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Intervista a Nadia Urbinati: “Trump 2 nasce all’insegna dell’odio per le regole”

Photo credits: Alessandro Amoruso/Imagoeconomica

Photo credits: Alessandro Amoruso/Imagoeconomica

Il Trump 2.0 ha inizio. I suoi caratteri, le priorità, i rischi per l’Europa. L’Unità ne discute con Nadia Urbinati, accademica, politologa italiana naturalizzata statunitense, docente di Scienze politiche alla prestigiosa Columbia University di New York.

Professoressa Urbinati, anche alla luce dell’Inauguration Day e delle precedenti esternazioni di Mar-a-Lago, cosa c’è da attendersi della seconda presidenza Trump?
Che cominci subito a fare, almeno in parte, quello che ha promesso in campagna elettorale. Innanzitutto, l’espulsione di molti immigranti senza permesso. Questo comincerà a farlo subito anche perché ormai ha il sostegno di più del 50% degli americani, anche tra i democratici, come emerge da un recentissimo sondaggio di Ipsos per il New York Times. La maggioranza degli americani sembra favorevole anche a queste misure estreme.

Perché, professoressa Urbinati?
Nella grande maggioranza, le classi lavoratrici, tutte, sindacalizzate o no, repubblicane o no, sono state persuase da qualche anno di propaganda trumpiana che il peggioramento delle loro condizioni salariali e di vita siano dovute in primo luogo ad una competizione nel mercato del lavoro che, come Trump ha sempre sostenuto, è disonesta, perché chi è senza documenti ha tutto l’interesse a non emergere e quindi contribuisce a generare una economia in nero e a fare concorrenza sleale ai lavoratori americani. Sappiamo tutti che questa è una posizione fasulla, perché personaggi come Trump e come i suoi sostenitori plurimiliardari, come anche gran parte dei ceti medi americani e occidentali, vivono del lavoro degli immigrati senza permesso di soggiorno. Pensiamo all’Italia, ai lavoratori stagionali delle campagne pugliesi ed emiliane. Ma non c’è da essere scandalizzati se chi sta peggio o è povero ha questa opinione: questo è il prodotto di una propaganda tenuta in mano da chi è ricco e ha il potere di alimentare la paura. Sulla paura dell’immigrazione vengono riversati tutti i problemi sociali prodotti dalle diseguaglianze di potere economico tra i cittadini democratici: problemi che le democrazie capitalistiche non sono in grado di risolvere. Finché ci sarà un sistema capitalistico progressivamente sempre meno regolato e con meno attenzione ai servizi sociali, ci saranno condizioni di vita peggiori per fasce sempre più larghe di popolazione – non è l’immigrazione la causa dei problemi, come le destre vogliono far credere. Trump ha insegnato, e l’Italia della Meloni l’ha imparato benissimo, a riversare sull’immigrazione tutti i problemi sociali, dalla sicurezza alla mancanza di lavoro al femminicidio. La campagna è stata così martellante in questi anni che ormai ci credono in molti qui in America, anche parte dei democratici.

E per il resto?
Ci sarà il problema dei dazi. Una “guerra” economica che peraltro è già iniziata ma con strani scenari rispetto alla promessa di muro contro i prodotti cinesi fatto da Trump in campagna elettorale. In fondo, Trump e gli oligarchi pensano prima di tutto ai loro interessi. Il proprietario cinese dell’app TikTok, ByteDance, ha chiuso volontariamente il servizio negli Stati Uniti poche ore prima della scadenza di domenica imposta dalla Corte Suprema che aveva confermato una legge che vieta di fatto i prodotti cinesi. Ebbene, dopo la decisione unilaterale di TikTok, e dopo aver appurato che milioni di giovani lo usano, domenica stessa Trump ha scritto su X che avrebbe ripristinato TikTok, promettendo di emettere un ordine esecutivo lunedì (giorno del suo insediamento) per estendere il periodo di tempo prima che la legge entri in vigore. Quindi un favore per tenere aperta una trattativa e consentire a Musk l’acquisto? Non si può dire. Ma i cinesi hanno fatto intendere che sono disposti a cedere il TikTok USA pur di non subire dazi. Certo è che il clima è quello di una lotta economica con la Cina – ma in questa lotta, contrariamente a quella politica, quel che conviene e non conviene cambia secondo i calcoli e non è detto che da lotta si passi a trattativa. Non sarebbe errato parlare di una Seconda Guerra Fredda. La prima si è conclusa. La seconda si affaccia ora. Le due guerre del secolo dichiarate da Trump, quella contro l’immigrazione dai paesi poveri, e quella contro lo strabordante potere economico espansivo della Cina, saranno al centro, il core business politico-economico, della seconda presidenza Trump.

