La sindrome dell'assedio

Meloni, vittimismo e paranoie per il caso Almasri: “Danno alla nazione, i pm vogliono cacciarmi”

“Ci sono alcuni giudici che vogliono governare al mio posto: allora si candidassero. Io non mollo di un millimetro”. E Tajani attacca l’Aja

Politica - di David Romoli

31 Gennaio 2025 alle 07:00 - Ultimo agg. 31 Gennaio 2025 alle 12:18

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AP Photo/Alessandra Tarantino
AP Photo/Alessandra Tarantino

La controffensiva pianificata in un paio di vertici di maggioranza dopo l’iscrizione nel registro degli indagati di Giorgia Meloni e di tre fra i principali esponenti del governo, si è dispiegata ieri su tutti i fronti. A guidarla è non a caso il ministro degli Esteri Tajani: non è indagato lui e non figura nel mazzetto nessun esponente del suo partito, neppure un tecnico ma d’area come Piantedosi comunque in quota Lega. Spetta a lui andare alla carica, anche per dimostrare che nella maggioranza non c’è la pur minima incrinatura.

Ma anche Giorgia non manca di dire la sua, con una comparsata allo show di Nicola Porro La Ripartenza 2025. Non la manda a dire: “L’atto della procura di Roma era chiaramente voluto e non dovuto. Tutti sanno che le procure hanno discrezionalità. A chiunque nei miei panni cadrebbero le braccia”. Poi la premier va a salire: “Non sono preoccupata né demoralizzata. Quando ho accettato di guidare la nazione sapevo a cosa andavo incontro. Ma quello che sta accadendo è un danno alla Nazione e questo mi manda ai matti. Ci sono alcuni giudici che vogliono governare: si candidassero. Io non mollo di un millimetro”. È quel che aveva già detto nel messaggio social col quale aveva informato tutti sull’indagine a carico suo e dei ministri ma ripetuta qui con decibel più alti e accusando direttamente la magistratura di danneggiare freddamente l’Italia per poter “governare”. La narrazione è grezza, volutamente poco articolata. Fatta apposta per arrivare a tutti.

Al resto ci pensa Tajani e il resto è soprattutto fango, accompagnato da sospetti sul ruolo della Germania e della Corte penale internazionale, e dalla solita reticenza. Il fango era già sui giornali della destra ieri: il procuratore di Roma Lo Voi avrebbe adoperato voli di Stato per viaggi privati. Tajani punge: “Ritengo l’accusa di peculato infondata. Semmai riguarda altre vicende che stanno emergendo…”. Poi passa alla Cpi: “Almasri girava in Europa da giorni ma il mandato d’arresto è arrivato quando ha messo piede in Italia. La Cpi dovrà dare spiegazioni”. Accuse precise, come quelle rivolte alla magistratura e identiche all’intemerata della premier.

Solo quando si arriva all’intervento in aula del governo, in attesa del quale il Parlamento è congelato perché le opposizioni tutte, giustamente, non intendono procedere con i lavori sino a quando il governo non riferirà sulla vicenda, Tajani diventa vago: “Qualcuno verrà a parlare e comunque Piantedosi lo ha già fatto”. Tanta vaghezza fa presagire che NordioPiantedosi, per quanto indagati, si assumeranno l’onere di affrontare il Parlamento. Potrebbe farlo la premier, per quanto indagata a propria volta, e non è detto che alla fine non decida di contrattaccare con toni anche più agguerriti di quelli adoperati ieri in Parlamento e con tanto di diretta tv. In caso contrario, con un ministro non direttamente coinvolto nella vicenda come sarebbe lo stesso Tajani, si tratterebbe dell’ennesima presa in giro.

Il vicepremier forzista glissa sull’ipotesi di mettere a tacere la vicenda apponendo il segreto di Stato, come fu fatto per il caso del rapimento Abu Omar. L’opposizione è convinta che alla fine il governo sceglierà questa strada. Per ora a palazzo Chigi escludono tassativamente. Significherebbe aprire troppi armadi pieni di cadaveri e ammettere di fatto che il torturatore libico Almasri è stato liberato non per vizi di forma o disguidi ma in nome degli accordi tra Italia e Libia in vigore dal 2017. In base a quegli accordi i libici si occupano per conto dell’Italia di impedire ai migranti di salpare. Lo fanno riempiendo i lager di malcapitati, lo fanno torturando, uccidendo, imponendo riscatti a quelli le cui famiglie se lo possono permettere, riducendo in schiavitù gli altri. Lo fanno stuprando e costringendo le donne alla prostituzione ma l’Italia, pur sapendolo perfettamente, ha scelto di far finta di niente.

In realtà non è affatto escluso che tra i motivi che hanno convinto il governo a muoversi scompostamente pur di liberare subito il libico ci sia, oltre al ricatto dei migranti fatti partire per l’Italia, la paura di quel che Almasri avrebbe potuto dire e rivelare in un eventuale processo. La richiesta di una commissione d’inchiesta sugli accordi italo-libici che ha avanzato ieri il leader di +Europa Riccardo Magi dovrebbe essere la naturale reazione dell’intera opposizione a uno scandalo che di quegli accordi è figlio legittimo. Ma il memorandum, preparato dal ministro degli Interni Minniti e firmato il 2 febbraio 2017 dal premier Gentiloni è stato poi confermato nel 2020 dal governo giallorosso Conte 2 e nel 2023 da quello Meloni. Gli accordi con i torturatori li hanno fatti tutti e scientemente. Si può capire che nessuno abbia molta voglia di metterli in piazza.

31 Gennaio 2025

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