Il cammino di civiltà smarrito

Danilo Dolci e la lotta non violenta: rispondere alla guerra con la pace

“La vera vita è quella che si vive per gli altri”, diceva il grande pacifista. Che insieme ad Aldo Capitini e Cesare Zavattini elaborò un pensiero antagonista e solidale, oggi accantonato

Editoriali - di Dorella Cianci

14 Marzo 2025 alle 17:30

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Foto LaPresse Torino/Archivio storico
Foto LaPresse Torino/Archivio storico

Mentre l’Europa cerca il suo destino, appellandosi alla corsa al riarmo per realizzare paradossalmente la pace, è importante ricordare alcune figure gigantesche del nostro Paese. Danilo Dolci, di cui da poco si è commemorato il centenario, è stato uno dei pensatori più influenti della nonviolenza. Si è distinto come una figura di straordinaria rilevanza, che ha segnato profondamente la lotta contro le ingiustizie sociali e la promozione di una vera e propria cultura della pace come fondamento della democrazia. La sua ben nota collaborazione con Aldo Capitini, un altro influente protagonista del pacifismo, e Cesare Zavattini, sceneggiatore e teorico del cinema, ha rappresentato un esempio mirabile e lungimirante di come la dedizione civile, la creatività e la solidarietà possano generare cambiamenti duraturi all’interno di una società che aspiri ad essere autenticamente maieutica verso i più disagiati.

Come affermava Dolci, «La vera vita è quella che si vive per gli altri»: una frase, apparentemente ingenua ma potente, che riassume l’essenza del suo pensiero e del suo operato. Un primo aspetto fondamentale da prendere in considerazione è l’autentica condivisione della visione pacifista da parte di queste tre grandi figure: Dolci, Capitini e Zavattini. Tutti e tre erano convinti che la guerra non potesse mai rappresentare una soluzione efficace ai conflitti, bensì una convalida a un perpetuo ciclo di violenza e sofferenza. Come è stato ricordato in un recente convegno promesso nella sede di Palermo dell’Università Lumsa, Dolci – cresciuto in un contesto segnato da povertà e ingiustizie – ebbe l’opportunità di osservare da vicino gli effetti devastanti delle disuguaglianze sociali. La sua esperienza nella Sicilia degli anni 50 lo portò a promuovere un approccio costruttivo alla risoluzione dei problemi di una società ancora impari, utilizzando strumenti come l’arte e l’educazione per stimolare un cambiamento profondo e duraturo.

Capitini, filosofo e attivista, sosteneva con fermezza che «la libertà non è un dono, ma un compito costante da svolgere», evidenziando la necessità di un impegno attivo per la tutela dei diritti umani. D’altra parte, Zavattini, noto per il suo lavoro nel cinema neorealista, credeva nell’importanza di narrare storie che riflettessero le esperienze quotidiane delle persone comuni, utilizzando il cinema per mobilitare le coscienze. La loro collaborazione si concretizzò in iniziative significative, tra cui il «Movimento Nonviolento», che oggi ha un degno erede in Mao Valpiana: un progetto rivolto a sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza della pace e della giustizia sociale, dimostrando che un cambiamento positivo è possibile attraverso l’azione collettiva. Un ulteriore punto cruciale da sottolineare è l’impatto delle idee dei tre intellettuali sulla società del loro tempo. Non si limitarono a discutere il concetto di pacifismo in termini teorici, ma si impegnarono costantemente nel tradurre le loro idee in azioni, dando vita a un movimentismo che cercava di coinvolgere, per quanto possibile, la popolazione. Organizzarono incontri, dibattiti e manifestazioni, creando una rete di attivisti, che condividevano la loro visione del mondo e della democrazia.

Come molti sanno, attraverso il lavoro di Dolci in Sicilia, in particolare, vennero affrontate questioni fondamentali come l’emigrazione (oggi tema altrettanto rilevante in forme diverse) e la disoccupazione, utilizzando il dialogo come via per le costanti e tormentate problematiche sociali. Dolci affermava con convinzione: «La lotta non violenta è una lotta per la dignità dell’uomo», dimostrando così che il pacifismo non rappresentava solo una bella e poetica astrazione, ma una pratica tangibile in grado di affrontare le ingiustizie del quotidiano, migliorando significativamente le vite delle persone coinvolte in nome di quella parola calpestata in ogni tempo, che è appunto la dignità. La loro visione comune e il loro incessante impegno hanno lasciato un segno profondo nella realtà italiana ed europea. Stiamo dimenticando questa strada? Stiamo perdendo il sogno europeo nella corsa verso modelli fallimentari? Capitini, ricordando la pace come dovere, invitava tutti a prendere parte attivamente, poiché la vita in pace non è una condizione conquistata per sempre, ma un giardino da curare.

L’eredità di Dolci, Capitini e Zavattini continua a ispirare nuove generazioni a lottare per la giustizia e la pace: noi da che parte vogliamo stare in questo frangente della storia? Ci sentiamo ancora spinti verso questa lotta nonviolenta? Quale concetto abbiamo di «democrazia»? Dolci sottolineava che la vera democrazia è quella in cui il popolo abbia l’urgenza e la voglia di partecipazione. E poi vi è un’altra questione cruciale. L’educazione, per Dolci, non era solo una questione scolastica o accademica, ma un mezzo per stimolare la responsabilità civica. Danilo Dolci, anche oggi, nelle nostre incertezze, nell’idea di una pace malata, che è solo un modo per far soccombere il più debole, resta un simbolo di speranza e di impegno per un mondo in cui la solidarietà sia una tappa (ancora troppo acerba) da raggiungere.

14 Marzo 2025

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