Il virus panpenalista: vaccini e rimedi cercasi

Del femminicidio e di altri deliri: il panpenalismo ha contagiato tutti

La malattia ha contagiato nel tempo tutte le forze politiche, la cura richiede interventi di livello costituzionale. Ad esempio un iter legislativo rafforzato, con maggioranza qualificata, per l’introduzione di nuovi reati e inasprimenti di pene (in Spagna si fa già). Andrebbe invece riabbassato il quorum (oggi “dolomitico”) per l’approvazione delle leggi di amnistia e indulto, così da arginare i danni della sbornia giustizialista

Giustizia - di Andrea Pugiotto

26 Marzo 2025 alle 16:30

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Del femminicidio e di altri deliri: il panpenalismo ha contagiato tutti

1. Riassunto della puntata precedente (l’Unità, 15 marzo): il delitto di femminicidio, concepito dal Governo, nasce incostituzionale. Succede, quando la formulazione di un nuovo reato punta tutto sul suo effetto simbolico-repressivo, a scapito dei princìpi di eguaglianza formale e di determinatezza della fattispecie.
Anche la scelta di punirlo con il carcere a vita (com’è già ora, quale omicidio aggravato), è una falsa promessa: in presenza di attenuanti, la pena sarà automaticamente ridotta. Aggiungere l’ennesimo delitto ai tanti puniti con l’ergastolo, inoltre, è il sintomo di un’isteria legislativa: quella di chi è ossessionato dall’idea che solo alzando le pene e inventando reati si possa sconfiggere ogni allarme sociale, vero o presunto. Oggi è il turno della violenza di genere. Ieri – ad esempio – lo si è fatto contro i rave, la gestazione per altri, l’abbattimento dell’orso bruno marsicano. Domani, con il disegno di legge “sicurezza” (A.C. 1660), toccherà a mal tollerate forme di carità, dissenso, resistenza passiva.
Questo è il problema vero: si chiama pan-penalismo. Di esso sappiamo tutto: vita (molto lunga), morte (di là da venire) e miracoli (mai visti). Tre soli consigli di lettura, per capirne le cause: Stefano Anastasia, Manuel Anselmi, Daniela Falcinelli, Populismo penale: una prospettiva italiana (2015); Ennio Amodio, A furor di popolo e Filippo Sgubbi, Il diritto penale totale (ambedue del 2019).
A mancare non sono le analisi, ma i rimedi: in entrata (a evitare il profluvio di pene e delitti) e in uscita (a deflazionarne gli effetti giudiziari e penitenziari). E poiché la malattia ha contagiato nel tempo tutte le forze politiche, la cura richiede interventi ad hoc di livello costituzionale: i soli in grado – per forza giuridica – di imporsi su qualsiasi maggioranza parlamentare.

2. Attualmente, non esiste in Costituzione un freno a questo continuo ricorso alla leva penale.
La riserva in materia alla legge ordinaria regala – politicamente – le scelte di criminalizzazione al Governo e alla sua maggioranza, peraltro sempre più figurativa: il mix tra distorsivi premi elettorali e crescente astensionismo, infatti, erode la rappresentatività delle Camere. Al resto pensa la prassi, che sostituisce alla legge l’uso della decretazione d’urgenza, se necessario riassunta in un unico maxiemendamento blindato dal ricorso alla questione di fiducia.
Azzerato così il dibattito in aula e ridotta la delibera parlamentare ad un voto di schieramento, la corsa a introdurre nuovi reati e inasprire le pene è tutta in discesa. Né è in grado di frenarla il Capo dello Stato in sede di promulgazione (art. 74 Cost.): le scelte in materia penale sono squisitamente politiche, sottratte al controllo presidenziale. Per sovrappiù, dalla presidenza Ciampi in poi, una legge è rinviata alle Camere solo se «manifestamente incostituzionale». Così, in materia penale, raramente è rosso il semaforo del Quirinale.
Paghiamo tutto questo a caro prezzo. Innanzitutto, con troppi processi troppo lenti perché il continuo incremento dei reati ingolfa la macchina giudiziaria. A seguire, con celle che non cessano mai di riempirsi perché i tassi di detenzione sono (anche) una variabile dipendente dal ricorso frequente a un diritto penale artificiale.
Eppure, di suo, la Costituzione dice altro. Non prevede obblighi di criminalizzazione, salvo il reato di tortura (l’unico che Fratelli d’Italia mostra di mal sopportare: A.C. 623). Relega la sanzione penale a extrema ratio. Esige una pena proporzionata, mai disumana, tesa sempre al recupero sociale del reo. Ma, come in una piramide rovesciata, questo statuto costituzionale sopravvive solo a discrezione del legislatore.

