L'inchiesta
Fabio Romagnoli morto in carcere a Modena, il Gip ordina nuove indagini: respinta l’archiviazione per “cause naturali”

Servono nuove indagini per chiarire le circostanze in cui morì il 20 febbraio del 2023 Fabio Romagnoli, 40enne trovato morto nella sua cella del carcere Sant’Anna di Modena.
A disporre una nuova inchiesta è stato il giudice per le indagini preliminare del Tribunale di Modena, respingendo la richiesta di archiviazione presentata dalla Procura, secondo la quale Romagnoli morì per cause accidentali.
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Il corpo senza vita di Romagnoli venne trovato accasciato a terra, con accanto un fornellino a gas dal compagno di cella e da un agente della Penitenziaria. Secondo i suoi familiari, assistiti dagli avvocati Luca Sebastiani e Stefania Pettinacci che si erano opposti all’archiviazione, Fabio si uccise nella sua cella e nulla venne fatto per prevenire la tragedia, nonostante pregressi tentativi di suicidio.
Il Gip ha dunque ordinato di svolgere ulteriori accertamenti sul tema della disponibilità del fornelletto ad un detenuto che aveva già provato a togliersi la vita, verificando anche eventuali linee guida sulla concessione di questo strumento ai detenuti, e di sentire i genitori e il compagno di cella, sullo stato psicologico di Fabio Romagnoli nei giorni precedenti.
“Bene ha fatto il giudice a disporre il supplemento di indagini, come ad esempio sentire i familiari o il compagno di cella”, il commento all’agenzia Agi degli avvocati Sebastiani e Pettinacci. “Soprattutto – insistono i due legali – riteniamo giusto, e in tal senso apprezziamo la decisione del gip, verificare se quella di lasciare in uso a Romagnoli il fornelletto a gas sia stata una scelta opportuna” e accertare se esistano “linee guida per evitare che questo apparecchio sia assegnato a persone che hanno già tentato di togliersi la vita”.
Romagnoli, ricordano Sebastiani e Pettinacci, “era un soggetto fragile che aveva già tentato il suicidio durante la carcerazione e che, stando a quanto riferito da lui stesso ai familiari nelle ultime settimane di vita, si trovava in grave sofferenza psichica. Siamo consapevoli che il sovraffollamento delle carceri e l’inadeguato numero di sanitari, educatori e agenti penitenziari rendono particolarmente difficile prevenire gesti autolesivi, ma questo non può ricadere sui diritti dei detenuti e dei loro cari”.