Il docufilm dedicato all'artista

Pino Daniele, il documentario di Francesco Lettieri: “Parlava male di Napoli perché realista, aveva il pugno chiuso dentro”

“Non si è mai schierato politicamente, ma è cresciuto negli anni 70 ed era dalla parte del popolo. Canzoni come Chillo È Nu Buono Guaglione, scritto per una ragazza trans nel ‘79, la dicono lunga”

Interviste - di Chiara Nicoletti

6 Aprile 2025 alle 16:25

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©Livio Valerio/LaPresse
©Livio Valerio/LaPresse

È arrivato come evento speciale al cinema, solo il 31 marzo, l’1 e il 2 aprile con Lucky Red, il documentario Pino diretto da Francesco Lettieri, a settant’anni dalla nascita di Pino Daniele. Vale la pena di riparlarne, e a lungo. E soprattutto di vederlo e recuperarlo. Prodotto da Groenlandia, Lucky Red e Tartare Film in collaborazione con Netflix e TimVision, il film ci mette sulle tracce di un Pino mai raccontato prima, attraverso la guida del giornalista e critico musicale Federico Vacalebre, interviste inedite e il contributo del figlio di Pino, Alex, a capo della Fondazione che conserva l’eredità musicale del cantautore.

Lettieri, già co-regista di un documentario innovativo come Il Segreto di Liberato, racconta Pino Daniele anche e soprattutto attraverso la Napoli di oggi girando ex novo i videoclip di alcune sue canzoni e inserendoli all’interno di questo racconto. Con Pino mette a nudo l’uomo dietro il grande artista e lo fa mostrandone la lucidità, la sofferenza, la capacità di precorrere i tempi, la sua vicinanza al popolo. La ragione per cui, citando il suo amico e collaboratore Enzo Avitabile, “è rimasto musica”.

Guardando Pino, la sensazione è che ci sia stato restituito nella sua interezza, non solo il musicista, il creativo, ma anche il papà, il fratello, l’amico. È stato questo il punto di partenza del documentario?
Sì, sicuramente. Sono partito dal fatto che già ci sono dei film su Pino Daniele e ne è uscito anche uno recentemente quindi il mio primo punto era proprio quello di raccontare un Pino diverso, non solo il musicista ma l’essere umano. La sua vita, per sommi capi, si conosce, i suoi fan la conoscono molto bene ma il Pino uomo invece no, perché lui è stato una persona molto riservata, anche nelle interviste si è sempre sbottonato poco. Amava molto parlare della sua musica mentre invece la sua vita privata l’ha sempre tenuta da parte. Non è che io volessi fare del gossip ma ho voluto raccontare quelle che sono state le cose alla base della sua musica. Mi sono concentrato su quello, a partire dalla sua infanzia. Ad esempio, io sapevo che lui era cresciuto con queste zie mentre invece ho scoperto poi che non erano delle zie vere ma erano due signore non sposate e all’epoca considerate benestanti (perché avevano un lavoro) che abitavano al terzo piano del suo palazzo. I genitori di Pino invece erano molto poveri, il padre era un alcolizzato violento, tutte queste cose non erano mai uscite e le scopriamo ora grazie al lavoro che ha fatto Alex Daniele, il figlio di Pino che con la sua Fondazione ha riaperto un po’ tutte le scatole in cui c’erano le storie del padre.

Descrive Pino Daniele come un artista che cercava ossigeno nei musicisti di tutto il mondo. Come l’ha respirato e reso questo suo bisogno di andare sempre a scoprire cose nuove, grandi artisti, influenze, suoni, idee?
Pino Daniele è stato molto criticato nella sua carriera per tutti i cambiamenti che ha fatto. All’inizio perché non era schierato politicamente, parlava di Napoli, parlava del popolo di Napoli ma non ne parlava in maniera politica. È stato poi criticato perché dopo aver formato una super band l’ha abbandonata per cominciare a suonare con i più grandi musicisti del mondo. Poi, ancora, perché non cantava più in napoletano ma in italiano. Questo perché secondo me era una persona molto irrequieta che ha cercato sempre nella sua carriera di rinnovarsi, di cambiare. Ha fatto una ricerca continua andando oltre la sua comfort zone, rompendola, cercando di migliorarsi sempre.

