La legge di Cooperazione non lascia dubbi
Il governo doveva arrestare Almasri, invece lo ha portato in salvo
Il ministro della Giustizia non ha alcuna facoltà di disattendere la richiesta della Cpi, ma solo l’obbligo di adoperarsi per porla in esecuzione. Dopo la scarcerazione di Almasri avrebbe dovuto impegnarsi per farlo arrestare di nuovo e consegnarlo alla Corte. L’Anm ha ragione: è stata una scelta politica
Politica - di Gianfranco Schiavone

Almasri Osama Elmasry Njeem (noto come Almasri) è accusato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) della gestione di strutture carcerarie a Tripoli, ed in particolare del carcere di Mitiga “dove migliaia di persone sono state detenute per periodi prolungati” e come tale “è sospettato di crimini contro l’umanità e crimini di guerra, tra cui omicidio, tortura, stupro e violenza sessuale, presumibilmente commessi in Libia dal febbraio 2015 in poi”. Per la loro natura i reati imputati rientrano a pieno titolo nei crimini per i quali sussiste la competenza della CPI. Le accuse mosse ad Almasri riguardano crimini contro l’umanità (omicidio, detenzione, tortura, persecuzione e altri atti inumani) nonché crimini di guerra.
In data 18 gennaio 2025 la Corte emetteva un mandato di cattura di Almasri e sulla base del luogo e degli spostamenti del ricercato nell’area Schengen la richiesta della Corte è stata inoltrata a sei Stati tra cui l’Italia. Nel suo comunicato stampa del 22 gennaio la Corte ha sottolineato che la richiesta “è stata trasmessa attraverso i canali designati da ciascuno Stato ed è stata preceduta da consultazioni e coordinamenti preventivi con ciascuno Stato per assicurare l’appropriato ricevimento e la successiva attuazione della richiesta della Corte”. Nello stesso comunicato la CPI ha evidenziato che “la Cancelleria ha anche ricordato alle autorità italiane che, nel caso in cui dovessero individuare problemi che potrebbero ostacolare o impedire l’esecuzione della presente richiesta di cooperazione, dovrebbero consultare la Corte senza indugio per risolvere la questione. Il 21 gennaio 2025, senza preavviso o consultazione con la Corte, Osama Elmasry Njeem sarebbe stato rilasciato e riportato in Libia. La Corte sta cercando, e non ha ancora ottenuto, una verifica da parte delle autorità sui passi che sarebbero stati compiuti”.
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Il comunicato della CPI contiene già in sintesi tutti gli elementi che caratterizzano l’oscura storia che ha avuto come esito il rapido ritorno di Almasri in Libia con un volo di stato italiano. Come noto, il 19 gennaio Almasri veniva arrestato a Torino; il 21 gennaio la IV sezione penale della Corte d’appello di Roma emetteva però un’ordinanza di scarcerazione di Almasri (procedimento n.ro 11/2025 R.G.A.I) aderendo alla tesi del Procuratore Generale secondo la quale vi sarebbe stata “irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il Ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la Corte Penale Internazionale; Ministro interessato da questo Ufficio in data 20 gennaio u.s., immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”.
Vi sono ragioni per dubitare dell’interpretazione della norma su cui si è basata la citata Sezione della Corte d’Appello di Roma; come infatti hanno fatto osservare alcuni giuristi (Valeria Bolici e Alberto Martino, “La pagliuzza e la trave”, in Questione Giustizia, 23.01.25) alla cui tesi chi scrive modestamente aderisce, pur nell’inerzia del Ministro della Giustizia “la trasmissione degli atti della Corte Penale Internazionale al Procuratore generale avrebbe infatti consentito la richiesta di applicazione della misura cautelare da parte della Procura, e la conseguente applicazione della cautela”. Non mi addentro tuttavia ulteriormente su questi profili strettamente tecnico-giuridici rinviando chi vuole farlo alla lettura della citata analisi, in quanto in ogni caso il cuore della questione risiede altrove. Anche volendo infatti aderire all’interpretazione normativa fornita dalla citata sezione penale della Corte d’appello che ha ritenuto di non poter convalidare l’arresto di Almasri per ragioni procedurali, non possono essere elusi diversi e cruciali interrogativi; perché il Ministro della Giustizia Nordio non ha tempestivamente inoltrato alla Corte d’Appello la richiesta di convalidare l’arresto al fine di consegnare il ricercato Almasri alla CPI? L’articolo 59 dello Statuto della CPI stabilisce che “lo Stato Parte che ha ricevuto una richiesta di fermo, o di arresto e di consegna prende immediatamente provvedimenti per fare arrestare la persona di cui trattasi, secondo la sua legislazione e le disposizioni del capitolo IX del presente Statuto”. Altresì l’articolo 97 dello stesso Statuto della CPI prevede che “Quando uno Stato parte, investito di una richiesta ai sensi del presente capitolo, constata che la stessa solleva difficoltà che potrebbero intralciarne o impedirne l’esecuzione, esso consulta senza indugio la Corte per risolvere il problema”.
