Il biopic sul cantautore

Voleva raccontare storie in musica e invece Bob Dylan ha fatto la storia

Il regista James Mangold: “Ho parlato con lui, abbiamo letto ogni racconto di giornalisti, scrittori, documentaristi: tutti si contraddicono. Invece di raccontare la verità fattuale, abbiamo cercato di dare l’atmosfera di quegli anni”

Spettacoli - di Chiara Nicoletti

25 Gennaio 2025 alle 22:00

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AP Photo/Chris Pizzello, File
AP Photo/Chris Pizzello, File

Confermare la sua fama da favolista, cantastorie, poeta ma al contempo mettere in dubbio che Bob Dylan sia e sia stato solo questo. Questo l’approccio del regista James Mangold nel raccontare, in A Complete Unknown, in uscita con The Walt Disney Company Italia il 23 gennaio, un pezzo di vita dell’artista. Mangold, candidato al Premio Oscar e con all’attivo successi come Ragazze interrotte o Quando l’amore brucia l’animaWalk the Line su Johnny Cash, amico e contemporaneo di Dylan, è arrivato a Roma a presentare il film insieme al cast d’eccezione composto dalla ormai superstar Timothee Chalamet su cui grava il ruolo di Dylan, Edward Norton nei panni del cantautore folk Pete Seeger e Monica Barbaro, una Joan Baez inedita.

Si parte dalla New York del 1960 dove “Bobby” Dylan approdò per provare a conoscere un suo idolo, Woody Guthrie e fargli ascoltare la sua musica, fino alla totale consacrazione e ribellione dell’artista che con Highway 61 Revisited, la svolta elettrica, cambiò per sempre la storia della musica. Agli inizi del percorso che A complete unknown racconta, Bob sottolinea quanto sia normale che le persone, come aveva fatto lui, cambino un po’ il proprio passato nel raccontarsi all’esterno. In apertura conferenza James Mangold rivendica la paternità di quel dialogo tra Dylan e Joan Baez: “Quando Tim, che interpreta Bob, dice che le persone dimenticano il passato e ricordano quello che vogliono, quella è una battuta che ho scritto io perché quando si parla di Dylan il mio compito era mettere in dubbio le affermazioni ovvie. Credo che tutti inventiamo la nostra vita, dimentichiamo la parte brutta che non ci piace, enfatizzando la parte eroica. Come narratore io stesso riconosco che non c’è una verità assoluta”, chiarisce Mangold per poi approfondire il concetto. “Ho parlato con Dylan stesso, abbiamo letto ogni racconto di giornalisti, scrittori, documentaristi, tutti si contraddicono. Invece di raccontare la verità fattuale, abbiamo cercato di trovare la sensazione del film, il tono della verità, cosa che nessun altro media, oltre al cinema, può fare. Abbiamo cercato di sentire le vibrazioni di quegli anni, prima che quelle canzoni diventassero un riferimento per tutti”.

Da vero protagonista e divo qual è, ormai, Timothee Chalamet, attore scoperto da Luca Guadagnino che lo ha consacrato ad eroe romantico con Chiamami con il tuo nome, ci tiene ad elogiare prima di tutto, il coinvolgimento suo e dei colleghi nel progetto: “Ci abbiamo lavorato per 5 anni e mezzo e questo tempo ha portato fiducia in noi stessi e fiducia rispetto al materiale. Quello di cui sono orgoglioso è il lavoro che abbiamo fatto come cast guidati da Mangold, abbiamo dato il 150%”. Sull’ipotetico messaggio, invece, che il film può portare ai giovani della sua generazione rispetto all’attivismo ed all’impegno politico, Chalamet è sbrigativo: “Non so quali possano essere le lezioni politiche, culturali o sociali del film per i giovani d’oggi.  Credo che le nuove generazioni possano imparare, da Bob Dylan, a non sentirsi mai limitate in niente e ad autocrearsi, proprio come ha fatto lui. Oggi le sfide sono più difficili e intense perché c’è troppo cinismo, se qualcuno cerca di fare una canzone politica che riflette queste sfide, capita che tutti alzino gli occhi al cielo. Magari qualcuno romperà questo cerchio”.

