Incertezza sulla prova del voto in parlamento

Riarmo, la maggioranza si spacca: vuole la guerra ma non si deve dire…

Oggi e domani la premier in Parlamento: la risoluzione sul riarmo al voto in vista del Consiglio europeo

Politica - di David Romoli

18 Marzo 2025 alle 12:00

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Photo credits: Luigi Mistrulli/Imagoeconomica
Photo credits: Luigi Mistrulli/Imagoeconomica

Tajani è ottimista: “L’accordo su una risoluzione unica nella maggioranza si troverà, come si è sempre trovato”. Il capogruppo della Lega al Senato Romeo condivide la rosea visione: “Siamo a buon punto. La sintesi si sta trovando”. Entrambi alludono ai testi che saranno votati dopo le comunicazioni della premier sul prossimo Consiglio europeo, oggi al Senato, domani a Montecitorio. Persone poco avvezze alle alchimie del Parlamento italiano strabuzzerebbero gli occhi. Come è possibile trovare la sintesi tra chi la pensa non diversamente ma all’opposto. Non su una materia periferica e trascurabile ma sul piano di riarmo europeo proposto da Ursula von der Leyen, il piatto forte, macché fortissimo del Consiglio europeo di giovedì e venerdì, una bazzecola che riscriverà per intero il dna dell’Unione europea.

FI ha già votato per quel piano nel Parlamento europeo e non ci ha certo ripensato. FdI si è mosso allo stesso modo. La Lega invece ha votato contro e nemmeno il Carroccio ha cambiato opinione: “Abbiamo dubbi seri solo sul roboante ReArm Europe, il piano portato avanti da von der Leyen senza consultare nessuno. Potremmo anche astenerci sulla Risoluzione del M5S contraria”, specifica infatti Romeo come se fosse un particolare. FI apprezza il progettino perché lo vede come passo verso la Difesa comune europea. La Lega lo detesta anche perché teme che sia appunto un passo verso la difesa comune. Azzurri e tricolori, magari a bocca in questo caso storta, sono disposti ad accettare, magari con qualche correzione, le modalità di finanziamento della spesona pari a 800 miliardi proposta dalla presidente della Commissione europea: 650 miliardi a debito ma senza incorrere nelle forche caudine del Patto di stabilità e altri 150 sotto qualche forma, non ancora ben definita, di debito comune. Il ministro dell’Economia Giorgetti trova quelle condizioni non solo un capestro ma anche un modello di gioco sleale della Germania e non essendo un tipo tanto diplomatico lo strilla ai quattro venti. Ma allora l’ “accordo” di Tajani, la “sintesi” di Romeo, da dove pensano di tirarla fuori? Dalla reticenza.

La premier ha certamente dalla sua una carta forte, l’accordo effettivo di tutta la maggioranza su alcuni punti essenziali. Il primo è la missione di peacekeeping che l’asse anglo-francese insiste per organizzare, tanto che giovedì si vedranno a Londra i capi di Stato maggiore di tutti i Paesi “volenterosi” più quello italiano ma solo come osservatore.  I russi ripetono che una missione di pace del genere la considererebbero atto di guerra e quindi la accoglierebbero a fucilate. Macron e Starmer fanno finta di niente. L’Italia si è sfilata negando le sue truppe e su questo l’intesa nella destra è davvero perfetta. Anche sulla necessità di non litigare e meno che mai rompere con gli Usa di Trump l’armonia è effettiva e non posticcia. Tajani propone di organizzare un incontro del Quint Nato (Usa, Francia, Germania, Italia e Uk) in Italia e Salvini si frega le mani. Anche sul pacchetto di aiuti da 40 miliardi a Kiev proposto dall’Alta commissaria europea Kallas è proprio Tajani a frenare, non per questioni ideologiche ma con l’obbligo di arrivare al 2% del Pil in spese militari già concordato con la Nato quantomeno “bisogna approfondire”. Anche qui nessuna ombra sulla maggioranza e va da sé che ciò stempera la tensione.

In più la premier spera di concludere le trattative in corso con Washington per l’incontro tra lei e Trump prima del voto e un annuncio del genere spazzerebbe via ogni tensione almeno fino all’incontro. Però resta il Piano e l’unica sarà appunto un capolavoro di reticenza. Quella parola infausta la premier spera di non pronunciarla proprio. Parlerà di Difesa e di rafforzamento dell’esercito italiano anche in funzione anti migranti. Indicherà le infrastrutture come uno dei principali investimenti che a suo paere andranno finanziati con i famosi 800 miliardi. Raccoglierà le indicazioni di Giorgetti sulle modifiche da provare a introdurre nel finanziamento modellato da Ursula. Siccome il Plan è effettivamente vago, ancora tutto da definire in quelli che sono particolari solo di nome, robetta come il reperimento e la destinazioni del gruzzolo, Giorgia spera di avere gioco facile nell’evitare quella parola netta e conclusiva che costringerebbe la Lega al pollice verso.
La maggioranza probabilmente si salverà. La trasparenza della politica proprio no e sull’altra sponda, quella dell’opposizione, il quadro non è diverso.

I 5S presenteranno la loro risoluzione contraria al ReArm che però oggi non dovrebbe essere votata a palazzo Madama perché al Senato l’approvazione della mozione di maggioranza farebbe cadere tutte le altre. Non così alla Camera. Lì la mozione verrà messa ai voti per parti separate in modo da poter essere almeno parzialmente votata anche dal Pd. Avs si dovrebbe comportare allo stesso modo. E il Pd? Elly si muove come Giorgia. Punta a un testo tanto ambiguo da poter essere approvato sia da chi a Strasburgo si è astenuto sul ReArm, ma avrebbe tanto voluto bocciarlo apertamente, sia da chi lo ha approvato. Punta a sfruttare l’effetto piazza del Popolo, quella in cui sabato scorso si sono trovati affratellati dagli slogan europeisti i più convinti sostenitori del riarmo e i suoi nemici più determinati.

Se è riuscita in piazza, perché non anche in Parlamento? A quadrare il cerchio ci ha provato il responsabile degli Esteri Provenzano, poi ha portato il frutto della sua fatica a un vertice con la segretaria e i capigruppo. Stamattina vaglieranno la risoluzione i gruppi parlamentari congiunti. L’intenzione è uscire dal voto vantando la ritrovata unità. Ma con i pasdaran schleiniani che invece vorrebbero forzare e i riformisti che giurano di non poter tradire il voto di Strasburgo il rischio che il tavolo salti e il partito si spacchi di nuovo è inevitabile.

18 Marzo 2025

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