A proposito di politica, l’amico e collaboratore Rosario Jermano nel film dice: “Non era un cantante a pugno chiuso ma il pugno chiuso lo teneva dentro”.
Brani come la famosa Napule è o l’attualissimo Chillo È Nu Buono Guaglione ne sono la riprova. Soprattutto nei primi dischi, in Terra Mia, in Pino Daniele si vede già questo. Pino chiaramente è cresciuto a Napoli negli anni 70, quindi, in qualche modo, non poteva essere lontano da un discorso politico anche se ufficialmente non si è mai schierato politicamente, è sempre stato con il popolo, questa è la sua posizione ed è quello da cui è partita la sua musica. Fa diciamo un po’ spavento come Na tazzulella ‘e cafè per esempio parli di come il popolo napoletano venga umiliato e poi in qualche modo si accontenti di questa tazzulella. Poi ci sono altri pezzi come Chillo È Nu Buono Guaglione che invece parlano, addirittura, di una ragazza trans. All’epoca forse si poteva dire un femminiello perché ancora non si conoscevano i termini giusti da utilizzare e raccontava di una ragazza che voleva urlare “sono normale” per strada. Parliamo della fine degli anni 70. Quando ho ascoltato per la prima volta quel pezzo, scoperto nei primi anni 2000, mi sono chiesto come fosse stato possibile che glielo avessero fatto fare, all’epoca, in cui certe cose erano un tabù. Oggi non più fortunatamente ed è uno dei videoclip che ho inserito nel film proprio perché sembra paradossale come una canzone del ‘79 racconti una storia di oggi, che si realizza oggi. Infatti, oggi, una ragazza trans di Napoli può camminare per strada, urlare ‘sono normale’ e fare una vita normale. Ci siamo arrivati dopo un po’, però, e Pino lo raccontava già negli anni ‘70.

Tornando su Napule è e lo sguardo di Pino sulla sua città, si può dire che era schietto ed a volte amaro un po’ come quello di Sorrentino in Parthenope?
Io sono uno di quei napoletani che ama parlare non male di Napoli però, “anche” male di Napoli. Sembra quasi un delitto parlare male della nostra città, che è molto aperta ma a volte però si chiude in se stessa, non accetta la critica. C’è una cosa che per esempio a me fa impazzire, negli ultimi anni, una critica che è stata fatta anche a me quando ho fatto Ultras, che di Napoli se ne parla solo male, come in Gomorra, che si raccontano solo gli aspetti negativi. Di cosa dobbiamo parlare? Che c’è il sole, la pizza? Dobbiamo parlare delle cose brutte che succedono in questa città perché sono le cose che ci fanno ragionare su quello che la nostra città significa, quali sono gli aspetti più oscuri della nostra cultura e anche della nostra storia. Penso che Pino sia stato uno dei primi a parlare in questo modo di Napoli, in maniera realistica e realista, a differenza di quello che facevano i suoi contemporanei della canzone melodica che parlavano solo di storie d’amore, che davano un’immagine positiva del “guappo” dei quartieri.

Come ha trovato un equilibrio nel racconto considerando che certe cose non potevano non esserci, come Massimo Troisi, ad esempio?
Non poteva non esserci Massimo Troisi e mi sono chiesto se mettere l’intervista con Gianni Minà che conoscono tutti, sta su YouTube con un mare di visualizzazioni. Poi ho pensato: “ma come posso non mettercela e omettere questo momento?” Ho selezionato un segmento specifico di quella clip, in cui si parla di sofferenza. Chiaramente Massimo lo fa, facendo ridere e piangere allo stesso tempo come era solito fare lui, però è un po’ la chiave del racconto, mettere l’accento sulla sofferenza della mancanza di affetto, d’amore, un po’ le linee emotive della sua vita.

6 Aprile 2025

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