Il parere dell'avvocato generale CGUE

Paesi sicuri, perché e solo se: ma i giornali filogovernativi non ci hanno capito molto

I governi possono compilare la lista, ma devono spiegare perché li considerano sicuri, su quali fonti, e non possono indicare troppe categorie di “esclusi”. In ogni caso l’ultima decisione spetta ai giudici. I giornali filogovernativi non hanno capito molto di questa esposizione

Politica - di Gianfranco Schiavone

14 Aprile 2025 alle 17:33

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AP Photo/Vlasov Sulaj
AP Photo/Vlasov Sulaj

L’avvocato generale presso la Corte di Giustizia dell’Unione Europea (CGUE), J.R. De La Tour ha presentato le sue conclusioni nelle cause riunite Alace-Canpelli. In parte della stampa italiana sono apparse ricostruzioni e conclusioni parziali o errate su quanto prospettato dall’avvocato generale ed è quindi necessario fare chiarezza.

La vicenda inizia con il trasferimento nel centro di Gjader in Albania di un gruppo di cittadini bengalesi cui la domanda di asilo fu rigettata per manifesta infondatezza il 17.10.24 dopo una trattazione velocissima. Dopo essere rientrati in Italia a seguito della decisione del Tribunale di Roma- sezione specializzata per l’asilo che aveva ritenuto illegittima l’applicazione della procedura accelerata di frontiera in Albania e il loro trattenimento nel centro, il 25.10.2024 i ricorrenti presentarono ricorso avverso il diniego della loro domanda di asilo dinanzi al Tribunale ordinario di Roma, il quale sospese il procedimento chiedendo alla CGUE di esprimersi su alcune importanti questioni pregiudiziali.

La prima (e più semplice) questione che è stata posta all’attenzione della Corte di Giustizia è se il diritto dell’Unione consenta a uno Stato membro di procedere alla designazione di paesi terzi come paesi di origine sicuri mediante atto legislativo. L’avvocato generale evidenzia come gli Stati hanno ampia discrezionalità sugli strumenti, amministrativi o legislativi che possono adottare e che pertanto il diritto dell’Unione non osta a una scelta come quella fatta dal Governo italiano, purché però il contenuto della disposizione legislativa o amministrativa sia garantito il primato del diritto dell’Unione e il rispetto degli obblighi connessi.

La seconda e terza questione riguardano la conformità al diritto dell’Unione della scelta di non esplicitare e rendere pubblicamente accessibili le fonti su cui è stata fatta la designazione di paese di origine sicuro, come ha deciso di fare il Legislatore italiano e il diritto del giudice di utilizzare in autonomia le fonti che ritiene utili. Pur riconoscendo che non c’è nel diritto dell’Unione alcuna norma che espressamente imponga di rendere note le fonti, con un’analisi molto chiara e condivisibile l’avvocato generale osserva che “ sia l’impianto sistematico sia le finalità della direttiva 2013/32 depongono a favore della loro divulgazione” (51).

Proprio il carattere confutabile della presunzione di sicurezza richiede da un lato che l’autorità amministrativa competente sia in grado di valutare la coerenza, serietà e plausibilità delle dichiarazioni del richiedente alla luce di dette fonti di informazione e dall’altro che il richiedente sia messo in condizione di conoscere, e se del caso poter confutare, anche in giudizio le ragioni per cui l’autorità che ha esaminato la sua domanda ha ritenuto sicuro il suo paese di origine. Soprattutto, osserva l’avvocato generale, la pubblicità delle fonti di informazione va considerata «indissociabile dal diritto a un ricorso giurisdizionale effettivo» (punto 57). Il giudice del ricorso “cui spetta un esame completo ed ex nunc degli elementi sia di fatto sia di diritto concernenti la domanda di protezione internazionale (47) opera pienamente il suo sindacato di legittimità anche in caso di “una decisione di rigetto di una domanda di protezione internazionale proposta da un richiedente proveniente da un siffatto paese” (punto 64).

