La decisione finale
Strage di Erba, la Cassazione chiude il caso di Olindo e Rosa: respinto il ricorso, resta l’ergastolo
Cronaca - di Redazione

Sulla strage di Erba e sui suoi responsabili la Cassazione pone la parola fine, questa volta definitiva. La Suprema Corte ha infatti rigettato il ricorso presentato dai difensori di Olindo e Rosa Bazzi contro la decisione della Corte d’Appello di Brescia che aveva già respinto l’istanza di revisione della sentenza del carcere a vita.
Olindo e Rosa sono i coniugi già condannati all’ergastolo nel 2011 per la strage avvenuta la sera dell’11 dicembre 2006, quando i due uccisero loro vicina di casa, Raffaella Castagna, il figlio di due anni, Youssef, la madre di lei, Paola Galli, e una vicina di casa, Valeria Cherubini, oltre che per il ferimento del marito di quest’ultima, Mario Frigerio.
Accolta nuovamente dunque la tesi del sostituto pg della Cassazione Giulio Monferini, per il quale “quelle che secondo la difesa sarebbero le “prove nuove” non possono in alcun modo smontare i pilastri delle motivazioni che hanno portato alla condanna di Rosa e Olindo, e cioè le dichiarazioni del sopravvissuto, le confessioni e le tracce ematiche”. Ragione per cui, aveva sottolineato nella requisitoria Monferini, “le cosiddette “prove nuove” sono mere congetture, astratte”.
Già lo scorso luglio la Corte d’Appello di Brescia si era espressa per l’inammissibilità dell’istanza di revisione della sentenza con cui è passata in giudicato la condanna ai coniugi. Tra le altre cose alla base dell’istanza c’era, secondo i legali di Olindo e Rosa, l’affidabilità della testimonianza di Frigerio, scampato alla strage e poi morto nel 2013: stando alla difesa dei coniugi le parole del marito di Valeria Cherubini erano “viziate” dalla “inalazione del fumo che si sprigionò dopo che gli assassini appiccarono l’incendio all’appartamento”. Ma nel mirino c’era anche la macchia di sangue di Cherubini trovata sulla Seat Arosa di Olindo, così come le confessioni della coppia, poi ritratte e che per la loro difesa era “ispirate” da carabinieri e inquirenti.
Tesi che non hanno retto né in Corte d’Appello né in Cassazione. Eppure per Cuno Tarfusser, sostituto procuratore della corte d’Appello di Milano che per primo aveva chiesto la revisione del processo, le tre prove principali a carico dei coniugi sarebbero “maturate in un contesto che definire malato è un eufemismo”.
“Penso che la Giustizia, quella con la G maiuscola, quella in cui ho creduto e che ho servito per 40 anni, ha perso. Mi dispiace per i due cui non è stata data la possibilità di dimostrare la loro innocenza”, sono state le parole di Tarfusser all’Adnkronos dopo la decisione della Cassazione. “Per quanto mi riguarda, rifarei tutto quello che ho fatto, convinto di avere fatto il mio dovere”, ha concluso il magistrato.