Le responsabilità della destra

Tutte le bugie di Stato sul caso Almasri: ecco quello che non torna…

No, non è stata la magistratura a liberare il torturatore libico, ma l’inerzia del ministro Nordio. Come mai, se l’aguzzino era tanto pericoloso è stato espulso di corsa da Piantedosi ma il Guardasigilli non se ne è preoccupato?

Politica - di Salvatore Curreri

31 Gennaio 2025 alle 14:00 - Ultimo agg. 31 Gennaio 2025 alle 20:41

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Photo credits: Giuliano Del Gatto/Imagoeconomica
Photo credits: Giuliano Del Gatto/Imagoeconomica

1. Di fronte alle contrastanti opinioni sul caso Almasri è quantomai oggi necessario fare chiarezza. E per fare chiarezza bisogna ricostruire il quadro giuridico entro cui esso si colloca. Perché le opinioni, anche quando autorevoli, che volutamente ne prescindono degradano a mera propaganda, utile solo ad alimentare posizioni pregiudiziali e a innalzare ulteriormente lo scontro tra politica e magistratura. Dunque, è dalle disposizioni in materia che bisogna prendere le mosse.

2. Il punto di partenza è ovviamente il mandato d’arresto internazionale per crimini contro l’umanità emesso contro Almasri (a maggioranza) dalla Corte penale internazionale (CPI) il 18 gennaio ed eseguito il giorno dopo a Torino. Qui resta ancora da chiarire perché tale mandato è stato emesso dopo così tanto tempo rispetto alla richiesta del Procuratore Khan del 2 ottobre e solo dopo che Almasri era stato in Gran Bretagna (6-12 gennaio) e Germania (12-17 gennaio). Su questo la CPI dovrebbe fornire spiegazioni attendibili e convincenti.

3. In secondo luogo, trasmettendo direttamente il mandato d’arresto all’autorità giudiziaria italiana, la CPI ha violato l’art. 2 della legge che ha adeguato il nostro ordinamento allo statuto di tale Corte, secondo cui “i rapporti di cooperazione tra lo Stato italiano e la Corte penale internazionale sono curati in via esclusiva dal Ministro della giustizia, al quale compete di ricevere le richieste provenienti dalla Corte e di darvi seguito”. Questo è il famoso vizio procedurale (“cavillo”) che ha portato correttamente il Procuratore generale a chiedere alla Corte di appello di dichiarare “l’irritualità dell’arresto in quanto non preceduto dalle interlocuzioni con il ministro della Giustizia, titolare dei rapporti con la CPI. Ministro interessato da questo ufficio in data 20 gennaio, immediatamente dopo aver ricevuto gli atti dalla Questura di Torino, e che, ad oggi, non ha fatto pervenire nessuna richiesta in merito”; pertanto, non ricorrendo “le condizioni per la convalida e, conseguentemente, per una richiesta volta all’applicazione della misura cautelare”, la conseguenza è stata allo scadere delle previste 48 ore l’immediata scarcerazione di Almasri (che in realtà aveva poche ore prima lasciato il nostro Paese con volo di Stato).

4. Il fatto che il ministro della Giustizia non sia stato preventivamente informato, certamente non gli impediva d’intervenire successivamente; anzi, proprio in tal senso egli era stato interessato dalla Procura il giorno dopo l’arresto. Ciò tanto più se si tiene conto che, in adempimento degli obblighi internazionali che l’Italia si è assunta aderendo (anzi, promuovendo) la Corte penale internazionale, il ministro della Giustizia non pare avere alcun margine di discrezionalità, poiché egli “nel dare seguito alle richieste di cooperazione, assicura che sia rispettato il carattere riservato delle medesime e che l’esecuzione avvenga in tempi rapidi e con le modalità dovute” (citato articolo 2).

5. Quando dunque la presidente del Consiglio afferma che Almasri è stato rilasciato per disposizione della magistratura afferma una verità solo parziale perché omette di ricordare che Almasri è stato rilasciato dalla magistratura a causa del comportamento volutamente inerte del ministro della Giustizia che in questo modo di fatto si è assunto la responsabilità politica di non dare seguito al mandato d’arresto, peraltro sulla base di valutazioni circa la sua legittimità che competono non a lui ma alla stessa CPI. Piuttosto, come tutti hanno capito, a prevalere sono state ragioni di opportunità politica (la c.d. ragion di Stato) la cui insindacabilità di fronte ai gravissimi crimini di cui Almasri è accusato, è quantomeno tutta da verificare.

6. Quanto alla decisione del ministro dell’Interno di espellere Almasri per ragioni di sicurezza, per quanto conseguenziale alla mancata convalida dell’arresto, essa si pone in evidente contraddizione con il comportamento omissivo del suo collega della Giustizia. A meno che si voglia arditamente sostenere, in un’ottica nazionalista, che, per i gravissimi crimini contro l’umanità di cui Almasri è accusato, egli costituisce un pericolo solo per l’ordine pubblico e la sicurezza del nostro Paese ma non per gli altri, dove dunque potrebbe continuare a commetterli.

