Tagliare l’elettricità non bastava per spingere Hamas a cedere sulla proposta mediata dagli Stati Uniti per estendere la prima fase del cessate il fuoco. Per questo nella notte tra lunedì e martedì l’esercito israeliano ha compiuto nuovi pesantissimi bombardamenti sulla Striscia di Gaza, in particolare tra le città di Gaza, Rafah e Khan Yunis: raid aerei hanno provocato la morte di almeno 413 persone, secondo le prime stime fornite dal ministero della Salute di Gaza, con gli ospedali ancora in piedi nell’enclave palestinese che sono al collasso.
I bombardamenti di questa notte hanno provocato la morte del ministero dell’Interno di Hamas nella Striscia. Il generale Mahmud Abu Watfa, che dirigeva la polizia e i servizi di sicurezza interna nella Striscia, è stato ucciso in un attacco a Gaza City: tra le vittime ci sarebbe anche Issam Da’alis, membro dell’ufficio politico di Hamas a Gaza e capo del comitato di monitoraggio delle attività governative, una posizione più o meno simile a quella di primo ministro. Tuttavia della morte di Da’alis si parla già dal luglio scorso, anche se non c’è mai stata una conferma ufficiale da parte delle IDF o di Hamas.
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Tra le vittime vi sarebbe anche un ostaggio che era ancora in mano ad Hamas, mentre un altro sarebbe rimasto ferito nelle zone colpite dai raid israeliani.
Si tratta dei bombardamenti più intensi nella Striscia da quando il 19 gennaio scorso era iniziato il cessate il fuoco, con gli accordi che hanno visto Hamas consegnare parte degli ostaggi in cambio dei detenuti palestinesi reclusi nelle carceri israeliane.
Da Tele Aviv l’ufficio del primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu, spalleggiato dall’amministrazione di Donald Trump negli Stati Uniti, ha rivendicato gli attacchi spiegando di averli ordinati a causa del “ripetuto rifiuto” di Hamas di liberare i 59 anni ostaggi ancora nelle mani del gruppo palestinese (di cui 35 si ritiene essere morti), e di accettare la proposta israelo-statunitense di estendere la prima fase del cessate il fuoco.
Si tratta del cosiddetto “piano Witkoff”, dal nome di Steve Witkoff, l’inviato speciale di Trump per il Medio Oriente. Un piano che prevede un’estensione temporanea del cessate il fuoco, durante cui Hamas dovrebbe rilasciare la metà degli ostaggi israeliani che ancora tiene prigionieri, senza nessuna garanzia per una fine permanente delle ostilità e soprattutto senza l’obbligo da parte israeliana di ritirare le proprie truppe ancora presenti nell’enclave palestinese, come Hamas voleva invece negoziare con la seconda fase del cessate il fuoco.
Per questo, si legge nella dichiarazione rilasciata dall’ufficio del premier Netanyahu, “Israele d’ora in poi agirà contro Hamas con una forza militare crescente”. Bombardamenti che seguono una stretta già avvenuta da parte del governo israeliano, che dal 2 marzo ha bloccato l’accesso di tutte le merci e degli aiuti umanitari alla Striscia di Gaza e che pochi giorni dopo ha anche ordinato alla Israel Electric Corporation (IEC), la principale compagnia che fornisce energia elettrica a Israele e ai territori palestinesi, di interrompere del tutto la fornitura elettrica verso l’enclave palestinese.