Dal 20 febbraio nelle sale
Il seme del fico sacro, il regista Mohammad Rasoulof: “Ero nella stessa prigione di Cecilia, l’Iran cambierà grazie alle donne”
Il cineasta più volte incarcerato dal regime racconta una piccola famiglia per raccontare un Paese opprimente che risponde con pene capitali e carcerazioni al dissenso. “La rivolta pacifica è il motore del cambiamento”
Spettacoli - di Chiara Nicoletti
Arriverà finalmente nelle sale il 20 febbraio con Lucky Red e Bim Distribuzione, Il seme del fico sacro del regista iraniano Mohammad Rasoulof, film candidato agli Oscar come Miglior Film internazionale e vincitore del Premio Speciale della giuria all’ultimo Festival di Cannes. Il regista che con Il male non esiste, aveva vinto l’Orso d’oro al Festival di Berlino, è tornato a raccontare il suo paese oppresso sotto il regime della Repubblica Islamica e per questo, dopo varie incarcerazioni, vive in esilio.
A Roma a presentare il film, Rasoulof parla di Cecilia Sala, dei capi d’imputazione a suo carico a causa del film e della situazione in Iran. Spiega come, raccontando il microcosmo di una famiglia nel film, in realtà realizzi un ritratto del suo intero paese, scosso dalle pressioni politiche e religiose, dalle repressioni, dalle censure e dall’oppressione nei confronti delle libertà personali. Il potere di un padre di famiglia, schiavo del regime, in scontro con le proprie figlie, simbolo delle giovani generazioni che si oppongono e si battono per il cambiamento.
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Dopo la prigione, la fuga, l’esilio, come si può continuare a raccontare il proprio paese?
Gli ultimi 46 anni della storia iraniana, dall’avvento della Repubblica islamica, sono pieni di eventi molto difficili che ancora non sono stati raccontati. Per esempio, durante le prime decadi della Repubblica Islamica, sono state giustiziate migliaia di persone e finora nessun regista iraniano è riuscito a farci neanche un film. C’è questo passato pieno di storie affascinanti che è possibile raccontare. Circa 5 anni fa, in un periodo in Iran in cui non mi era consentito lasciare il paese, non avevo il passaporto né potevo filmare per strada, ho pensato di realizzare un film basato su degli archivi usando l’animazione. Poi siamo in un mondo interconnesso anche grazie ai social ed oggi ci sono varie generazioni di artisti iraniani in esilio che prima non avevano mai dovuto lasciare il paese in massa. Questo in realtà ci dà speranza riguardo al fatto che sia possibile raccontare delle storie che abbiano sia un legame con il vero vissuto odierno della gente comune in Iran sia con un pubblico globale.
Ha già progetti in lavorazione? Che conseguenze ci sono state per chi ha partecipato al suo film?
Riguardo i progetti futuri, ho tre sceneggiature in mano, pronte, ma siccome sto viaggiando non stop con il film, non sono ancora riuscito a capire da quale iniziare. Per quanto riguarda invece i miei collaboratori, tra gli attori la persona attualmente in Iran è l’attrice che interpreta la madre, Soheila Golestani. Tutti gli altri sono riusciti a lasciare il paese, alcuni clandestinamente, altri no e poi ci sono tanti membri della crew tuttora in Iran e c’è un processo giudiziario in corso nei confronti di tutti coloro che hanno preso parte al film. Siamo accusati di propaganda contro il regime, attentato contro la sicurezza pubblica e diffusione della prostituzione e della corruzione sulla terra. Soheila Golestani, un’attrice e un’artista incredibile, ha dovuto passare un periodo in carcere durante i primi mesi della rivolta Donne Vita Libertà perché ha pubblicato un video sui social che è diventato virale. Quando le abbiamo offerto il ruolo, fortunatamente ha accettato.
Cecilia Sala è stata incarcerata nella prigione di Evin dove anche lei è stato, che ne pensa di quel che è successo?
