Lo "spopolamento" di Gaza
Quale è il piano di Trump e Netanyahu per Gaza: prima la deportazione, poi la ricostruzione
Witkoff, inviato di Trump in Medioriente, ha assicurato a Netanyahu che il piano per la ricostruzione sarà ritardato per “incentivare” un milione di sopravvissuti della Striscia al trasferimento forzato
Esteri - di Umberto De Giovannangeli
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Il patto di ferro tra Benjamin Netanyahu e Donald Trump ha una data e un primo punto da realizzare nel breve-medio termine. La data è il 4 febbraio 2025. Il punto da realizzare è lo “spopolamento” dalla Striscia di Gaza di almeno un milione di palestinesi. In attesa del 4 febbraio, c’è chi si porta avanti con il lavoro.
L’inviato di Trump in Medio Oriente, Steve Witkoff, ha promesso al premier israeliano Benjamin Netanyahu che gli Stati Uniti rinvieranno il processo di ricostruzione della Striscia di Gaza fino a quando non saranno stati concordati i piani per garantire la sicurezza delle comunità israeliane vicine al confine. Lo riporta Al-Araby Al Jadeed, notiziario in arabo con sede a Londra ma di proprietà del Qatar, che cita un piano finanziato dagli Stati Uniti e dai paesi del Golfo. Secondo l’emittente, Washington vuole ritardare la ricostruzione per mantenere l’area inabitabile a lungo termine e promuovere l’idea di Donald Trump che Giordania, Egitto e altre nazioni arabe accettino un numero maggiore di rifugiati palestinesi. All’inizio del mese, a Witkoff è stato attribuito il progetto di sistemare temporaneamente parte degli abitanti di Gaza in Indonesia: un’iniziativa che ha colto di sorpresa Jakarta, che ha subito manifestato opposizione.
Di questo e di tanto altro Trump e l’amico Bibi discuteranno martedì prossimo alla Casa Bianca. Netanyahu sarà il primo leader straniero a fare visita a Trump in quest’inizio di secondo mandato. L’annuncio arriva da entrambe le parti mentre gli Stati Uniti esercitano pressioni su Israele e Hamas affinché continuino il cessate il fuoco nella guerra che dura da 15 mesi a Gaza. Lunedì prossimo inizieranno i colloqui sulla seconda fase più difficile della tregua. Una visita alla Casa Bianca sarebbe un’occasione per Netanyahu per ricordare al mondo il sostegno che ha ricevuto da Trump nel corso degli anni e per difendere la condotta di guerra di Israele. Intervistato da Middle East Eye, Ardi Imseis, professore di diritto internazionale alla Queen’s University ed ex funzionario delle Nazioni Unite, ha dichiarato che “il desiderio del presidente Trump di ‘trasferire’ in massa i palestinesi dalla Striscia di Gaza occupata è tanto illegale quanto velleitario”. “Secondo il diritto umanitario internazionale e il diritto penale internazionale”, ha aggiunto, “i trasferimenti forzati individuali o di massa, così come le deportazioni di persone protette dal territorio occupato al territorio della potenza occupante o a quello di qualsiasi altro Paese, occupato o meno, sono proibiti, indipendentemente dal loro motivo”.
Ma il rispetto del diritto umanitario internazionale, come di quello penale, non sembra avere cittadinanza in Terrasanta. E comunque una simile proposta non è nuova nell’ambito della famiglia Trump. Un anno fa il genero del presidente, Jared Kushner, aveva dichiarato che una “proprietà sul lungomare di Gaza potrebbe essere molto preziosa”. Quei 40 chilometri di terra affacciati sul Mediterraneo fanno gola a molti. Secondo un’analisi del quotidiano israeliano Haaretz, l’attuale attività delle forze armate ricorda il disimpegno di Israele dalla Striscia nel 2005. Esaminando un “grafico di combattimento per il 2025” distribuito nelle ultime settimane ai soldati e ai comandanti israeliani, Haaretz ha ricostruito come l’esercito israeliano abbia iniziato a distruggere edifici e infrastrutture esistenti, in modo tale che né i miliziani di Hamas possano nascondersi al loro interno né i palestinesi possano viverci. Al contempo, fa notare il quotidiano israeliano, l’esercito di Tel Aviv si sta attivando per la costruzione di strade e di strutture militari permanenti.
