Intervista alla giornalista
Il nuovo libro di Ritanna Armeni: il ricordo dei giovani partigiani di via Rasella
“A Roma non ci sono le montagne” è il titolo del nuovo libro della scrittrice. Che ripercorre le storie straordinarie di quei giovani che il 23 marzo 1944 compirono la più forte azione partigiana d’Europa contro i nazisti
Interviste - di Graziella Balestrieri
Quello scritto dalla giornalista, scrittrice, saggista e femminista Ritanna Armeni, che prende il titolo di A Roma non ci sono le montagne, (Casa Editrice Ponte alle grazie) è un romanzo che cammina lentamente su una strada di Roma. Un romanzo che attraversa un giorno particolare, una strada in particolare, un evento particolare, e dei ragazzi che di quell’evento saranno i protagonisti- Attori di una storia di libertà, di lotta, di guerra, che racconta la ferrea volontà di liberazione della propria città dall’occupazione e dalla violenza feroce dei nazisti.
Talmente importante la data del 23 marzo 1944 in Via Rasella a Roma, eppure non esiste una targa, oggi, in quella via, che ricordi quei 12 ragazzi del Gap, che con un gesto importantissimo, seppur violento, riuscirono a compiere l’azione di resistenza più importante dell’intera Europa contro il nazismo. C’ è una brutta pagina, dunque da raccontare: quei ragazzi sono stati volutamente dimenticati, perché in un modo o nell’altro, sono stati fatti passare incomprensibilmente come i corresponsabili della strage delle Fosse Ardeatine. A Roma non ci sono le montagne racconta dei sentimenti, delle emozioni, di una Roma grigia negli occhi di Carla Capponi, seppur racchiusa nei suoi 26 gradi, dei nemici, dei nazisti, e di una strada che la memoria di questo paese deve riprendersi attraverso i nomi dei suoi protagonisti e dei loro sentimenti, affinché le generazioni future possano riconoscere il valore e il prezzo della libertà.
23 marzo 1944.Via Rasella è una data fondamentale per la Liberazione del nostro paese ma come lei racconta nel libro non c’è una targa che ricordi i ragazzi del Gap…
Sì, questa è la cosa che colpisce di più. Perché non è un caso. Di targhe, ricordi, monumenti, anche sulla Resistenza a Roma ce ne sono tanti, ma non c’è in quella via nulla che ricordi che c’è stata la più grande azione partigiana d’Europa, nell’Europa occupata dai nazisti, che non è poca cosa. A parte per chi lo sa insomma, per chi lo capisce, c’è un palazzo pieno di buchi fatto dalle mitraglie dei tedeschi e quindi lì si capisce che c’è stato qualcosa. La prima volta che sono passata da lì non lo sapevo e non l’ho notato. Questa cosa che appare una dimenticanza, in realtà non è una dimenticanza ma è il risultato di quello che in questi anni è stato costruito attorno alla figura dei Gap che fecero questa azione. Che – badiamo bene – non dobbiamo chiamare attentato: è una cosa linguistica di non poco conto. È un’azione partigiana, dai tribunali che sono venuti dopo la guerra è stata definita un’azione di guerra, quindi un’azione con una sua piena legittimità di fronte ad un esercito occupante. L’impulso a scrivere è stato dettato da questa mancanza, da questa dimenticanza. Ad un certo punto ho pensato che non bisognasse tanto raccontare via Rasella, che è stata abbondantemente raccontata anche se – appunto – in modo fazioso, ma raccontare chi erano i protagonisti di Via Rasella, perché raccontando chi erano, cioè sentimenti, cultura, rapporto con la vita, con l’amore, con la morte si poteva capire meglio che cosa fosse stato.
Chi erano i ragazzi del Gap?
