La rubrica Sottosopra
Insegnare la storia a ritroso: chi era Ferruccio Parri
Se si creasse una opinione favorevole, da parte degli studenti e dei docenti non assuefatti all’esistente, e prendesse il via una mobilitazione tenace nelle scuole, l’obiettivo di cambiare l’insegnamento della storia potrebbe essere raggiunto.
Politica - di Mario Capanna

Siamo noi a creare la storia con la nostra osservazione, e non la storia a creare noi.
(S. Hawking)
Partire dall’oggi per conoscere il passato. Meglio che l’inverso. Iniziare dal passato, soprattutto se remoto, non è affatto scontato che ci illumini sull’attualità. Ho dinanzi un interessante sondaggio, condotto fra gli studenti degli istituti scolastici superiori di Città di Castello, riguardante alcuni temi di attualità: fascismo, Resistenza e democrazia. L’indagine è stata condotta dall’Istituto di storia politica e sociale Venanzio Gabriotti, apprezzato per il suo scrupolo e rigore. E’ presieduto e diretto da Alvaro Tacchini, uomo di grande cultura, archivista, storico e autore di libri preziosi sulla storia della città, e non solo. Il sondaggio ha coinvolto 730 allievi, con una prevalenza numerica dei maschi (56 per cento) sulle femmine (44). Un campione sufficientemente ampio (le indagini demoscopiche si basano di solito sul migliaio di intervistati).
Ecco i dati salienti. Per quanto riguarda il giudizio sulla storia del fascismo, si considera informato il 63 per cento degli studenti, però, nella grande maggioranza, i giovani ammettono di esserlo solo “abbastanza”. Inoltre: circa uno studente su tre afferma di avere poche informazioni. A negare che il fascismo sia stato “una forma di governo positiva, che ha mantenuto l’ordine e portato benessere”, sono l’84 per cento delle femmine e il 68 per cento dei maschi. E a giudicare negativamente l’eredità lasciata dal fascismo nella storia d’Italia sono il 71 per cento delle femmine rispetto al 49 per cento dei maschi. Sulla Resistenza: sono oltre il 56 per cento i giovani che ammettono di non possedere una informazione adeguata sulla sua storia. La percentuale di chi afferma di conoscere “molto” la Resistenza è appena del 4 per cento. Quanto all’importanza di vivere in un Paese governato democraticamente sono a favore l’85 delle ragazze e il 73 per cento dei ragazzi A colpire, fra l’altro, è un elemento significativo: le donne superano gli uomini per consapevolezza complessiva, sono in qualche modo più avanti. Buon segno.
Sono ovviamente conscio che Città di Castello, la mia città natale, non sia l’ombelico del mondo: tuttavia i dati che emergono dal sondaggio stimolano riflessioni che vanno al di là del suo perimetro circoscritto. In particolare dicono che bisogna ripensare radicalmente l’insegnamento della storia nelle scuole. Diceva George Orwell: “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato”. È vero, in particolare, che chi controlla il passato recente – ciò che è immediatamente alle nostre spalle – è in grado di condizionare meglio il nostro presente e il nostro futuro. In gioco, dunque, c’è la base fondamentale della formazione del nostro spirito critico, senza il quale è pregiudicata – da altri – la nostra autonomia intellettuale.
Si sa quello che succede durante l’anno scolastico: se si arriva a studiare la seconda guerra mondiale è una specie di miracolo. Niente sulla Resistenza, sulle traversie attraverso le quali si è passati dalla monarchia alla repubblica, sulla durezza repressiva degli anni Cinquanta, sul governo fascista di Tambroni, sui vari tentativi di colpi di Stato, sul Sessantotto, sulla guerra fredda, la caduta del Muro di Berlino e il crollo dell’Urss, sull’opportunità e i grandi rischi dell’Intelligenza artificiale ecc. Occorre, allora, una riforma radicale, che non costa nulla e cambierebbe la nostra percezione di “essere nel mondo”: insegnare – e studiare – la storia a ritroso. Vale a dire: cominciare, in primo luogo, a conoscere ciò che è successo ieri e l’altro ieri – in Italia e nel contesto internazionale – e da lì risalire lungo il percorso umano, fino ai sumeri, agli assiri e ai babilonesi, agli egizi, ai greci, ai romani. Si realizzerebbe così il fondamentale principio: se sai sei; se non sai sei in balia del primo demagogo che incontri.
Iniziare lo studio a partire dalla situazione odierna (in tutti i campi: nella scienza, nell’economia, nella filosofia ecc.) per ricostruire le vicende – le cause – che l’hanno determinata, susciterebbe curiosità e attenzione da parte dei ragazzi e dei giovani: “sentirebbero” che l’apprendimento non è l’astrattezza meccanicistica di date e di guerre, ma l’inveramento del presente che si connette all’evoluzione umana. Eventualmente potrebbe verificarsi, alla fine dell’anno scolastico, che lo studente non sappia esattamente come andarono le cose fra Ettore e Achille. Si tratterebbe senz’altro di una lacuna da colmare, ma di sicuro meno grave che ignorare chi siano stati, per esempio, Ferruccio Parri e Sandro Pertini. È scontato che il potere – ogni potere – è interessato ad avere dinanzi a sé cittadini inconsapevoli, sprovvisti di coscienza critica ed è dunque propenso a lasciare le cose come stanno. Ma se si creasse una opinione favorevole, da parte degli studenti e dei docenti non assuefatti all’esistente, e prendesse il via una mobilitazione tenace nelle scuole, l’obiettivo di cambiare l’insegnamento della storia potrebbe essere raggiunto.