Un passo indietro nel tempo: 28 gennaio 2024. Migliaia di nazionalisti religiosi sono radunati a Gerusalemme per partecipare a una conferenza per la colonizzazione ebraica di Gaza: una manifestazione a cui, secondo la radio dei coloni Canale 7, presenziano 12 ministri – fra cui i ministri del Likud Miki Zohar, Haim Katz e May Golan – e 15 dei 120 deputati. “Gaza – ha detto uno degli oratori – far parte della Terra d’Israele. Laddove l’aratro ebraico scava il suo solco, là passa il nostro confine’’. Sul podio è esposta una grande carta geografica che mostra gli insediamenti ebraici rimossi da Gaza nel 2005 da Ariel Sharon e quelli che i nazionalisti vorrebbero edificare ora. Nel suo intervento il ministro per la Sicurezza nazionale (e leader del partito di estrema destra ‘Potere ebraico’) Itamar Ben-Gvir si è espresso in favore della “emigrazione volontaria” dei palestinesi da Gaza. “Dobbiamo incoraggiarla, – ha detto, fra gli applausi della platea – che se ne vadano da qua”. “Noi – ha aggiunto – dobbiamo tornare al Gush Katif (l’area di insediamento ebraico nel sud della striscia di Gaza sgomberata da Sharon, ndr.) e nel nord della Cisgiordania. Dobbiamo farlo – ha spiegato – perché questa è la Torah, questa è la morale, questa è la giustizia storica e questo è quanto opportuno fare’’.
Alla conferenza hanno partecipato fra gli altri i rabbini Dov Lior ed Elyakim Levanon, due dirigenti storici del movimento dei coloni. Un anno dopo, Ben-Gvir non è più ministro, ma il suo peso nel mantenere in vita il governo Netanyahu non è venuto meno, tutt’altro, e l’operazione “Ripulire Gaza” va avanti speditamente. Motivazioni “messianiche” s’intrecciano con le più prosaiche, e miliardarie, ragioni della ricostruzione. La Striscia di Gaza ha subito danni enormi durante il conflitto, con stime preliminari che indicano un costo per la ricostruzione compreso tra 30 e 40 miliardi di dollari, secondo il Programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP). La portata della distruzione è stata definita “senza precedenti”, con danni enormi alle infrastrutture essenziali, inclusi servizi di acqua, sanità ed educazione. Sono almeno 440 mila le case danneggiate, mentre 79mila quelle distrutte dai raid dei caccia dell’Idf. Si tratta dell’88%per cento delle abitazioni della Striscia. L’85 per cento delle scuole ha subito ingenti danni, mentre il 70 per cento di queste dovranno essere ricostruite.
Le strutture sanitarie sono quasi tutte distrutte, così come le strade, la rete fognaria e le condutture idriche. Al momento, più della metà dei terreni agricoli risulta inutilizzabile o degradato dal conflitto. Per quanto riguarda l’allevamento, 15.000 bovini, ossia oltre il 95%, sono stati macellati o sono morti, così come metà delle pecore. L’economia della Striscia è completamente paralizzata: otto attività commerciali su dieci sono chiuse. Una delle sfide più grandi è rappresentata dalla rimozione delle macerie, stimate in circa 40 milioni di tonnellate, un processo che potrebbe richiedere fino a 15 anni e costare tra 500 e 600 milioni di dollari. Inoltre, circa 80.000 case sono state completamente distrutte, e la loro ricostruzione potrebbe protrarsi fino al 2040 o oltre.
I danni alle infrastrutture sono stimati in 18,5 miliardi di dollari, evidenziando l’ampiezza della distruzione e la complessità delle operazioni necessarie per ripristinare condizioni di vita accettabili per la popolazione. Intanto, Israele ha affermato che un totale di otto ostaggi, tre israeliani e cinque thailandesi, saranno liberati da Gaza oggi. I tre israeliani sono Arbel Yehud, Agam Berger e Gadi Moses, ha affermato l’ufficio del Primo ministro Benjamin Netanyahu, aggiungendo che anche cinque cittadini thailandesi detenuti a Gaza saranno liberati.