Vorrei congratularmi con Cecilia Sala poiché ha scelto di andare in Iran e vedere da vicino la condizione delle donne iraniane. Io ho passato due periodi nella stessa prigione e posso ben immaginare che esperienza difficile sia stata per lei. Forse ancora più difficile, perché io ho vissuto in Iran, ci sono nato e cresciuto e mi sono preparato in qualche modo a combattere le difficoltà con cui ci confrontiamo tutti i giorni e immagino che si arrivi un po’ più preparati a quel tipo di esperienza, rispetto a una persona europea. Io poi ho provato a riflettere su tutto ciò che avviene in prigione, nelle condizioni della famiglia che ho ritratto in Il Seme del fico sacro, nel modo in cui vengono influenzate le dinamiche familiari. Ho provato, quindi, a portare questa mia esperienza personale della prigione a un pubblico più ampio.
Nel film sono presenti immagini di vere manifestazioni, girate da cellulare. Come ha reperito questo materiale?
Come sicuramente tutti sapete, il giornalismo in Iran è un mestiere difficile e non è permesso ai giornalisti di documentare le manifestazioni e le proteste quindi sono gli stessi manifestanti che divengono, con i loro dispositivi personali e i loro cellulari, dei giornalisti. Li chiamiamo giornalisti cittadini. Mandano e condividono questi video e foto tra di loro sui social anche per farli arrivare all’estero e tenere informata la popolazione mondiale su ciò che sta succedendo. Io ero in prigione da vari mesi quando è iniziato il movimento Donne Vita Libertà, per via di film precedenti che avevo fatto e la prima cosa che ho fatto quando sono uscito finalmente di prigione è stato di fiondarmi a vedere tutti i video che non avevo potuto vedere fino a quel momento. Sapevo che avrei fatto un film clandestinamente dunque mi chiedevo come avrei potuto ricreare queste scene di protesta, visto che il film sarebbe stato ambientato in un piccolo appartamento. E mi pareva importante riconoscere l’importantissimo ruolo dei social nel rendere più forti e più coesi gli attivisti e le attiviste e nel dare loro coraggio e voglia di scendere in piazza. Poi mi sono detto che anche dove avessi potuto ricreare le scene, non sarei mai riuscito a ottenere la stessa forza della cruda realtà.
I cambiamenti sullo scacchiere geopolitico che conseguenze avranno in Iran ?
Non sono certo in grado di fare previsioni politiche, non ne ho neanche la preparazione. Ma posso dire che la Repubblica Islamica ha perso molto terreno ed è più fragile rispetto a un tempo. Mi auguro che tutti questi enormi cambiamenti degli ultimi anni portino alla gente in Iran la libertà che desidera. Io sono in uno stato di shock costante e so soltanto che continuerò a venir scioccato e sorpreso.
Sono le donne il motore dei cambiamenti in Iran? Come sta cambiando l’opposizione nel suo paese?
La lotta per i diritti delle donne in Iran ha radici molto antiche e quindi quest’ultima fase, iniziata nel 2022, è solo l’ultimo anello di una lunga catena. Ci tengo a sottolineare che questa lotta non riguarda solo i diritti delle donne bensì richieste molto più ampie, generali, riguardo i diritti umani. E non è certo portato avanti solo dalle donne ma anche da tanti uomini tra cui ci sono anche io. Questo movimento civile è totalmente pacifico e rigetta ogni forma di violenza. Se ne vedono già i successi. Per esempio, un paio di mesi fa è stata presentata una nuova legge in approvazione incentrata sul modo di vestire delle donne, che avrebbe avuto conseguenze durissime. Il Consiglio si è tirato indietro, non ha voluto approvarla, non perché non volesse ma perché diventava troppo. Dunque, il regime cerca ogni occasione per opprimere le donne e le persone ma la società civile continua a contrastarlo. La situazione che abbiamo al momento è questa guerra quotidiana che va avanti tra la società civile, soprattutto le donne, da un lato e la Repubblica Islamica dall’altro.