L'arresto dell'ex eurodeputata

Perché Israele ha arrestato Luisa Morgantini: vietato ficcare il naso nell’occupazione della Palestina

Nessuno deve ficcare il naso nell’occupazione della Palestina: è questa la ragione che ha condotto all’arresto dell’attivista, nel silenzio dell’Italia

Esteri - di Umberto De Giovannangeli

1 Febbraio 2025 alle 13:00

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Photo credits: Andrea Di Biagio/imagoeconomica
Photo credits: Andrea Di Biagio/imagoeconomica

Testimoni scomodi di una colonizzazione feroce in Cisgiordania. E di una guerra che ha ridotto in un cumulo di macerie la Striscia di Gaza.

A dar conto di un attacco a testimoni scomodi da parte delle autorità israeliane sono Aoi, Arci e Amnesty International in un comunicato congiunto: “Il fermo da parte dell’esercito israeliano di Luisa Morgantini (Presidente dell’associazione Assopace Palestina ed ex vicepresidente del Parlamento europeo), di Roberto Bongiorni (giornalista del Sole 24 Ore) e delle due guide palestinesi che li accompagnavano è un fatto grave ed inaccettabile. Il loro rilascio, dopo diverse ore di detenzione, non toglie niente alla gravità di quanto è avvenuto, né abbiamo informazioni su eventuali procedimenti legali a loro carico. Tuttavia, è evidente che questo episodio si inserisce in un contesto di continua repressione e violazione dei diritti fondamentali dei palestinesi nel Territorio palestinese occupato, nonché nella persecuzione di chi si oppone alle ingiustizie subite dal popolo palestinese. Le autorità hanno sequestrato i loro effetti personali, inclusi computer e telefoni, con l’intento chiaro di ostacolare il loro lavoro e sopprimere ogni voce critica contro le politiche israeliane. Un atto intimidatorio nei confronti di chi come Luisa, ha sempre posto al centro della propria azione politica la difesa dei diritti umani, la denuncia delle ingiustizie e la ricerca del dialogo. Chiediamo alle autorità italiane di premere su quelle israeliane perché sia sempre garantita l’agibilità nel Territorio palestinese occupato, per gli attivisti dei diritti umani e per la stampa internazionale”.

La presidente di Assopace Palestina ha detto all’Adnkronos che “non è assolutamente vero che ci trovavamo in una zona militare’’ quando è avvenuto il fermo, o in ogni caso “non c’era alcun segnale’’ che la delimitasse come tale. “Stavamo andando a Tubas’’, a sud di Hebron, in Cisgiordania, “dove due giorni fa i coloni hanno aggredito, picchiato e bruciato automobili, ma ci siamo fermati prima perché abbiamo visto dei coloni che stavano portando il gregge a pascolare su terreni dei palestinesi’’, racconta Morgantini. A quel punto “la polizia israeliana ci ha fermato, ci hanno preso i telefoni e hanno voluto i documenti. Ci hanno portato alla stazione di polizia di Kiryat Arba, che è la colonia dove vive Ben- Gvir”, l’ex ministro per la Sicurezza nazionale di Israele, leader dell’estrema destra israeliana. “Dopo quattro ore, ci hanno rilasciati, ma stanno ancora trattenendo i due palestinesi che erano con noi’’, ovvero l’attivista pacifista Sami Huraini e la guida di Gerusalemme Est Mohamed Barakat. “Noi da qui non ci muoviamo fino a quando non saranno liberati anche loro. L’ho comunicato anche al nostro console’’, ha spiegato Morgantini.

Dice a l’Unità Riccardo Noury, portavoce di Amnesty Italia: “Che si tratti di giornalisti, osservatori sui diritti umani, associazioni di solidarietà, è evidente il tentativo da parte delle autorità israeliane di non far sapere cosa accade adesso nella Cisgiordania occupata e nei 15 mesi di guerra nella Striscia di Gaza. E questo tentativo di non far sapere è rafforzato dall’indifferenza della comunità internazionale di cui mancano, e invece sarebbero necessarie, forme di protesta e di pressione su Israele perché consenta un monitoraggio da parte di organismi indipendenti e di rappresentanti del mondo dell’informazione”. Testimoni scomodi, non solo per Israele. Rimarca in proposito Noury: “Il grave episodio terminato con il ritorno in libertà di Bongiorno e Morgantini, è chiaramente attribuibile alle autorità israeliane e nel caso specifico alla verifica di quello che stanno facendo i coloni nel territorio palestinese occupato. Ma anche dall’altra parte, l’Autorità Palestinese mostra spesso un atteggiamento simile, di contrasto al monitoraggio indipendente che riguarda soprattutto le attiviste e attivisti palestinesi dei diritti umani”.

Informare sulla guerra a Gaza può costare la vita. Ne dà conto Anna Maria Selini in un documentato report per Altreconomia: “Il 7 ottobre 2024 a un anno dall’incursione di Hamas nel Sud di Israele che ha provocato la morte di 1.200 israeliani, secondo il sindacato dei giornalisti palestinesi (Psj), gli operatori dell’informazione uccisi o morti a Gaza erano almeno 165.[…]Il 19 gennaio 2025, invece, quando il fragile cessate il fuoco tra Israele e Hamas è finalmente entrato in vigore, le vittime palestinesi tra giornalisti, cameraman, fotografi e redattori erano salite a 200, per la precisione 198 sempre secondo il Pjs, che si basa sui professionisti registrati al sindacato. il Committee to protect journalists (Cpj) parla di ‘ambiente ostile’ ed ‘eccezionalmente impegnativo’ per i giornalisti che lavorano a Gaza, in Cisgiordania e a Gerusalemme Est”, annota Selini.

Cifre agghiaccianti, sottostimate. Il Psj, infatti, “sta investigando su numerose segnalazioni ancora non confermate di altri giornalisti uccisi, dispersi, detenuti, feriti, minacciati e sui danni alle redazioni e alle loro abitazioni. È l’83% del totale dei giornalisti e degli operatori uccisi tra Gaza e Libano dal 1992 ad oggi, l’8% di quelli uccisi nello stesso trentennio in tutto il mondo, l’85% di quelli uccisi nel 2024 a tutte le latitudini”. È il “giornalisticidio” in Palestina.

1 Febbraio 2025

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