Tutti i grandi capi del Big Tech, non solo Musk ma Zuckerberg, Bezos, ora anche Bill Gates, hanno sostenuto e si sono “attovagliati” con il tycoon. È solo opportunismo?
Non scherziamo. È qualcosa di molto più radicale e, per questo, inquietante. Diciamo che stiamo assistendo a questo fenomeno: l’oligarchia sta lanciando l’assalto all’establishment politico – si potrebbe chiamare il populismo dei potenti. Pochi giorni fa c’è stata una interessantissima intervista sul New York Times ad uno dei ricchi dell’Hi-tech, Marc Andreessen, il fondatore di Netscape insieme a Benjamin Horowitz (figlio del grande intellettuale radical, teorico e attivista dei diritti civili e tra i fondatori della New Left negli anni ’60). Andreessen e Horowitz hanno una multinazionale che controlla Airbnb e oltre 100 aziende di intelligenza artificiale. Andreessen, un democratico da sempre, è passato nel campo trumpiano. Un ragazzo di campagna del Wisconsin che ha goduto, come altri ricchi papaveri della Silicon Valley, di borse di studio dello stato federale per accedere al college. Grazie alle politiche di Al Gore (governo Clinton), che ha sempre creduto nelle startup, e poi a quelle di Barak Obama. Da quell’intervista si capisce una cosa importante…

Quale?
Che il mondo Hi-tech, informatico, di Palo Alto, della Silicon Valley, è nato democratico, con grandissime aspirazioni radicalmente “liberal”, diritti, espansione delle opportunità, benessere per tutti, superamento del lavoro, libertà nelle relazioni interpersonali e nei costumi (sostegno pieno ai modi di vivere che sono oggi associati a lgbtq+). Andreessen parla di quel gruppo di inventori e giovani ricchi come più radicali dei democratici. Erano una new-New Left, quella che le destre oggi criticano come epitomoni del “gender culture” o del wokismo. Ebbene, oggi tutti sono con Musk e Trump.

Come si spiega?
L’intervista a cui facevo riferimento ci parla di un tempo cambiato. Ora, sono i giovani che lasciano i democratici. Purtroppo, ma è la realtà. Il secondo Trump, è un Trump cupo e vendicativo. Eppure, attrae i giovani con la promessa di liberarli dai divieti, dalle regole; di dare loro libertà. Sostiene Andreessen che essi sono convinti che la radicalizzazione, che pure hanno voluto, dei diritti individuali e culturali sia arrivata a un punto finale; che più che una espansione dei diritti sia diventata una forma di soffocamento della libertà di espressione. I diritti culturali si rivoltano contro i diritti individuali; e invece di generare condizioni di maggiore opportunità, finiscono per strangolare le opportunità di vita e di creatività. Nel nome della creatività, dunque, nel nome della libertà individuale (quella che Isaiah Berlin definí “libertà negativa”) i giovani oligarchi sostengono il secondo Trump. Che vuole la deregolamentazione di tutti gli interventi censori nel mondo dei social – dire quel che si vuole, saremo noi a correggerci: controllo orizzontale, come dice Marc Zuckerberg. Che vuole, soprattutto (poiché non siamo ingenui) una deregolamentazione nel settore dell’informatica e della finanza (dopo la crisi del 2008, aggravata di nuove regole protettive degli investitori) – loro dicono “per esaltare la creatività nell’economia e nella ricerca, in tutte le direzioni, dalla robotica, alla riproduzione della vita, senza limitazioni. È la rivoluzione della New Right. Una reazione estrema alla new-New Left. E si tratta di un mutamento egemonico e generazionale. Non è Trump l’autore, anche se lo impersona assai bene e con tutto il proprio interesse. Trump è un simbolo, trovato per caso, nel senso che lui si è prestato a questo movimento in timida crescita quando fu eletto la prima volta, senza crearlo. L’attore vero che sta dietro questo mutamento di mentalità è semmai Elon Musk. Musk è il guru del secondo mandato Trump, e tinge di una quasi religiosità la missione che si è dato.

