Il mondo del tycoon presidente

Parla Donald Sassoon: “Trump imprevedibile e inquietante ma il suo lavoro sarà difficile”

«Dovrà vedersela con la lobby climatica. Gli stati potrebbero opporsi ad alcuni degli atti annunciati o già firmati. E la sua maggioranza al Congresso non è enorme. Vuole mandare via gli immigrati? E come fanno a ricostruire la California...»

Interviste - di Umberto De Giovannangeli

23 Gennaio 2025 alle 09:00 - Ultimo agg. 09:50

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AP Photo/Ben Curtis, File
AP Photo/Ben Curtis, File

Il mondo del tycoon-presidente. L’Unità ne discute con uno dei più autorevoli storici inglesi e della sinistra europea: il professor Donald Sassoon, allievo di Eric J. Hobsbawm, professore emerito di Storia europea comparata presso il Queen Mary College di Londra, autore di numerosi libri di successo.

Stop al Green Deal, fuori dall’Oms, deporterò milioni di migranti. E ancora: ci riprenderemo il canale di Panama, pianteremo la bandiera americana su Marte. Intanto, reintroduce la pena di morte federale e grazia gli assalitori di Capitol Hill. Professor Sassoon, che Donald Trump è quello che da lunedì scorso è il 47° presidente degli Stati Uniti d’America?
La questione principale che gli altri Stati del mondo, soprattutto in Europa e in Cina, si dovrebbero porre è quanto di Trump è retorica, tra il farsesco e l’inquietante, e quanto poi riuscirà a fare. Ad esempio, Panama. Farà un accordo con Panama o davvero invierà truppe per riprendersi il canale? Gli immigrati. Ha detto che li ricaccia tutti. Ma sono 11 milioni quelli illegali. Intanto, la California va a fuoco, soprattutto la parte più ricca. Come fanno a ricostruirla senza gli immigrati latinos che sono la principale mano d’opera in California? Se mette dazi sulla Cina, quanto questo verrà a costare all’americano medio, visto che la Cina esporta una grande quantità di prodotti verso gli Stati Uniti e se questi dovessero costare di più, chi li produce? Poi ci sono altre cose con qui Trump dovrà fare i conti…

Ad esempio?
La lobby climatica. Lui esce dagli accordi di Parigi, altra cosa molto grave. Poi ci sono le tariffe del 25% sul Canada e sul Messico, che scatteranno dal 1° febbraio. Come farà a implementarle? Vede, nell’immaginario collettivo il presidente degli Stati Uniti è visto come il politico più importante e potente del mondo. Ma nella pratica ha dei limiti abbastanza forti, anche sul piano interno. Ci sono 50 stati con le loro elezioni, il loro ordinamento, i loro organi istituzionali, che si potrebbero opporre ad alcuni degli atti evocati o già decretati, vedi la reintroduzione della pena di morte federale, dal presidente. Lo stesso discorso vale per il Congresso. È vero che nei due rami parlamentari Trump ha la maggioranza. Ma non è una maggioranza enorme. Insomma, la strada per Trump non è tutta in discesa. Si vedrà cosa davvero riuscirà a fare. Dopotutto nel 2016 aveva promesso di costruire un muro con il Messico, ma non ha fatto assolutamente nulla. Il problema principale con Trump è il fatto che è imponderabile. Non sappiamo cosa veramente farà. Ed è un problema grandissimo per i mercati. I mercati devono sapere cosa succede. Il punto principale di chi opera nei mercati finanziari e in quelli economici e commerciali, è di poter prevedere, almeno un po’, quello che succederà. Ci sono già tante variabili imponderabili che non possono essere gravate ulteriormente da un presidente imponderabile.

Bezos, Pichai, Zuckerberg, Musk. I tecno-miliardari erano in prima fila nell’Inauguration Day. È una nuova oligarchia quella che si sta imponendo nel Trump2?
L’oligarchia in America c’era già ed era stata sviluppata almeno negli ultimi vent’anni, con Obama, con Biden e così via. Questa oligarchia è lì. Il divario tra questi ultramiliardari e il resto della popolazione è aumentato con Biden. Loro semplicemente si schierano col più forte, con chi ha vinto.

L’elemento di novità è che questi tecno-miliardari controllano un campo fondamentale nella vita di una democrazia: la comunicazione.
Sì, ma i ricchissimi già controllavano la stampa e una parte non piccola dei mass media, delle reti televisive negli Stati Uniti che erano in mano a privati. Non è un’assoluta novità. Se davvero fossero loro a dare le carte, avrebbero fatto presidente uno di loro, non l’imponderabile Trump. Non dimentichiamo che molti di questi prima erano schierati con i democratici. Durante la precedente campagna elettorale, Biden si faceva vanto di avere dalla sua parte, quelli della Silicon Valley, dell’Hi-tech… Nella vecchia analisi marxista erano i capitalisti che controllano il governo. Io proporrei un’analisi un po’ diversa: i capitalisti non riescono a controllare chi viene eletto e quando qualcuno viene eletto si schierano dalla sua parte per cercare di ottenere quello che possono per mantenere la loro potenza e la loro ricchezza.

