Testi e discorsi di Bergoglio
Il Papa e la poesia
"Viva la Poesia!": Papa Francesco, da questi scritti, ricorda a noi tutti che la poesia possiede un potere unico: si tratta di un potere senza sopraffazioni, senza confini, senza violenze.
Cultura - di Dorella Cianci

Tempo fa, papa Francesco ha scritto: «Cari poeti, so che avete fame di significato e, per questo, riflettete su come la fede interroga la vita. Questo “significato” non è riducibile a un concetto, no. È un significato totale che prende poesia, simbolo e sentimenti […] Ho amato molti poeti e scrittori nella mia vita, tra i quali ricordo soprattutto Dante e Dostoevskij. Le parole degli scrittori mi hanno aiutato a capire me stesso, il mondo, il mio popolo; ma anche ad approfondire il cuore umano, la mia personale vita di fede […] Dunque la parola letteraria è come una spina nel cuore, che muove alla contemplazione e ti mette in cammino. La poesia è aperta. Ti butta da un’altra parte»… Ma soprattutto, «La vita senza poesia non funziona».
In questi giorni, in libreria si trova un volume davvero unico, bello e interessante (“ Viva la poesia!”, edizioni Ares, euro 18,50) , ben curato da padre Antonio Spadaro, gesuita, sottosegretario del Dicastero vaticano per la Cultura e l’Educazione, a lungo direttore della rivista La Civiltà Cattolica. In questo libro, per la prima volta, sono raccolti testi e discorsi di Bergoglio su poesia e letteratura, introdotti dal saggio iniziale di padre Spadaro, che ci aiuta a delineare la passione di questo pontefice per i poeti. Papa Francesco, da questi scritti, ricorda a noi tutti che la poesia possiede un potere unico: si tratta di un potere senza sopraffazioni, senza confini, senza violenze. È un potere performativo, capace di toccare le corde più profonde dell’anima, comunicando emozioni e pensieri in modi che le parole quotidiane, a volte, non riescono a esprimere, perché intrise di rabbia, di scontento, di provvisorietà.
Papa Francesco, come si sta vedendo anche in queste ultime settimane, è autenticamente amato da credenti e non credenti proprio per il suo approccio umano (e misericordioso) alle questioni spirituali e sociali. In questo contesto, ha spesso sottolineato l’importanza della poesia, e dei cosiddetti «poeti sociali», come elemento centrale nella contemporaneità. L’amore del Papa per questo genere letterario non solo ha arricchito e arricchisce continuamente il suo messaggio, ma offre importanti spunti di riflessione su come la poesia possa fungere da ponte tra gli esseri umani, eliminando quelle assurde distanze. Scrive Francesco lunedì 19 agosto del 2013: «Quali sono i segni di speranza oggi? Come si fa ad essere ottimisti in un mondo in crisi? A me non piace usare la parola “ottimismo”, perché dice un atteggiamento psicologico. Mi piace invece usare la parola “speranza”, secondo ciò che si legge nel capitolo 11 della Lettera agli Ebrei. I Padri hanno continuato a camminare, attraversando grandi difficoltà. E la speranza non delude, come leggiamo nella Lettera ai Romani».
Un aspetto cruciale del pensiero di Papa Francesco è il suo apprezzamento per autori come Dante Alighieri. In questo Francesco ha seguito le orme di altri pontefici, come Paolo VI, il quale seppe leggere in Dante tutti i valori umani (intellettuali, civili, morali, affettivi, culturali). E, in Dante, Bergoglio ha scorto anche il cantore della misericordia di Dio e della libertà umana: non è un caso trovare l’imperatore Traiano, pagano, collocato nel Paradiso. Quale era stato il merito di questo imperatore se non la capacità di esercitare la carità? Papa Francesco, nel 2021, in un mondo segnato dalla pandemia, si era appellato ai «poeti sociali», cioè a coloro che si espongono, fra la gente, con atti concreti di aiuto: anche quella è poesia!
“Viva la poesia”, grazie alle dense indicazioni di padre Spadaro, ci offre un approfondito ritratto di Francesco e di come la poesia ha rivestito un’importanza cruciale nella sua spiritualità e nella sua visione del complesso mondo contemporaneo. Papa Francesco ha sottolineato come le parole poetiche possano portare conforto a coloro che si trovano in situazioni di grande disagio. La capacità della poesia di esprimere sentimenti complessi, di dare voce alle emozioni e di offrire un senso di appartenenza rappresenta un elemento fondamentale nella costruzione di relazioni umane piene di senso e non superficiali. In “La Messa sul Mondo” Pierre Teilhard de Chardin intravede questo ruolo nel sole che ha da poco illuminato l’Oriente, mentre la Terra cerca di riprendere, al nuovo giorno, «la fatica pesante» (come ben tradusse Quasimodo). Qual è, dunque, il tempo dei poeti “effimeri”, per dirla con il greco Pindaro? Il loro tempo è sempre e dunque anche questo….Il nostro tempo. Il poeta, infatti, vive nel tempo profetico, in quel prefisso pro che è l’attimo prima del «proferire». Il poeta è lì, come il profeta, che prende, con le mani e con il sentimento, l’esperienza mistica e tenta di risignificare la quotidianità. La poesia incrocia la preghiera, anzi la incontra nel momento in cui un uomo alza gli occhi al cielo e osa chiedere, piangere, gridare, ringraziare o addirittura imprecare.
Lo scorso anno, papa Francesco, parlando alla comunità accademica della Pontificia Università Gregoriana, ha detto: «Nessun algoritmo potrà mai sostituire la poesia, l’ironia, l’amore, e gli studenti hanno bisogno di scoprire la forza della fantasia, di veder germinare l’ispirazione, di prendere contatto con le proprie emozioni e di saper esprimere i propri sentimenti. In questo modo si impara a essere se stessi, misurandosi con il corpo a corpo con i grandi autori, secondo la misura della capacità di ciascuno, senza scorciatoie che sottraggono libertà alla decisione, spengono la gioia della scoperta e privano dell’occasione di sbagliare».
Poi ci sono quelle straordinarie parole con le quali il pontefice cita Francesco de Quevedo, autore spagnolo del XVII secolo. Quel poeta scrisse: «Cerchi Roma a Roma, o pellegrino!/E nella stessa Roma, Roma non trovi: cadaveri sono le mura che ostentavi […]».
A che ci fanno pensare questi versi? Per Bergoglio rappresentano l’idea che, a volte, costruiamo monumenti sperando di sopravvivere a noi stessi, e Roma, in questo aspetto, è maestra, poiché dimostra concretamente che chiunque si sia sentito invincibile, alla fine è scivolato via, lungo un fiume, il Tevere, che, invece, è rimasto. Perché, come scrive Baudelaire, pensando a Rubens, la vita è fluida e si agita senza sosta, come si agita l’aria in cielo e il mare, nel mare. A quali versi avrà pensato Francesco in questi duri giorni d’ospedale? Mi piace pensare che il suo sentire sia andato a Emily Dickinson, spesso citata, in particolare nel verso «Ubriacarsi d’Aurora», Francesco ama, anche, citare Antoine de Saint –Exupéry, il quale percorrendo un vagone di terza classe, pieno di rifugiati, scrisse: «mi tormenta una specie di ferita. Mi tormenta che in ognuno di questi uomini c’è un po’ di Mozart, assassinato».