In tutto questo, cosa deve temere l’Europa?
Deve temere moltissimo. L’Europa dopo Maastricht; quella che è ha coltivato l’ambizione di diventare un progetto nuovo, sintetizzabile così: non potendo dar vita ad una Europa politica con una Costituzione federale, l’Europa, la UE si è indirizzata verso l’attività normativa, regolatoria. Non è un rifugio. Certamente è stato un modo per aggirare il problema della mancanza di una legittimità politica; ha cercato la sovranità regolamentativa tenuta attraverso gli stati membri. Nel fare questo, ha utilizzato uno strumento efficacissimo nelle società di mercato, che sono basate, appunto, su sistemi regolatori. E sulla base di ciò, è intervenuta su tutte le dimensioni del mercato. L’Unione Europea si è specializzata, se così si può dire, nella protezione dei propri cittadini da un mercato selvaggio dove solo il profitto detta le regole, insensibile ai problemi della salute e delle condizioni di lavoro e di vita. Si è poi espansa verso altre regole relative al modo di produrre, di costruire e riscaldare le case, di coltivare, di cucinare: tutta la nostra vita, da dentro la casa fino ai negozi, ai ristoranti e alle aziende, è scandita dalla normativa europea (questo ha scatenato tra l’altro il populismo europeo, che è nato dopo Maastricht e ha una forte colorazione anti-Bruxelles). Ha cambiato il modo di assumere le persone: non si possono indire concorsi pubblici senza attenzione alle garanzie del pari trattamento per le donne e le minoranze. C’è un mondo di regolamenti che definisce la vita pubblica e privata delle nostre società. Il passo finale di tutto questo, la classica ciliegina sulla torta, doveva essere la regolamentazione del potere cronologicamente ultimo ma ora il più importante: quello informatico, della comunicazione, e l’intelligenza artificiale. E qui casca l’asino…

Vale a dire?
Gli adepti e adoratori del movimento di Musk, the Silicon Valley people, operano nei settori dell’informatica e della AI. E l’Europa è il loro nemico. Se la Cina è il nemico produttore di “beni”, l’Europa è il nemico produttore di “regole”. Un nemico più facile da battere che la Cina (e che puó far comodo anche alla Cina abbattere). Chiudendo ieri seri la serata di vigilia della inaugurazione, Trump ha inanellato una serie di menzogne e la promessa che appena nel Oval Office firmerà tutti i decreti che serviranno a disarmare i decreti firmati da Joe Biden, e poi andrà avanti: deportazione degli immigrati irregolari, annullamento delle regole contro le emissioni ovvero per la protezione del clima, smantellamento della burocrazia, fine delle vaccinazioni obbligatorie, fine dei programmi delle eguali opportunità e della normativa contro la discriminazione, fine dei finanziamenti (via borse di studio) alle università. Ha galvanizzato la folla promettendo di togliere il top secret dai fascicoli dei delitti eccellenti: JKF e Martin Luther King. E poi ha chiamato accanto a se Musk; di Vance neppure l’ombra, a quanto pare il vice di un vice.