Le testimonianze

Almasri, parlano le vittime del boia libico: “Come può Meloni rendersi sua complice?”

Tre sopravvissuti raccontano in Parlamento le sevizie subite nelle celle sotto il diretto comando di quello che Giorgia Meloni chiama “il cittadino libico”

Politica - di Angela Nocioni

30 Gennaio 2025 alle 09:00

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Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica
Photo credits: Sara Minelli/Imagoeconomica

Mentre lo scimmiottamento di Trump diventava agenda di governo, con tutta la maggioranza incatenata al canovaccio del drammone esasperato del ‘non ci faremo fermare così, avanti senza esitazione’ – da leggere in versione integrale il messaggio di Arianna MeloniAvanti sorella mia, sei il nostro orgoglio” – nella sala conferenze di Montecitorio tre persone arrivate in Italia dopo essere passate per le mani del torturatore Almasri, accompagnato con un volo di Stato italiano in gran fretta nell’unico posto in cui di certo la Corte penale internazionale non lo può processare cioè in Libia, hanno chiesto al governo italiano: “Perché non avete consegnato Almasri alla Corte dell’Aja?”.

Lam Magok, David Yambio e Mahamat Daou, tutti e tre ex prigionieri delle celle libiche dove comanda Almasri e firmatari delle denunce contro di lui alla Corte penale internazionale, hanno descritto alcune delle violenze delle quali sono state vittime e testimoni. Dice Lam Magok che dopo una evasione fallita viene da lui “Almasri con la pistola in pugno e ci disse che ci avrebbe uccisi”. Cinque giorni di torture. “Meloni dice di essere madre e cristiana: le chiedo come può rendersi complice di un criminale?” chiede. Ad ascoltare le testimonianze ci sono alcuni parlamentari delle opposizioni, ci sono Nicola Fratoianni e Angelo Bonelli di Alleanza Verdi e Sinistra, c’è la segretaria del Pd, Elly Schlein, c’è Riccardo Magi di + Europa e Vittoria Baldino dei Cinque Stelle (Giuseppe Conte non pervenuto). Hanno tutti il buon gusto di non parlare lasciando la conferenza stampa ai testimoni, poi usciranno con un comunicato congiunto: “L’informativa in parlamento l’hanno fatta loro”. I ministri Nordio e Piantedosi infatti, attesi alle camere al posto della presidente del Consiglio che manda avanti loro per dar conto della esfiltrazione dell’aguzzino, si sono incredibilmente sottratti al dovere di riferire in Aula.

Innegabile è che il Falcon dei servizi era già stato organizzato per riaccompagnare il torturatore a casa molto prima che la Corte di Appello firmasse l’ordine di scarcerazione. Il decreto d’espulsione è stato preparato da Piantedosi mentre il ministro della Giustizia Nordio emetteva un comunicato in cui dichiarava che stava “valutando la trasmissione formale della richiesta della Corte dell’Aja al Procuratore generale di Roma, ai sensi dell’articolo 4 della legge 237 del 2012”. Una “valutazione” conclusasi con una decisione di non richiedere alla Corte di Appello di Roma misure cautelari di limitazione della libertà personale. L’ordinanza della Corte di Appello di Roma prende atto della mancata richiesta di arresto che doveva provenire dal ministro della giustizia. Dall’ordinanza risulta che già domenica 19 gennaio, subito dopo l’arresto, la questura di Torino aveva trasmesso l’intera documentazione al Procuratore della Corte di Appello di Roma ed allo stesso ministro della giustizia.

L’Italia, anche per effetto del provvedimento di espulsione ministeriale, non ha rispettato le regole di cooperazione giudiziaria stabilite nello Statuto della Corte firmato a Roma e nella legge di attuazione 20 dicembre 2012, n. 237, non solo In base all’art. 4 della legge di attuazione ma soprattutto in base all’art. 14 comma 3 della stessa legge in materia di applicazione provvisoria della misura cautelare, secondo cui “ Il Ministro della giustizia comunica immediatamente alla Corte penale internazionale l’avvenuta esecuzione della misura cautelare”. Nessuno al governo ha consultato la Corte dell’Aja, prima di procedere al rimpatrio immediato di Almasri.

L’ espulsione disposta dal ministro dell’interno per “motivi di sicurezza nazionale ex art.13 comma 1 del Testo Unico sull’immigrazione”, veniva eseguita attorno alle 19 di martedì 21 gennaio, con un volo speciale per Tripoli organizzato già ore prima dai servizi, quindi con una piena consapevolezza del Viminale di procedere in tempi rapidi all’espulsione, senza che ci fosse alcuna consultazione con la Corte Penale internazionale, obbligo di legge che non poteva essere ignoto neppure al ministro dell’interno ed alla Presidente del Consiglio, che in questi casi di espulsione “ministeriale” devono essere avvertiti dal titolare del Viminale, prima della esecuzione della misura di allontanamento. La “pericolosità sociale” del generale Almasri non c’entra evidentemente nulla con il suo comodo volo di ritorno a casa, ossia nell’unico posto in cui la Corte penale internazionale non potrà mai farlo andare a prendere.

Quale ”pericolo per l’ordine pubblico”, o per la “sicurezza dello Stato”, sarebbe potuto provenire da Almasri detenuto in un carcere italiano sotto mandato di arresto della Corte dell’Aja? Lo show con canovaccio trumpiano ha per ora permesso a Meloni, Piantedosi, Nordio e Mantovano di non rispondere in Aula alla domanda. Sperano di aver risolto il problema rifilando alla avvocata Bongiorno il lavoraccio di inventarsi una risposta.

30 Gennaio 2025

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