Con il libro di Elijah Wald del 2015 come riferimento, dal titolo Il giorno che Bob Dylan prese la chitarra elettrica. A Complete Unknown. Dylan Goes Electric!, James Mangold ha scelto di rappresentare quei 5 anni di vita del musicista, sul grande schermo, nella maniera più autentica ma misteriosa possibile. Tutto questo doveva passare per un’operazione già collaudata da Joaquin Phoenix in Walk the Line: bando alle registrazioni e ai playback, Timothee Chalamet doveva reinterpretare le canzoni di Dylan, cantare e suonare, senza fingere. Il regista ha infatti ribadito nelle sue note di produzione: “Non volevo che Timmy scomparisse. È una performance. Volevo che Timmy contaminasse Bob con la sua personalità. Se il film diventa una semplice serie di manierismi e imitazioni vocali, la rappresentazione è vuota”.

Proprio nel rispetto dello spirito autentico del film, Edward Norton, anche musicista, ha studiato il suo personaggio, Pete Seeger, per filo e per segno, nella sua devozione alla musica folk, suonando il banjo, e nell’impegno politico sempre preponderante. Principale fonte di materiale? Il web. Rivela: “Youtube è stato il principale vettore della mia indagine, è incredibile quello che ci puoi trovare. Credo che, se avessimo fatto questo film vent’anni fa, mi ci sarebbe voluto un anno di lavoro per mettere insieme tutte le interviste, i concerti, le performance che ho trovato. C’è anche un video dove Pete suona in un bar di Berlino nel 1963. Tutto ciò mi ha consentito di ingerirlo, elaborarne la voce, la postura e la sua onestà rispetto alla musica folk”.

Il lavoro di Norton, Barbaro e Chalamet a 360 gradi, performance musicali comprese, confermano l’impegno di Mangold, definito dai tre anche un po’ uno psicoterapeuta per l’approccio e la cura dei suoi attori. È lui a sottolineare la necessità di un tocco di mistero anche in un biopic e il bisogno di colpire il pubblico: “Agli attori ho chiesto di calarsi nei panni di quei personaggi, con gli abiti, la camminata, i gesti, ma anche di curare l’aspetto interiore. Condividere tutto a volte rischia di farci banalizzare le cose che invece devono restare magiche” commenta. Per poi constatare: “Credo che viviamo in un periodo di anestesia, in un momento in cui la maggior parte delle cose che facciamo non ci disturba o influenza troppo. Il pubblico, allora, prima, ti diceva ‘Sorprendimi’, ora ti dice ‘Anestetizzami’. Il pubblico non vuole più essere sfidato”.

Non ha incontrato Bob Dylan, il suo interprete Chalamet, fortuna che invece ha avuto la collega Monica Barbaro nel felice incontro con Joan Baez ma tante, sin dall’uscita del film negli Usa, sono state le critiche positive al film, anche da personalità del mondo della musica e dello spettacolo. Primo fra tutti il cantautore Neil Young che era entusiasta della prova di Chalamet. Interrogato su altri, eventuali, personaggi famosi ad aver espresso un parere favorevole verso il film, l’attore di Bones & All, ricordando a tutti la sua fede calcistica per la Magica, confessa: “Sto aspettando l’endorsement di Francesco Totti. Spero veda il film”.

L’incontro con il team di A complete Unknown si conclude con un’inevitabile domanda su quello che sta succedendo a Los Angeles e l’incendio che non sta risparmiando nessuna casa, in una livella tra ricchi e poveri. James Mangold parla per tutti: “Da qui, così lontano, è difficile immaginare quanto sia traumatica l’esperienza che stanno vivendo le persone a Los Angeles. Sono tantissimi quelli che hanno perso tutto, credo che ci vorranno, per L.A., tantissimi anni per riprendersi da quello che è successo in una notte ventosa”.

25 Gennaio 2025

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