Erano tendenzialmente ragazzi borghesi. Il titolo del libro è appunto A Roma non ci sono le montagne, proprio per segnalare una differenza della lotta e dei protagonisti della lotta partigiana, tra il nord e Roma. Perché a Roma non c’era una classe operaia, quindi non c’erano gli scioperi, c’erano soltanto questi giovani che volevano essere liberi e volevano soprattutto – e puntualizziamo che si chiamavano gruppi armati patriottici, non proletari, come più volte li hanno erroneamente chiamati – dare un messaggio di liberazione della città e della Patria, questo è il significato. Ho scritto questo libro mettendo sotto l’obiettivo loro, innanzitutto, perché, secondo me, spiegare loro significa molto spiegare molto via Rasella. Soprattutto il mio obiettivo è tentare di toglierli dall’oblio in cui sono stati confinati dopo l’orrore della strage nazista delle Fosse Ardeatine, di cui a un certo punto per una somma di problemi sono stati in qualche modo ritenuti responsabili. E dunque chiedersi “perché non c’è una lapide? perché si parla poco di loro? Perché si ignorano queste donne e questi uomini, per altro medaglie d’oro e d’argento della Resistenza?” “Perché su di loro c’è questo stigma di Via Rasella e delle Fosse Ardeatine, 335 innocenti uccisi dai nazisti che sono la “conseguenza”, altra parola terribile da evitare, di via Rasella, dove la parola conseguenza è diventata storicamente responsabilità dopo un po’.” Dunque, questi ragazzi in qualche modo sono stati accusati di essere responsabili. Il problema non è che li hanno accusati solo i fascisti, la destra, ma pian pianino l’asticella si è spostata ed è diventata una sorta di tossina velenosa, perché si tratta di una tossina velenosa che è stata inserita, ed è poi diventata un luogo comune del tipo: “Perché l’hanno fatto? In fondo gli alleati stavano arrivando, in fondo la città era calma, si trattava di aspettare ancora un po’ di tempo e poi si sapeva che i tedeschi avrebbero fatto una rappresaglia” e così via. Si è costruita una leggenda nera attorno a loro, che non è esplicita ma è diventata silenzio. Quindi con questo libro ho cercato di rompere il silenzio e di romperlo parlando di loro.
È un po’ paradossale dare la colpa a dei ragazzi che hanno combattuto per la libertà…
In primis la posizione dei fascisti che hanno detto che i militanti del Gap non avrebbero accettato di scambiarsi con le vittime di via Rasella. Un falso storico dimostrato nei tribunali e quindi non vero. Poi c’è stata quella posizione del Vaticano, che nel definirla tiepida sarei benevola, e che in realtà dicendo no alla violenza, ha dato la colpa soprattutto a loro, ovvero la corresponsabilità delle Fosse Ardeatine ai militanti del Gap. Ma il rifiuto dei militanti del Gap era un falso, come dicevamo prima: gli stessi nazisti dissero che non avevano pensato ad uno scambio, anche perché impossibile visto che l’eccidio delle Fosse ardeatine è avvenuto entro 24 ore dall’azione di via Rasella. Ricordiamo che l’azione di via Rasella è stata compiuta alle 16 del pomeriggio del 23 marzo e alle 16 del pomeriggio del 24 marzo erano state già state ammazzate 335 persone per ordine diretto di Adolf Hitler; quindi, non ci piove su questa faccenda qui. Invece è più subdola, più velenosa, l’altra tossina: “beh però loro non sapevano che ci sarebbe stata rappresaglia? Se ne sono fregati?” . Non è vero, perché i tedeschi non facevano rappresaglie di questo tipo. A Roma c’erano stati centinaia di morti tedeschi ma i tedeschi non avevano fatto nulla, tutte le stragi di cui noi raccontiamo, da Sant’Anna di Stazzema a Marzabotto etc. etc. sono avvenute tutte dopo via Rasella, e sono avvenute per altro senza che nessuno avesse fatto nulla per suscitare la rappresaglia, furono stragi fatte solo per il fatto che quelli coinvolti erano territori partigiani e i tedeschi volevano dare una lezione a tutti. I protagonisti della mia storia non avevano nessun motivo di pensare che ci sarebbe stata quella rappresaglia, nessun motivo. Tutto ciò ha contribuito a creare questa leggenda nera dei ragazzi di via Rasella, corresponsabili eticamente, perché non si erano posti il problema della rappresaglia, e dall’altra parte corresponsabili politicamente, perché non avevano capito che gli angloamericani stavano arrivando. Anche questo è un falso, perché gli angloamericani avevano mandato decine, centinaia di sollecitazioni alla ribellione di Roma. Tutta questa contronarrazione è stata costruita attorno alla necessità di edulcorare e di macchiare la memoria di questi ragazzi, perché si è voluto edulcorare la storia di una resistenza anche forte, anche violenta, e ridurla a un’azione violenta che però era di guerra: la guerra è violenta. Questi ragazzi sono stati condannati ad una memoria a dir ambigua, una memoria che in realtà sotto sotto li condanna e li ritiene corresponsabili. Una cosa inaccettabile.
