In attesa della decisione CGUE

L’avvocato dell’Ue: “Sui profughi l’ultima parola spetta ai giudici”

Gli stati membri possono designare con atto legislativo un Paese terzo come “sicuro”, ma serve comunque un controllo di legittimità da parte del giudice nazionale. Lo dice l’avvocato generale della Cgue sulla questione sollevata dal Tribunale di Roma. Il parere non è vincolante, la decisione prima dell’estate

Giustizia - di Angela Stella

11 Aprile 2025 alle 10:00

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AP Photo/Vlasov Sulaj
AP Photo/Vlasov Sulaj

Gli Stati dell’Unione Europea possono designare la lista di Paesi sicuri con atto legislativo ma i giudici sono chiamati ad un controllo di legittimità: questa la posizione espressa dall’Avvocato generale della Corte di Giustizia Europea, Richard de la Tour, in merito al protocollo Italia Albania e al dl Paesi Sicuri. Il caso era stato dibattuto dinanzi ai giudici di Lussemburgo lo scorso 25 febbraio: riguarda due cittadini del Bangladesh, la cui richiesta di protezione è stata respinta dalla Commissione territoriale di Roma, poiché il Bangladesh è stato disegnato Paese sicuro da un decreto interministeriale del maggio 2024, poi sostituito nell’ottobre successivo dal cosiddetto “dl Paesi sicuri”.

La sezione immigrazione del Tribunale civile di Roma con due ordinanze di rinvio pregiudiziale aveva chiesto alla CGUE di rispondere sostanzialmente a quattro domande: il diritto dell’Unione osta a che un legislatore nazionale proceda anche a designare direttamente, con atto legislativo primario, uno Stato terzo come Paese di origine sicuro? Quali garanzie procedurali devono esserci per verificare le fonti usate per questa decisione? Qual è il ruolo delle autorità giurisdizionali nel verificare la situazione del Paese interessato? Un Paese può essere definito sicuro se non lo è per alcune categorie di persone? L’Avvocato generale ha risposto come segue: “Uno Stato membro può designare un Paese terzo come Paese di origine sicuro mediante un atto legislativo. Tuttavia, il giudice nazionale chiamato a esaminare un ricorso avverso il rigetto di una domanda di protezione internazionale deve disporre, nell’ambito dell’esame sulla legittimità di tale atto, delle fonti di informazione che sono servite da base per tale designazione”.

Inoltre, secondo de la Tour, “la mera circostanza che un Paese terzo sia designato come Paese di origine sicuro mediante un atto legislativo non può avere la conseguenza di sottrarlo ad un controllo di legittimità, salvo privare di qualsiasi efficacia pratica la direttiva. L’atto legislativo applica il diritto dell’Unione e deve garantire il rispetto delle garanzie sostanziali e procedurali riconosciute ai richiedenti protezione internazionale dal diritto dell’Unione”. Per quanto riguarda la possibilità di designare un Paese terzo come Paese di origine sicuro in presenza di alcune categorie di persone a rischio, de la Tour ritiene che “la direttiva (direttiva Ue 2013/32, ndr) non osti a che uno Stato membro attribuisca ad un paese terzo lo status di paese di origine sicuro, identificando nel contempo categorie limitate di persone che possono essere esposte, in tale paese, al rischio di persecuzioni o violazioni gravi. Ciò è possibile solo qualora, da un lato, la situazione giuridica e politica di tale paese caratterizzi un regime democratico che garantisca alla popolazione in generale una protezione duratura contro tali rischi e, dall’altro, lo Stato membro interessato escluda espressamente tali categorie di persone dall’applicazione del concetto di Paese di origine sicuro e dalla presunzione di sicurezza ad esso connessa”. Il parere dell’Avvocato generale non è vincolante per la decisione che la CGUE dovrà prendere prima dell’estate.

La questione rappresenta un braccio di ferro tra Governo e magistratura: il primo accusa la seconda di voler contrastare la politica migratoria del Governo, in particolare il protocollo Italia-Albania, attraverso delle sentenze. I giudici si sono sempre difesi sostenendo di rispettare il diritto comunitario. Secondo Gianfranco Schiavone, socio dell’Asgi, “il parere dell’Avvocato generale dà sostanzialmente ragione ai giudici italiani per due motivi”. Il primo: “ribadisce il dovere dei giudici di intervenire per esaminare la legittimità della designazione di Paese di origine sicuro, in tutti i casi in cui trattano un ricorso che coinvolge l’applicazione di tale nozione”. Secondo: “anche adottando una posizione di non intera adesione a quella di alcuni tribunali italiani che avevano ritenuto che non fosse mai possibile applicare la nozione di Paese di origine sicuro con esclusione per alcune categorie di persone, l’Avvocato generale sostiene chiaramente che uno Stato può applicare a un dato Paese di provenienza la nozione di Paese di origine sicuro prevedendo che in tale Paese ci possono essere categorie di persone che sono esposte a rischi di persecuzione e compromissione dei diritti purché si tratti di categorie estremamente limitate e soprattutto a condizione che lo Stato in cui vivono abbia un ordinamento generale e costante di tipo democratico”.

Per Schiavone quindi la questione è questa: “non credo che Paesi come Egitto e Tunisia possono definirsi sicuri. Eppure il governo italiano li ha inseriti a suo piacimento della lista secondo però arbitrari criteri politici violando i criteri giuridici indicati all’ allegato I della direttiva europea 2013/32/UE”. Nella giornata di ieri ha parlato anche il portavoce della Commissione europea, Markus Lammert, nel briefing quotidiano con la stampa a Bruxelles: “Prendiamo atto del parere espresso dall’avvocato generale della Corte dell’Ue sulla designazione dei Paesi terzi sicuri ma, come sempre, non commentiamo i procedimenti giudiziari in corso” e il parere “non è vincolante, dovremo attendere la sentenza della Corte Ue”. Ricordiamo che l’istituzione guidata da Ursula von der Leyen durante l’udienza davanti alla CGUE si dichiarò d’accordo con le eccezioni per categorie di persone, sostenuto dal Governo Italia. Nel parere scritto, depositato a gennaio di quest’anno, aveva affermato il contrario.

11 Aprile 2025

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