La L. 20.12.2012 n. 237 relativa alla cooperazione con la Corte Penale Internazionale, all’articolo 2 prevede che i “rapporti fra lo Stato Italiano e la Corte Penale Internazionale sono curati in via esclusiva dal Ministro della Giustizia, al quale compete di ricevere le richieste della Corte e di darvi seguito” tanto che l’articolo 14 c.3 della stessa legge dispone che “il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte penale internazionale l’avvenuta esecuzione della misura cautelare”. Tale competenza non pone in capo al Ministro della Giustizia alcuna facoltà di disattendere o diversamente valutare la validità e l’efficacia della richiesta di arresto emanata dalla Corte Penale, bensì solo l’obbligo di adoperarsi per porlo in esecuzione, interagendo con la Corte stessa in caso di problemi attuativi e procedurali di qualunque natura al solo fine di conseguire l’obiettivo; anche in caso di ritardi e di problemi organizzativi di ogni genere, e quindi e a maggior ragione, dopo la scarcerazione di Almasri, il Ministro Nordio, e l’intero Governo, avrebbero dovuto adoperarsi per farlo arrestare e consegnarlo alla Corte Penale Internazionale.
Dopo la scarcerazione di Almasri il Ministro dell’Interno Piantedosi, con fulminea tempestività, ha provveduto invece all’emanazione di un provvedimento di espulsione a suo carico per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato disponendo accompagnamento immediato di Almasri in Libia con un volo di Stato predisposto per l’occasione. Tale peculiare tipologia di provvedimento espulsivo, prevista dall’articolo 13 c.1 del TU Immigrazione è disposto dal Ministro dell’Interno “dandone preventiva notizia al Presidente del Consiglio dei ministri e al Ministro degli affari esteri” (nel caso, a Meloni e a Tajani). Gli unici motivi per cui Almasri poteva a ragione essere ritenuto un grave pericolo per la sicurezza dello Stato sono rappresentati tuttavia proprio dalle accuse di crimini contro l’umanità e di crimini di guerra in ragione delle quali egli era ricercato ed andava consegnato alla Corte Penale Internazionale e non certo fatto sparire dall’Unione Europea e riportato in Libia dove la Corte non potrà agire (la Libia non ha firmato il trattato internazionale che istituisce la CPI). Con la restituzione di Almasri alla Libia le finalità della norma sull’espulsione per decisione ministeriale dei soggetti pericolosi sono state dunque del tutto rovesciate; il conseguente sviamento di potere appare evidente.
Ha ben ragione l’Associazione Nazionale Magistrati quando, ribattendo alle bizzarre dichiarazioni della presidente Meloni secondo la quale Almasri “è stato liberato non per scelta del Governo ma su disposizione della magistratura” osserva nel suo comunicato del 26.01.25 che “Almasri, per scelta politica e nel silenzio del Guardasigilli, il solo deputato a domandare all’autorità giudiziaria una misura coercitiva, è stato infine liberato e, seppur indagato per atroci crimini, riaccompagnato con volo di Stato in Libia. Tanto va detto per amor di verità”. Almasri potrà dunque rimanere in Libia continuando ad esercitare il suo potere e custodendo i suoi terribili segreti. A noi tutti, ognuno per il suo ruolo, incombe però la responsabilità di andare a fondo su questa pagina così oscura della storia del nostro Paese, per quanto tempo e fatica ciò richieda.