La premier alla corte del presidente Usa

Meloni in gita da Trump, a Washington sarà solo una passerella: a trattare sui dazi sarà il “ministro” Ue Sefcovic

Lunedì Sefcovic, “ministro” del Commercio di Bruxelles, avvierà negli Stati Uniti i negoziati col tycoon. Così che l’incontro con la premier di giovedì sarà solo un’inutile passerella

Politica - di David Romoli

12 Aprile 2025 alle 08:00

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Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse
Foto Filippo Attili/Palazzo Chigi/LaPresse

Lunedì prossimo il commissario europeo al Commercio Sefcovic sarà a Washington per il primo vero avvio della trattativa con Trump. L’incontro è conseguenza diretta dell’affermazione del presidente americano di due giorni fa, la decisione annunciata di voler trattare solo con l’Unione nel suo complesso e non con i singoli Stati. È una posizione non diversa ma opposta rispetto a quelle sbandierate dal tycoon nelle settimane precedenti e per questo è certamente indicativa dello spirito con il quale l’uomo dei dazi si confronterà con la Ue dopo la retromarcia. La svolta, inoltre, è destinata a incidere sulla missione di giovedì prossimo della premier italiana, in larga misura depotenziata dall’appuntamento fissato tre giorni prima con il rappresentante ufficiale dell’Unione.

In sé la svolta di Trump è a modo suo un ramoscello d’ulivo. La Casa Bianca, nei giorni dell’offensiva verbale e materiale contro l’Europa, aveva sempre rifiutato di riconoscere l’Unione come soggetto politico. Non aveva mai parlato con la presidente von der Leyen né, almeno ufficialmente o semiufficialmente, con nessun altro rappresentante della Ue. L’annuncio di giovedì scorso, preceduto dalla tregua sui dazi e seguito dall’incontro fissato con Sefcovic indica la volontà di cercare un accordo. L’Europa resta più che guardinga. La presidente ha annunciato ieri che l’Unione tasserà Big Tech se non si arriverà all’intesa ed è la prima volta che Burxelles dichiara apertamente l’intenzione, se la guerra riprenderà, di adoperare una delle armi più potenti a propria disposizione. Trattativa con la pistola sul tavolo, dunque, ma anche con molte più speranze di prima di non doverla poi usare. Anche perché su quel passo estremo non c’è accordo tra i 27: l’Italia, per esempio, non è affatto di quel parere.

L’avvio di disgelo con Bruxelles inevitabilmente derubrica l’incontro con la premier italiana se non proprio a ordinaria amministrazione neppure a evento fondamentale come sembrava invece dover essere. In parte per Giorgia è un vantaggio. Nella tesissima condizione precedente se fosse tornata a casa senza aver ottenuto niente avrebbe visto precipitare le proprie posizioni in Europa e se avesse ottenuto risultati non cristallini sarebbe stata immancabilmente accusata di vassallaggio nei confronti del dannato di White House. D’altra parte l’ingresso in campo della Commissione in prima persona riduce di molto il suo ruolo potenziale. Nella migliore delle ipotesi potrà realmente solo “facilitare”, e non di molto, la trattativa vera ora apertamente in capo a chi di dovere, cioè alla Commissione. Ma anche così ridimensionato l’incontro non sarà insignificante.

La premier italiana proporrà quel che aveva già anticipato settimane fa: un summit Usa-Ue per ricucire i rapporti e sciogliere i molti nodi. Se ottenesse una risposta positiva sarebbe una vittoria diplomatica di notevole peso. Trump, che come ormai si sa guarda prima di tutto al portafogli, insisterà per il maggior impegno dell’Italia e dell’Europa nella Nato. L’inviato di Trump per le partnership, Paolo Zampolli, intervistato ieri dal Corriere della Sera ha lasciato cadere come se nulla fosse che “sarebbe fantastico” se l’Italia “si impegnasse”, certo con tutti i tempi del caso, a raggiungere il proibitivo tetto del 5% del Pil per la Nato. Detto all’Italia, che fatica ad arrivare al 2% già concordato, come peraltro quasi tutta l’Europa, sembra una battuta di dubbio gusto. In realtà è una opzione che il governo sta già valutando. Certo, il 5% è pura fantascienza ma se si trattasse di arrivare, senza tappe forzate anzi procedendo con i piedi di piombo, al 3,5% ci si dovrebbe ragionare.

Il punto più spinoso non è detto che Trump lo affronti con l’italiana. Però non è affatto detto neppure che non lo faccia. Sembra evidente che la retromarcia nella guerra dei dazi sia stata decisa da Trump per le mazzate incassate in borsa dal dollaro e dai titoli di Stato americani ma anche per la necessità di non ritrovarsi solo nella vera guerra, quella contro la Cina, con tutto il resto del mondo – alleati europei inclusi – costretto a fare blocco con il Dragone. Metterà quindi sul tavolo, certamente con Sefcovic ma forse anche con Giorgia, la richiesta di un fronte comune anticinese. Xi, dopo aver portato al 125% i dazi sull’export americano, lo ha anticipato proponendo alla Ue di “resistere insieme alle prepotenze unilateriali”. Per l’Europa e per l’Italia, che non hanno alcuna intenzione di imbarcarsi in una guerra dei dazi a fianco dell’infido Trump contro la Cina anche se temono moltissimo l’inondazione della sovraproduzione cinese che deve sostituire il mercato americano, sarà una scelta difficile. Soprattutto se il presidente americano userà come strumento di pressione sul Vecchio continente la minaccia di resuscitare i dazi.

12 Aprile 2025

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