Le donne del Gap durante l’azione di Via Rasella che ruolo hanno avuto?
Le donne del Gap mi hanno molto colpito, perché escono un po’ dall’immagine delle partigiane, sempre coraggiosissime e bravissime del nord, che avevano una funzione importante ma in qualche modo dipendevano dagli uomini. Queste donne del Gap invece mi sono sembrate – come dire . più libere nel modo di esercitare la loro lotta personale, erano donne che avevano una loro autonomia e agivano anche in assoluta solitudine. Carla Capponi faceva saltare i camion tedeschi di munizioni per sua iniziativa, Maria Teresa Regard andò da sola a mettere la bomba alla stazione Termini nel luogo di ristoro dei tedeschi. Certo il Gap lo sapeva ma erano loro iniziative e lo facevano da sole. Insomma, donne straordinarie.
Nel suo libro descrive una Roma grigia in quel 23 marzo, anche se c’era il sole e 26 gradi…
Quella è una cosa singolare, perché l’ho trovata dopo averla scritta. Quando si scrive c’è una sorta di sincronicità per cui ti arrivano delle cose che poi effettivamente sono vere, perché evidentemente ci hai colto. Ho scritto di questa Roma grigia, dopodiché sono andata all’istituto di memoria a Roma, per lavoro e per la documentazione e ho sentito alcune registrazioni, tra cui una di Carla Capponi, la quale racconta, che quella giornata, che era una giornata in cui a Roma c’erano 26 gradi, quindi una giornata assolatissima, a lei invece era sembrata una giornata nuvolosa, con minacce di temporale da un giorno all’altro. E questo è molto interessante perché psicologicamente l’ha vissuta così, e lei si è resa conto che era stata tutta una sua visione psicologica anche quando gli altri le ricordavano che c’era sole. Era una città occupata, non libera, dove anche le cose più banali, camminare con un pacco grande, con un paio di occhiali, o avere una barba troppo lunga, era assolutamente proibito: c’era la galera, via Tasso.
Ad un certo punto del suo racconto c’è un pensiero fondamentale per i ragazzi del Gap, ovvero “Non restare a guardare…”
Quello è anche un messaggio per l’oggi, perché questi ragazzi che avevano dei valori antifascisti molto forti, dei valori di libertà molto forti, non si accontentavano di averli, di possederli, di coltivarli dentro di loro ma volevano fare qualcosa di concreto e ci credevano a tal punto da aver messo a repentaglio davvero ma davvero la loro vita, anche perché – ricordiamolo – i partigiani finivano a Via Tasso, venivano presi e torturati. Questa è una lezione per l’oggi, perché oggi ci sono molte persone che pensano giustamente, però sono poi poche quelle che praticano queste loro idee e questo, secondo me, è proprio il difetto del mondo in cui viviamo.