Professor Sassoon, quanto deve temere l’Europa da questo Trump2?
Dovrebbe soprattutto temere tutto ciò che riguarda le tariffe. Ho notato che nel suo discorso inaugurale, Trump ha parlato molto poco dell’Europa. Le cose che sono importanti per gli Stati Uniti sono l’America latina per via dei migranti, la Cina e, per altri versi, la Russia e il Medio Oriente.
Quello che davvero dovrebbe preoccupare l’Europa è quanto siamo diventati irrilevanti nel mondo.

È un declino irreversibile?
Di solito evito di avventurarmi nell’accidentato campo delle previsioni. D’altro canto, anche gli Stati Uniti sono in declino. L’unica potenza mondiale che per il momento non è una fase declinante è la Cina.

Per tornare all’imponderabile Trump. Professor Sasson, uno dei suoi libri di maggior successo è Sintomi morbosi. Nella nostra storia di ieri i segnali della crisi di oggi. Trump è uno di questi sintomi morbosi?
È il sintomo più morboso.

Perché?
Lo è perché, guardando alla storia, abbiamo avuto per tutto il periodo dopo il ’45 un’America che interveniva all’estero, di solito perdendo come in Vietnam e in Afghanistan o comunque non riuscendo a gestire il pasticcio commesso, come in Iraq, in Libia e così via. Adesso abbiamo la possibilità di un’America relativamente isolazionista, che sarebbe un ritorno a prima della Seconda guerra mondiale. E anche un ritorno all’ ‘800, perché in quel secolo gli Stati Uniti avevano formidabili barriere doganali, seconde solo a quelle dell’impero zarista.

Lei che è uno studioso attento a ciò che avviene nel variegato campo delle forze di sinistra, in Europa e non solo, può aiutarci capire quanto della forza di Trump e del “trumpismo” dipende anche dalla debolezza strutturale e di pensiero delle forze di sinistra o sedicenti tali?
Le forze di sinistra stanno perdendo in ogni dove, soprattutto le forze tradizionali della sinistra, i partiti socialdemocratici – ad eccezione dell’Australia e Nuova Zelanda che non contano granché su scala globale, che non sono riusciti a definirsi come forze importanti nell’Europa dell’Est, quella ex comunista. Una delle cose che mi ha stupito di più, è che dopo il crollo del comunismo, la sinistra non è riuscita a diventare importante in quasi tutti i paesi dell’Est: Polonia, Cecoslovacchia, Romania, Ungheria etc. e perdipiù stanno perdendo negli altri Stati dell’Europa occidentale: l’Italia con un primo ministro di origine fascista, ma anche l’avanzata sostanziale di Marine Le Pen in Francia, la vittoria della destra radicale in Austria, l’ascesa dell’AfD in Germania, e per venire dalle mie parti, la Gran Bretagna, il Reform Party, il partito di Nigel Farage, sta diventato il terzo partito sul piano elettorale. Nei paesi scandinavi, che erano un po’ il modello della socialdemocrazia europea, ci sono state avanzate significative della destra. Insomma, la sinistra non è morta, ma il suo stato di salute non è ottimale, per non essere troppo spietati.

Professor Sasson, un tempo, neanche troppo lontano, gli Stati Uniti erano visti come il faro dell’Occidente, inteso non soltanto come un luogo della geopolitica, ma come un sistema di valori. Con il declino dell’America, si può parlare anche di un declino culturale, prim’ancora che geopolitico ed economico, dell’Occidente?
Direi proprio di sì. C’è un declino su scala planetaria, che non riguarda soltanto l’emergere della Cina come potenza globale, ma che è stato preceduto dall’affermarsi del Giappone già negli anni ’60-’70 e la molto probabile avanzata dell’India nei prossimi dieci-venti anni. La fine dell’Occidente è stata annunciata da almeno un secolo da vari pensatori. Questo declino è sempre più sostanziale. La forza dell’Europa come degli Stati Uniti, non l’unica ma di certo tra le più importanti, era la sua avanzata nel campo della manifattura. Ormai in quel settore strategico abbiamo perso pressoché tutti i vantaggi. Per non parlare del settore automobilistico, con la crisi della Germania. Già era avvenuto in parte con il Giappone, ed oggi la Cina è già il più grosso produttore di automobili elettriche.

Tornando, in conclusione, agli Stati Uniti. Il problema dei democratici sta soltanto in una disastrosa crisi di leadership?
Non è soltanto una crisi di leadership. È il fatto che sono stati totalmente incapaci di far valere il fatto che dal punto di vista economico gli Stati Uniti sono andati molto meglio dei competitors europei. Il fatto è che questo andare meglio è valso per i ricchi non per la maggioranza degli americani che hanno sofferto l’incremento dell’inflazione. E se Trump farà quello che ha detto di voler fare, peggiorerà.

23 Gennaio 2025

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