Le tensioni nella maggioranza

Scontro tra Tajani e Salvini, cosa c’è dietro: la resa dei conti tra FI e Lega è inevitabile

Meloni è riuscita a strappare a Salvini e Tajani un cessate il fuoco temporaneo, ma i padani reclamano pace fiscale e autonomia. E se si arriverà al voto sulla missione a Kiev, la destra imploderà

Politica - di David Romoli

26 Marzo 2025 alle 11:30

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Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse
Photo by Mauro Scrobogna / LaPresse

Non è successo niente e niente può succedere”. La linea imposta dalla premier è di quelle note soprattutto nelle aule di tribunale e nelle case di coniugi fedifraghi: negare sempre, anche l’evidenza. Un risultato però Giorgia lo ha ottenuto perché i litiganti, Salvini e Tajani, hanno messo la sordina alle polemiche. La speranza, per i leader di FdI e Fi, è che il leader leghista abbia pigiato a tavoletta sull’acceleratore per evidenti interessi congressuali e che, una volta incoronato di nuovo, tornerà a toni almeno un po’ più consoni. Dal momento che entrambi, Giorgia e il suo vice azzurro, si augurano che Salvini non solo resti leader del Carroccio, come è praticamente certo, ma anche senza troppi condizionamenti o peggio commissariamenti, se così fosse quasi si fregherebbero le mani nonostante stavolta il ministro dei Trasporti, con la “irrituale” telefonata a Vance, sia arrivato pericolosamente vicino al limite. In parte il congresso della settimana prossima spiega davvero l’impeto dell’ex “Capitano”. Però solo in parte e in una parte non decisiva. Stavolta il guaio è vero, l’incidente è serio e non perché i capi della maggioranza siano più incarogniti del solito ma perché i guai nel cortile del centrodestra sono solo un riflesso di quelli che campeggiano nel grande gioco della politica mondiale e in particolare nel suo quadrante occidentale. Nello scontro che si profila come sempre meno evitabile tra le due sponde dell’Atlantico capita che un pezzo della maggioranza stia senza esitazioni con l’America di Trump, l’altro con l’Europa. Giorgia sta nel mezzo in entrambi i casi ma è una posizione sempre più scivolosa. Se appena un mese fa l’ambizione di fare da ponte tra litiganti le serviva a conquistare un ruolo di rilievo nella politica mondiale oggi è quasi una questione di sopravvivenza.

Non significa però che la crisi sia dietro l’angolo, come finge di credere il Pd per evidenti scopi di propaganda. La destra italiana è elastica. Può reggere a colpi e lacerazioni che avrebbero già squassato da un pezzo qualunque coalizione di centrosinistra. Certo, a complicare la partita c’è il fatto che non è solo la politica mondiale ad attizzare lo scontro. Ci sono almeno altre due questioni interne quasi altrettanto rilevanti. La prima è la pace fiscale. La Lega la reclama, Fi punta i piedi. I tempi stringono: Salvini vorrebbe metterla in cascina prima del congresso per esibire la medaglia, questione di giorni. Comunque la decisione va presa in tempo per l’avvio della manovra, questione di settimane. Non è un braccio di ferro tale da determinare l’esplosione di una maggioranza ma da esacerbare l’animo dello sconfitto, che si tratti del leghista o dell’azzurro, certamente sì. Poi c’è la croce dell’autonomia differenziata. Per la sua detestata entrata in vigore, almeno nei capitoli sfuggiti alla mannaia della Consulta, Arcore prevede tempi lunghissimi e i tricolori di Giorgia spalleggiano discretamente. Calderoli reclama la partenza immediata e conciliare le opposte ambizioni non è possibile. Ci saranno anche qui i vincitori e i vinti e la materia è tanto importante per la Lega da incidere comunque, anche se probabilmente neppure questo pur rilevantissimo scontro vale una crisi di governo per Salvini. Ma la condizione di contesto, tra una sfida e l’altra, non è certo tale da agevolare i rapporti.

La politica estera, che in questo momento è la politica tout court, invece ha la valenza esplosiva necessaria per far saltare persino una maggioranza rodata e solida come quella che sostiene oggi il governo italiano. Il punto di non ritorno sarà raggiunto nel momento in cui le forze di maggioranza si divideranno non a parole ma nel voto. Mentre prega perché i rapporti tra Usa e Ue tornino tali da metterla al riparo, la premier deve evitare dunque in ogni modo e a ogni costo che si arrivi a un voto nel quale uno dei sue partiti di opposta visione suoi alleati sia costretto a smarcarsi.
Se a quel momento prima o poi si arriverà nessuno può dirlo anche se il rischio evidentemente c’è. Il fronte più pericoloso potrebbe rivelarsi proprio quello sul quale oggi l’intera maggioranza sembra invece compatta: una missione in Ucraina. Quello di cui discuteranno domani a Parigi uno stuolo di capi di governo inclusa Meloni che però, a differenza di tutti gli altri, è contraria alla missione che Macron e Starmer continuano a vagheggiare. Perché ci va allora? Perché come al solito sta nel mazzo. Non vuole e comunque non potrebbe allinearsi ai “volenterosi”, perché la Lega non lo permetterebbe. Ma non può neppure restasene a casa mentre tutta l’Europa che conta affluisce a Parigi. In più spera che, messi alle strette dalla realtà, Macron e Starmer adottino la linea che aveva indicato lei per prima, “Missione sì ma solo se Onu”. Forse andrà proprio così ma anche in quel caso il terreno resterà più che franoso. Sempre di missione armata si tratta e non si può prevedere ora in quali condizioni e con quale mandato dovrebbe eventualmente svolgersi. Se allo showdown tra Lega e Fi, tra europeisti e trumpiani, si arriverà, e di conseguenza se Giorgia non potrà più evitare una scelta di campo, probabilmente il momento sarà quello.

26 Marzo 2025

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