3. Cercasi rimedio preventivo. A tal fine, recupererei – affinandola – un’idea non assente nella dottrina penalistica: elevare il quorum necessario per approvare leggi che introducono nuovi reati, inedite aggravanti, inasprimenti di pena.
Non si tratta di negare la natura tutta politica di simili scelte, ma di revocare in dubbio l’idea che la legge ordinaria ne sia il vettore più congruo. Servirebbe, invece, una legge rinforzata nella sua deliberazione finale, da assumersi a maggioranza qualificata, esito di un’ampia convergenza parlamentare a garanzia di scelte penali (non impulsive né partigiane, ma) razionali.
Accade già in Spagna, per tutte le leggi in tema di diritti fondamentali e libertà pubbliche (norme penali comprese): la loro approvazione, modifica o deroga esige la maggioranza assoluta. In Italia, invece, servirebbe un doppio binario perché diversificate sono le esigenze da soddisfare: ridurre la produzione di norme penali sfavorevoli; agevolare la potatura di un ordinamento saturo di reati e di pene smisurate.
L’attuale riserva alla legge ordinaria già appaga la seconda esigenza: elevarne il quorum deliberativo ostacolerebbe l’abolitio criminis e la riduzione dei vigenti picchi sanzionatori. Per soddisfare la prima esigenza, invece, l’evoluzione in senso maggioritario delle nostre leggi elettorali suggerisce un quorum più alto di quello spagnolo: i tre quinti dei componenti di Camera e Senato.
Verrebbe così meno il monopolio governativo in materia penale. Lo stesso ricorso ai suoi atti con forza di legge per introdurre norme penali sfavorevoli ne uscirebbe frenato: sia la delegazione legislativa (art. 76 cost.) che la conversione in legge di un decreto-legge (art. 77 Cost.), infatti, andrebbero approvate a maggioranza qualificata. Ne guadagnerebbero la dialettica parlamentare e la centralità delle Camere. Si otterrebbe, per via procedurale, una continenza normativa di cui le maggioranze di governo si mostrano incapaci. Il coinvolgimento delle opposizioni (purché non giustizialiste né populiste) eviterebbe scelte di criminalizzazione ideologiche. Finalmente, si agirebbe sulla leva penale solo a tutela di beni essenziali e per reati dalla solida base statistico-criminologica.

4. Cercasi anche rimedio compensativo. Servirebbe a deflazionare gli effetti prodotti dalla sbornia giustizialista delle ultime legislature.
A tal fine, la Costituzione prevede le leggi di amnistia e indulto (art. 79). L’abuso fattone in passato, però, ha indotto ad approvarne una revisione che ne condiziona la deliberazione a un consenso mostruoso: i due terzi dei membri di ciascuna Camera, per ogni articolo di legge e nel voto finale. Correva l’anno 1992: da allora amnistia e indulto sono scomparsi dai radar (eccezion fatta per l’indulto del 2006).
Da tale stallo è necessario uscire. Il diritto punitivo, infatti, deve misurarsi con l’azione del tempo e con i dati di realtà che ne segnalano gli eccessi. Diversamente, una legge penale che escluda una sua contingente sospensione si rivelerebbe solo retributiva e vendicativa. Così come una giustizia penale applicata in modo meccanico si mostrerebbe indifferente alle sorti dell’imputato e del condannato. Amnistia e indulto a questo servono: a rimedio di situazioni dove il punire non risponde più alla sua finalità costituzionale o quando la giurisdizione gira a vuoto per i troppi reati da perseguire.
Serve, dunque, una “riforma della riforma” dell’art. 79 Cost., che restituisca razionalità e agibilità alle leggi di clemenza. Anche qui, è sul loro procedimento di formazione, complessivamente considerato, che si deve intervenire, e non solo sui dolomitici quorum deliberativi, comunque da ridimensionare: maggioranze così elevate, infatti, non sono richieste per nessun’altra fonte, leggi costituzionali comprese.
Da tempo, la dottrina ha elaborato una proposta (cfr. Stefano Anastasia, Franco Corleone, Andrea Pugiotto, Costituzione e clemenza, 2018), ora recepita in apposito disegno di legge costituzionale (A.C. 156, Magi). Partire da qui sarebbe un ottimo inizio.

5. Già in passato paragonammo il pan-penalismo a un colpo di spada vibrato nell’acqua: spettacolare, ma sterile. È tempo, invece, di dare seguito costituzionale all’evangelico invito di Matteo (26, 52): «Rimetti la spada nel fodero».

[2. Fine]

26 Marzo 2025

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