Altro che Ventotene...
Cosa ha deciso il Consiglio Europeo: nasce l’Europa delle armi e della guerra ai migranti
Dal Consiglio europeo emerge il senso dell’ostilità mostrata dalla premier verso il Manifesto europeista: l’Ue di oggi dev’essere bellicista e antidemocratica
Editoriali - di Piero Sansonetti

Si è riunito il Consiglio europeo, sotto la guida di Ursula von der Leyen, e ha esaminato le scelte da fare per costruire la nuova Europa. Il Consiglio europeo è l’assemblea dei capi di Stato o di governo dei paesi dell’Unione Europea, ai quali si aggiunge la presidente della Commissione, cioè von Der Leyen, la quale, di fatto, è il capo del Consiglio. Le riunioni del Consiglio europeo, perciò, sono molto importanti. Le grandi decisioni vengono prese lì.
All’ordine del giorno c’erano essenzialmente tre punti. Armi, migranti e dazi. Sulle armi, cioè sul piano che prevede il raddoppio delle spese militari, ci sono state delle resistenze. Dell’Ungheria, della Slovacchia, ma anche della Spagna di Sanchez e, timidamente, persino dell’Italia. Meloni aveva ricevuto il giorno prima l’altolà della Lega. Quindi critiche sia di sinistra che di destra. L’impressione è che le decisioni su questo argomento slitteranno. Probabilmente a giugno. Ma difficilmente saranno cambiate. Si tratta di togliere una quantità enorme di soldi – circa 800 miliardi di euro – al welfare e destinarli al riarmo. L’unico punto sul quale 26 dei 27 paesi dell’Unione (esclusa l’Ungheria) si sono trovati d’accordo, sul piano militare, è stato l’appoggio all’Ucraina. Orban, il presidente ungherese, ha rilasciato dichiarazioni molto dure: “Non siamo noi ad essere isolati, isolata è l’Europa che è diventata un leone senza denti”. Comunque si è deciso di tenere in luglio, a Roma, una conferenza internazionale per la ricostruzione del paese. Sull’economia si è ancora in attesa delle mosse di Trump. Alcuni paesi, tra i quali i più importanti, e cioè la Francia e la Germania, sarebbero favorevoli alla sfida aperta con l’America, ma altri paesi, tra i quali soprattutto l’Italia, sono molto più prudenti e non vorrebbero perdere la subalternità nei confronti di Washington.
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Sulle migrazioni invece si direbbe che l’Europa marcia compatta: guerra ai migranti. Come? Appoggiando la politica italiana di riduzione e ostacolo ai soccorsi – il cosiddetto pull factor, cioè il segnale mandato ai disperati: se vi mettete in mare vi lasciamo annegare – e con una nuova strategia di deportazioni ispirata, probabilmente, alle scelte e alla propaganda di Trump ma anche alla follia dell’Italia e del suo accordo con l’Albania. L’Europa sembra pronta a realizzare un meccanismo attraverso il quale i migranti che non ottengono l’asilo possono essere venduti a un paese terzo. Non venduti per modo di dire: proprio venduti concordando il prezzo. Un tanto a migrante o a gruppo di migranti. La cosa funzionerebbe un po’ come funziona l’attività delle società “recupero crediti”. Cioè, io ti vendo il mio credito per una cifra inferiore al suo valore, tu cerchi di riscuoterlo (cioè, in questo caso, di rimpatriare il profugo) se ci riesci fai un bel guadagno sennò ci rimetti (in realtà ci rimette lui, il profugo).
Se le cose stanno così è facile capire cosa intendesse dire l’altra mattina Giorgia Meloni quando si è scagliata contro il manifesto di Ventotene. Non c’era solo l’ “Effetto Stranamore” e la pulsione irresistibile della nostalgia fascista: c’era anche la consapevolezza che l’Europa che sta nascendo non ha e non deve avere niente a che fare con l’Europa socialdemocratica e antimilitarista immaginata da Spinelli, Colorni, Rossi e Hirschmann. (L’effetto Stranamore è quel meccanismo pavloviano che nel film di Kubrick spingeva un generale americano, ex nazista, nei momenti di grande tensione politico-militare, a far scattare il braccio nel saluto nazista…). Meloni, forse anche per poca conoscenza della materia, ha insistito sulla parola dittatura rivoluzionaria, usata dagli estensori del Manifesto per descrivere il periodo necessario a rovesciare il fascismo. (Oggi Gramellini, sul Corriere, polemizza con lei spiegando che i ventotenesi pensavano solo a una “temporanea sospensione della democrazia”… certo pure lui… ma sospensione di quale democrazia se nel 1941 in Europa la democrazia non c’era nemmeno nel Liechtenstein?).
In realtà i consiglieri della presidente del Consiglio l’hanno spinta alla polemica per smontare ogni velleità socialdemocratica per la nuova Europa. Compresa l’ipotesi di limitazione della proprietà privata prevista, ad esempio, dalla Costituzione italiana. Era quello il senso delle sue offese ai progettisti dell’Europa unita. Uno stop a ogni istanza socialista. Non credo che vada sottovalutato l’affondo della premier. La questione che lei mette sul piatto è molto seria: vogliamo un’Europa fondata sul welfare e la lotta alla povertà, o un’Europa fondata sulla forza, la guerra, la concorrenza senza limiti?
Con il passare del tempo e il mostrarsi della crisi del capitalismo, la differenza tra l’idea socialdemocratica e quella neoliberista si fa sempre più netta. La von der Leyen ha scelto la seconda via. E su questo c’è pieno accordo con Giorgia Meloni e i partiti di destra che sono fuori dalla maggioranza. Ora bisognerà vedere se i partiti socialdemocratici sapranno controbattere. Al momento non sembra. Solo il Pd italiano, seppure con molte incertezze e divisioni, sembra pronto a salire sulle barricate.
P.S. 1. C’è un aspetto molto divertente nella polemica di Meloni su Ventotene. È questo: nel 2016 la stessa Meloni, per polemizzare con Renzi, sbandierava il manifesto di Ventotene, spiegando che quei tre che l’avevano scritto avevano le idee molto più chiare di Renzi, di Hollande e di Merkel. È probabile che Meloni all’epoca non conoscesse bene il manifesto. Ed è anche probabile che in tutti questi anni non abbia avuto il tempo per colmare la lacuna.
PS 2. Su Ventotene anche Salvini ha preso le distanze da Meloni (gli succede sempre più spesso). Ha detto che il dibattito è bene lasciarlo agli storici, che hanno studiato, e ha aggiunto che comunque lui non crede che i padri fondatori fossero favorevoli al riarmo. Effettivamente è improbabile. Sia se per padri fondatori intendiamo quelli di Ventotene sia se intendiamo, come piace a Tajani, De Gasperi, Adenauer e Schuman.