Tanti strilli, poco studio...

Andrea Caffi, il libertario non violento che Meloni dovrebbe studiare…

Come e prima degli intellettuali di Ventotene, il socialista giellista aborriva l’idea di Nazione tanto cara alla destra perché portatrice di guerra, e pure quella di dittatura. Se solo Meloni l’avesse letto...

Politica - di Filippo La Porta

26 Marzo 2025 alle 10:30

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Andrea Caffi, il libertario non violento che Meloni dovrebbe studiare…

Caffi è stato anche il maestro di una generazione di intellettuali e militanti, i cosiddetti “novissimi”, la sinistra di Giustizia e libertà. Prima arrestato in quanto libertario dalla Ceka, la polizia segreta dei bolscevichi, poi arrestato e torturato dalla Gestapo in quanto militante della Resistenza francese, Caffi – vorrei ricordarlo alla premier – non solo non ha teorizzato alcuna “dittatura”, ma dalle dittature del ‘900 è stato sempre perseguitato. Il 29 marzo 1935, Caffi pubblica su Giustizia e Libertà gli “Appunti su Mazzini”, contro il mito del Risorgimento e contro l’“idolo della nazione”. Vi si afferma tra l’altro: “Credo che non si possa pensare niente di veramente chiaro e profondo riguardo all’Italia di domani se non si è spietati col mito alquanto ufficiale e scolastico del Risorgimento”, il quale è stato un movimento deviato, che ha generato un disagio sociale sfociato nel fascismo. Un articolo polemico verso i dirigenti di Giustizia e Libertà, che guardavano proprio al Risorgimento come fondamentale punto di riferimento. Ne nacque un dibattito acceso, a più voci, sulle pagine della rivista, in cui intervennero tra l’altro Nicola Chiaromonte – dalla parte di Caffi – e Franco Venturi – vicino a Rosselli. Per Caffi l’“idolo della nazione” ha pervertito gli scopi delle grandi rivoluzioni, soffocando le “aspirazioni verso l’emancipazione sociale”, come mostravano secondo lui la storia della Francia e della Russia. In particolare Venturi, pur criticando il mito del Risorgimento, intende riabilitare il Risorgimento come fenomeno europeo, interpretandolo come sintesi riuscita dell’ideale della libertà e del principio di nazionalità, in ciò riaffermando la continuità fra Risorgimento ottocentesco ed illuminismo. Gli rispose Chiaromonte negando l’idea crociana e poi di Venturi che il principio di nazionalità fosse il corollario necessario dell’ideale della libertà.

Indubbiamente il Risorgimento ha fondato in Italia il moderno stato nazionale: un passaggio storico necessario, entro il quale si è definita poi la attuale Costituzione e si sono affermati i diritti civili. Rosselli insisteva sulla compresenza conflittuale dei due Risorgimenti: “il Risorgimento ufficiale, prima neoguelfo, poi sabaudo, e sempre moderato, che prende il sopravvento con l’entrata in campo del Piemonte e la liquidazione del moto popolare; e il Risorgimento popolare, che venne preparandosi tra il ‘30 e il 48’ e che ha nel ‘48 il suo periodo gloriosissimo e poi, dopo conati e tentativi sfortunati (insurrezione operaia a Milano nel 1853, spedizione Pisacane nel 1857), quando finalmente ottenne un successo decisivo con la spedizione dei Mille nel ‘60 piega sotto l’abilissima manovra di accerchiamento del Cavour”. Dunque Giustizia e Libertà doveva ispirarsi a questo Risorgimento popolare, che non separa l’ideale nazionale dalla questione sociale e dalla lotta per la libertà. Rosselli non voleva prescindere dal sentimento di appartenenza nazionale, in nome di un internazionalismo astratto! Bisogna invece proiettarlo in un’ottica europea liberandolo da ogni tradizione imperialistica e rinunciando a qualsiasi “primato” nazionale.

Ora, questo Risorgimento popolare è stato fortemente minoritario oltre che storicamente sconfitto. Ma su un punto aveva ragione Rosselli: non si poteva regalare interamente il sentimento nazionale ai fascisti, che lo avrebbero declinato nel senso peggiore. Al tempo stesso però il libertario e nonviolento Caffi faceva bene a mettere tutti in guardia contro una vocazione aggressiva presente nel Dna dell’idea di nazione (e cioè competizione, potenza, difesa dei confini, dominio, espansione). Infine, a proposito del sentimento nazionale: la nostra destra di governo, che si dichiara così vicina alla figura di Dante, dovrebbe sapere che l’autore della Commedia e in questo caso soprattutto della Monarchia) non fu tanto il profeta dell’unità nazionale, come si pensava nel Risorgimento (e anche durante il fascismo), ma un teorico dell’Impero, del quale l’Italia era solo una parte. L’unità dell’Impero – senza più confini nazionali! – coincide, averroisticamente, con l’unità dell’intelletto, dunque con tutta l’umanità.

26 Marzo 2025

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