Il nuovo decreto del governo

Perché i Cpr in Albania sono illegali, l’allarme dell’Onu: “Prigionia lunga e incivile”

“Pericolo di detenzione automatica e prolungata, e di procedure inadeguate di migrazione o asilo”: per il Comitato per i diritti umani delle nazioni unite la gestione extraterritoriale del trattenimento nei centri potrebbe violare gli obblighi internazionali

Politica - di Gianfranco Schiavone

3 Aprile 2025 alle 07:00

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AP Photo/Vlasov Sulaj – Associated Press / LaPresse
AP Photo/Vlasov Sulaj – Associated Press / LaPresse

Il Comitato per i diritti umani dell’ONU il 28 marzo 2025 ha pubblicato un rapporto dal titolo “Concluding observations on the third periodic report of Albania” nel quale affronta diversi aspetti connessi al rispetto in Albania degli obblighi del Patto Internazionale sui diritti civili e politici adottato dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite con Risoluzione 2200A (XXI) del 16 dicembre 1966 ed entrato in vigore in Italia il 15 dicembre 1978.

Il Rapporto dell’Onu

Nel rapporto il Comitato ha deciso di affrontare anche la questione del Protocollo tra l’Italia e l’Albania di collaborazione sulle migrazioni dichiarandosi “preoccupato per i potenziali conflitti tra il Protocollo (tra Italia ed Albania) e la Convenzione, che si applica alla gestione extraterritoriale delle procedure di migrazione e asilo, come quelle relative alla detenzione automatica dei migranti e al rischio di una detenzione prolungata, nonché al rischio di essere soggetti a procedure inadeguate di migrazione o asilo”. (punto 31 del rapporto). La Convenzione non si occupa direttamente delle misure di allontanamento coattivo degli stranieri da un Paese in cui sono irregolarmente soggiornanti: tuttavia il Comitato intravede con ragione il rischio che in concreto la detenzione amministrativa che il Governo italiano intende attuare in Albania finisca per porsi in contrasto sostanziale con alcuni articoli della Convenzione e in particolare l’obbligo che ogni individuo privato, per qualunque ragione, della libertà personale sia sempre “trattato con umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana” (Patto, art. 10 par. 1) e che sussista un controllo giurisdizionale effettivo che permetta di valutare, caso per caso se la detenzione risulti effettivamente necessaria o se debba cessare.

Il Comitato fa un esplicito riferimento al rischio di una detenzione prolungata, in quanto è consapevole che ciò che intende realizzare il Governo italiano, ovvero trasportare in Albania cittadini di Paesi terzi già trattenuti in un CPR ubicato nel territorio italiano fa trasparire l’evidente intenzione di volere “parcheggiare” i trattenuti in Albania per lunghi periodi fino ad arrivare al termine massimo di diciotto mesi, un termine che dovrebbe essere raggiunto solo in casi del tutto residuali e limitati e che invece rischia di divenire un termine di ordinaria attuazione. L’eventuale esecuzione del provvedimento di rimpatrio verso il Paese di origine può infatti avvenire solo dal territorio italiano e dunque sarebbe irragionevole detenere in Albania una persona di cui si ritiene di poter eseguire l’espulsione a breve. Ciò che è in gioco nella concreta conduzione dei CPR in Albania è il rispetto del principio fondamentale in base al quale il trattenimento deve essere il più breve possibile e deve comunque subito cessare quando non ci sono ragionevoli prospettive di poter eseguire l’allontanamento.

Il punto che ritengo di maggior rilievo nelle preoccupazioni espresse dal Comitato è il riferimento al potenziale conflitto con gli obblighi del Patto che nasce dalla scelta della gestione extraterritoriale delle misure di trattenimento. Come ho avuto modo di scrivere nell’edizione del 29 marzo dell’Unità vi sono fondate ragioni di dubitare della legittimità della scelta di realizzare e gestire strutture detentive al di fuori del territorio nel quale lo Stato europeo esercita la sua sovranità. Il Governo italiano continua a sostenere che la scelta di applicare la propria giurisdizione nei centri in Albania è misura sufficiente a garantire il pieno rispetto degli obblighi derivanti dall’ordinamento giuridico. Ritengo tali ragioni del tutto inadeguate perché non è sufficiente garantire in astratto alle persone trattenute l’applicazione della giurisdizione italiana, bensì ciò che va assicurato è che i diritti fondamentali garantiti da tale giurisdizione siano esercitabili in concreto e ciò non pare affatto possibile al di fuori del territorio nazionale. Il Comitato ONU ne sembra consapevole.

3 Aprile 2025

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