Il bivio tra riarmo e disarmo

L’eterno cruccio della sinistra: guerra giusta o pacifismo?

La Schlein dovrà fare i conti con una parte della componente riformista del Pd, e anche di quella cattolica, che ha, nella sua maggioranza, assunto una posizione riarmista lontana da quella del Vaticano.

Politica - di Piero Sansonetti

14 Marzo 2025 alle 15:30

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Photo Cecilia Fabiano / LaPresse
Photo Cecilia Fabiano / LaPresse

La pace e la guerra sono temi così giganteschi che è difficile risolverli con regole canonizzate di partito. Riguardano le grandissime idee di convivenza e di civiltà umana, e addirittura si riferiscono a grandi ideologie che non sono ancora morte e che non possono morire né essere sottoposte alla disciplina di schieramento.

La pace e la guerra sono temi assolutamente divisivi. Così come è divisivo il tema del disarmo o del riarmo. Le idee disarmiste sono quelle di credere che comunque esista una proporzionalità tra quantità di armi a disposizione e rischio di conflitto. Le idee riarmiste sono quelle di chi crede che le armi, oltre ad essere uno strumento di morte, siano anche il principale strumento della deterrenza. E che solo la deterrenza può garantire la pace. Nella sinistra la divisione tra pacifisti e non pacifisti è vecchissima. Risale ai primi del Novecento, alla guerra di Libia e poi alla prima guerra mondiale. Il partito socialista guidato da Mussolini e da Turati e da Lazzari era assolutamente pacifista in occasione della guerra di Libia.

Celeberrimo il discorso in parlamento di Andrea Costa, elemento di punta del Psi, che creò lo slogan: “né un uomo né un soldo per la guerra”. Poi, alla vigilia della prima guerra mondiale, Mussolini e Turati si divisero. Mussolini, con Cesare Battisti e Corridoni si schierò per l’intervento al fianco della Francia. Turati e Lazzari contro. Però, dopo lo schianto di Caporetto Turati attenuò le sue posizioni pacifiste cedendo al sentimento e all’esigenza patriottica. Dopo la Seconda guerra mondiale la sinistra si ricompattò su posizioni pacifiste. E dal 1958 in poi alla sinistra si affiancò la Chiesa cattolica, che peraltro era stata pacifista, con Benedetto XV, già in occasione della prima guerra mondiale. Che Benedetto definì: “l’inutile strage”. In quella frase c’è l’essenziale del pacifismo.

Il Pci dopo il ‘45 fece del pacifismo una delle sue bandiere, aderì anche alle convocazioni pacifiste di Capitini (un liberale) sebbene spesso il pacifismo del Pci fosse un po’ ambiguo, e cioè mantenesse grande indulgenza verso l’Urss. Il pacifismo del Pci si accentuò con Berlinguer, negli anni 70 e 80, e in Vaticano fu molto forte anche con Wojtyla. Le cose poi sono cambiate con l’ingresso del Pds – erede del Pci – nell’area di governo. È solo da allora che fu introdotta, in alcuni settori del partito, l’idea della guerra giusta. Sempre rifiutata sia dalla Chiesa postconciliare sia dalla sinistra pacifista. Dunque non c’è da stupirsi se oggi il Pd si divide. A Elly Schlein va il merito di avere tenuto alta la bandiera della pace, sfidando anche settori molto potenti del suo partito e dell’establishment europeo. È molto coraggiosa la sua posizione. Dovrà fare i conti con una parte della componente riformista del Pd, e anche di quella cattolica, che ha, nella sua maggioranza, assunto una posizione riarmista lontana da quella del Vaticano.

14 Marzo 2025

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