La guerra commerciale
Dazi, la Cina risponde alla guerra commerciale di Trump: sospeso l’export di terre rare, cresce l’incubo recessione

Tra Washington e Pechino i toni dello scontro sulla guerra commerciale imposta da Donald Trump a suon di dazi si fanno sempre più accesi. Di fronte infatti a tariffe sulle merci cinese del 145 per cento, dal gigante asiatico e seconda economia al mondo non è tardata una risposta altrettanto dura.
Il regime di Xi Jinping, come riferito dal New York Times, sta imponendo in queste ore la sospensione dell’export di diversi elementi critici delle terre rare, metalli e magneti, minacciando il blocco delle forniture all’Occidente di componenti essenziali per l’industria bellica (in particolare gli appaltatori militari americani), elettronica, automobilistica, aerospaziale, dei semiconduttori e di una vasta gamma di beni di consumo.
Una nuova escalation, quella decisa a Pechino, che segue le prime restrizioni già indette il 4 aprile, due giorni dopo il “Liberation Day” di Trump: in quell’occasione la Cina aveva stabilito restrizioni all’esportazione di sei metalli pesanti delle terre rare, che vengono raffinati interamente in Cina, nonché di magneti in terre rare, il 90% dei quali è prodotto in Cina. Una mossa che obbliga, per spedire fuori dai propri confini questi metalli e magneti speciali, il possesso di licenze di esportazioni speciali.
A nulla per ora pare servita l’esenzione temporanea da parte dell’amministrazione Trump sui dazi per i dispositivi elettronici provenienti dalla Cina, ennesima retromarcia in tema di tariffe dopo il panico che si è scatenato tra le big tech americane. Dalla guerra commerciale trumpiana sono infatti le aziende Usa come Apple, Microsoft o Nvidia quelle che hanno maggiormente da perdere: dipendono infatti dalla Cina per la produzione e l’importazione di componentistica o addirittura prodotti già “finiti”, come nel caso degli iPhone di Apple venduti negli Stati Uniti, di cui l’80% è prodotto dalla Foxconn in Cina. Dazi al 145 per cento, come quelli annunciati da Trump, andrebbero a scaricarsi sul prezzo finale per il consumatore rendendo beni di largo consumo, come gli stessi iPhone, prodotti dal prezzo fuori controllo.
Eppure dalla Casa Bianca si professa tranquillità. “Non ci aspettiamo una recessione quest’anno”, ha detto il consigliere economico della Casa Bianca Kevin Hassett in un’intervista a Fox News. Ben diversa l’opinione di un autentico guru della finanza come Larry Fink, Ceo di BlackRock, il più grande gestore di patrimoni al mondo (controlla asset per 11,6 trilioni di dollari). “Siamo molto vicini o addirittura già dentro alla recessione”, è stato pochi giorni fa il suo commento caustico alla Cnbc. “Gli annunci sui dazi degli Stati Uniti sono andati oltre qualsiasi cosa avrei potuto immaginare nei miei 49 anni di esperienza nella finanza”, sono state le sue parole.
Meno forti ma altrettanto nette le dichiarazioni di Jamie Dimon, amministratore delegato della banca di affari Jp Morgan Chase, notoriamente di simpatie repubblicane: “L’economia statunitense sta affrontando notevoli turbolenze”, ha spiegato con riferimento ai dazi.
Di recessione parla anche il miliardario fondatore di Bridgewater Ray Dalio. Per il fondatore della società di investimenti “siamo molto vicini a una recessione e temo che possa esserci qualcosa di peggio se la situazione non sarà gestita bene”. “Stiamo passando dal multilateralismo, che è un ordine di stampo americano, a un ordine unilaterale caratterizzato da forti conflitti”, ha messo in evidenza Dalio, che si è detto preoccupato dal possibile smantellamento della struttura economica e geopolitica in vigore dalla Seconda guerra Mondiale.
Eppure il tycoon non molla la presa ma, anzi, rilancia con le sue uscite quotidiani sulle tariffe, annunciandone di nuove sui semiconduttori. Un annuncio a tal proposito è previsto “la prossima settimana”, ha scritto lo stesso Trump via social.