitta e la scomparsa epica non restituiscano un’immagine triste e dolente ma una figura politica attiva, presente, a suo modo moderna e utile per chi vuole e sa trasferire dal passato ciò che é utile nel presente, tranne gli errori. Di questo dovrebbe essere orgoglioso innanzitutto lui, entrato nella Storia fa capolino nell’attualità, come un “pensiero lungo” di Berlinguer, come una lettera dal Carcere di Aldo Moro, lui prometteva di parlare e continuare a farlo. E così é stato.