Dispiace dirlo, visto che siamo tra i Paesi promotori della Corte penale internazionale, ma in tal modo si è apertamente sconfessato il principio che ne sta alla base e cioè che se i diritti fondamentali sono universali, le loro violazioni vanno perseguite e punite dappertutto da un apposito giudice internazionale. Quanto, infine, alla scelta di riportare Almasri in Libia con un volo di Stato, a parte che non è vero che avviene sempre così, dato che di solito si utilizzano i voli di linea, ovviamente ponendo l’espulso sotto scorta a protezione dei passeggeri, non vale nemmeno la pena spendere una parola su questa ciliegina sulla torta che ci ha esposto ad una figuraccia internazionale.

7. La trasmissione da parte del procuratore Lo Voi della denuncia di un comune cittadino nei confronti della presidente del Consiglio e dei ministri dell’Interno e della Giustizia è un atto voluto? No, è un atto dovuto. Quando, a seguito del lungo processo Lockheed dinanzi alla Corte costituzionale si decise che i ministri fossero giudicati non più da essa ma dai giudici ordinari, per maggiore garanzia ed evitare strumentalizzazioni politiche si attribuì il compito di svolgere le relative indagini preliminari ad un apposito collegio – il c.d. Tribunale dei ministri (cosa che non dovrebbe dispiacere a questa maggioranza che per i migranti preferisce i giudici collegiali a quelli monocratici…) – istituito presso ogni distretto di Corte d’appello e composto da tre magistrati estratti a sorte.

Questo è il motivo per cui il Procuratore della Repubblica, dinanzi ad un rapporto, referto o denunzia concernente un reato commesso dal presidente del Consiglio o da ministri nell’esercizio delle loro funzioni (art. 96 Cost.), “omessa ogni indagine” deve entro 15 giorni trasmettere “con le sue richieste gli atti relativi” al suddetto Tribunale dei ministri “dandone immediata comunicazione ai soggetti interessati perché questi possano presentare memorie al collegio o chiedere di essere ascoltati”. Piuttosto, a quanto pare, il Procuratore non ha formulato alcuna richiesta, benché prevista per legge; richiesta che, in mancanza, come detto, di indagini, potrebbe solo riferirsi alla non evidente infondatezza o fantasiosità della denuncia presentata, altrimenti subito archiviabile. Il che, nel caso specifico, è da escludere, in presenza dei fatti incontestati (almeno quelli) su cui si fondano i reati ipotizzati.

8. Questa comunicazione è un avviso di garanzia? No, perché l’avviso di garanzia presuppone che siano state svolte indagini e da queste siano emersi indizi a carico dell’indagato. Il che non è perché, come detto, le indagini spettano non al Procuratore ma al Tribunale dei ministri. Sarà quest’organo a valutare se iscrivere gli indagati nel relativo registro se dovessero emergere indizi a loro carico (art. 335 c.p.). Sottigliezze giuridiche? No, regole fondamentali su cui si basa la nostra civiltà giuridica per cui un informato non è un indagato, così come un indagato non è un imputato fin quando rinviato a giudizio, un imputato non è un condannato e un condannato non è un colpevole fino a sentenza definitiva.

Che la presidente del Consiglio, a dispetto del chiaro quadro normativo sopra ricostruito, si permetta di disinformare l’opinione pubblica, travisando volutamente la natura dell’atto ricevuto per rappresentarsi ai suoi occhi come vittima perseguitata dai pubblici ministeri, non corrisponde all’onore con cui tale alta carica deve essere ricoperta (art. 54 Cost.), tanto più se si tiene conto dell’uso di espressioni (le “fallimentari indagini”, “amico di Prodi”, “avvocato dei mafiosi”) dirette solo a screditare singole persone (v. in tal senso anche il servizio del Tg1 sui voli di Stato del Procuratore Lo Voi) e rivelatrici di un’inquietante visione dei meccanismi processuali e delle sue garanzie.

9. La trasmissione degli atti al Tribunale dei ministri ha offerto il destro ai ministri dell’Interno e della Giustizia di non presentarsi mercoledì alla Camera dove erano attese le loro informative sulla liberazione e il rimpatrio di Almasri “in ossequio alla procedura e nel rispetto del segreto istruttorio”. Anche in questo caso si tratta di una voluta distorsione dei fatti. Il segreto istruttorio (più correttamente: investigativo) è funzionale all’efficacia delle indagini (in questo caso ancora da svolgere) e alla tutela dell’onore e della reputazione dello stesso indagato, che potrebbero essere compromesse dalla pubblicazione di atti istruttori prima della conclusione delle indagini, ledendo la sua presunzione di non colpevolezza.

Che tali finalità possano invece essere compromesse dall’informativa parlamentare non solo non trova riscontro nella relativa prassi (come dimostrano le relazioni di Salvini e Santanché quando già indagati) ma non tiene anche conto del fatto che quella dei ministri verso le Camere è una responsabilità politica e non penale, attinente, cioè, alle ragioni politiche che hanno peraltro con tutta evidenza connotato la vicenda. Che l’atto giudiziario contestato, per una paradossale eterogenesi dei fini, diventi improvvisamente utile per sottrarsi al confronto parlamentare non solo è contraddittorio ma è tanto più grave nei confronti di un Parlamento moribondo che, spogliato di fatto dal Governo della sua funzione legislativa, proprio nella dimensione del controllo potrebbe ritrovare la sua perduta centralità democratica, obbligando l’esecutivo a rispondere delle proprie scelte non in piazze televisive compiacenti o a followers che credono in ciò a cui conviene credere ma dinanzi all’opposizione e sotto il giudizio dell’opinione pubblica. Così funziona una democrazia parlamentare.

31 Gennaio 2025

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