Per tale ragione è necessario “che egli abbia accesso alle fonti di informazione impiegate a tal fine dal legislatore nazionale” (59). L’autorità giudiziaria altresì, specie nel caso in cui il potere esecutivo non aggiorni periodicamente ed in modo accurato le fonti su cui basa la propria valutazione sulla designazione dei paesi di origine sicuri, ha pieno diritto di procedere a “un aggiornamento della situazione generale del paese sul piano civile, giuridico e politico” (par. 63) attingendo a tutte le fonti che ritiene pertinenti. La tesi a lungo propugnata dal Governo italiano secondo la quale la designazione per legge dei Paesi di origine sicuri sarebbe stata un “atto politico” connesso alle scelte di politica internazionale dell’Esecutivo e come tale non pienamente sindacabile dall’autorità giudiziaria viene interamente rigettata dall’avvocato generale della CGUE.

Il quarto rinvio pregiudiziale alla CGUE è quello più controverso e di cui si è più dibattuto; esso riguarda la possibilità o meno di designare un paese terzo come paese di origine sicuro prevedendo delle eccezioni per categorie di persone che in tale Paese non godono di una protezione sufficiente contro il rischio di persecuzioni o violazioni gravi. L’avvocato generale riconosce la complessità della questione alla quale “possono essere date due risposte, ciascuna risultante da un’interpretazione (a suo avviso) giuridicamente sostenibile” (67). La prima interpretazione, che l’avvocato generale ritiene un po’ idealistica (ma non per questo ne rigetta la validità sul piano giuridico) è quella in base alla quale un paese di origine sicuro può essere definito tale solo se tutti i cittadini, indipendentemente da dove si trovino e dalla loro condizione sociale o giuridica, sono protetti dal rischio di subire persecuzioni o gravi violazioni del loro diritti fondamentali. E’ in buona sostanza la tesi sostenuta, tra gli altri, dal Tribunale di Bologna che con ordinanza (R.G. 14572-1/2024) del 25.10.24 sollevò anch’esso un rinvio pregiudiziale alla CGUE ritenendo che “il sistema della protezione internazionale è, per sua natura, sistema giuridico di garanzia per le minoranze esposte a rischi provenienti da agenti persecutori, statuali o meno” e che “ se si dovesse ritenere sicuro un paese quando la sicurezza è garantita alla generalità della popolazione, la nozione giuridica di Paese di origine sicuro si potrebbe applicare a pressoché tutti i paesi del mondo, e sarebbe, dunque, una nozione priva di qualsiasi consistenza giuridica”.

Secondo l’avvocato generale della CGUE adottare tale visione priverebbe la “nozione di paese di origine sicuro di una parte della sua efficacia pratica” (69) che è quella di permettere di trattare una parte delle domande di asilo con una procedura accelerata evitando “in un contesto caratterizzato da una forte pressione migratoria” una “congestione dei servizi delle autorità competenti e un allungamento della procedura di esame” (69). Seguendo un’argomentazione non sempre lineare ispirata a una visione che lo stesso avvocato qualifica quale “pragmatica” (72) egli opta per l’altra interpretazione in base alla quale non contrasterebbe con la Direttiva 2013/32/UE (procedure) la scelta di qualificare in generale un paese terzo quale paese di origine sicuro anche nel caso in cui sia provato che in tale paese ci siano alcune limitate categorie di persone non protette dal rischio di persecuzione.

Rigettando le tesi sostenute dal Governo italiano, dalla Commissione Europea e da molti stati membri che sono intervenuti nel procedimento, l’avvocato generale precisa però in modo netto che è necessario “circoscrivere le eccezioni personali a un numero molto limitato di persone, salvo rimettere in discussione la presunzione di sicurezza alla base della designazione del paese terzo interessato come paese di origine sicuro. Infatti, la previsione di un numero eccessivo di eccezioni personali o di categorie di persone a rischio indicherebbe, in realtà, che il paese di origine non è sicuro” (91). Se infatti fosse possibile ritenere a tutti costi sicuro un Paese inserendo innumerevoli eccezioni di categorie di persone “il concetto di paese di origine sicuro tenderebbe ad essere una finzione” (92).

Da ultimo (ma è forse la considerazione più rilevante dell’intera analisi) l’avvocato generale sottolinea con forza che la ragione per cui le eccezioni per categorie di persone devono essere limitatissime è legato al fatto che il diritto europeo prevede che la stessa nozione di paese di origine sicuro è applicabile solo “a condizione (..) che la situazione giuridica e politica del suddetto paese caratterizzi un regime democratico nell’ambito del quale la popolazione gode, in generale, di una protezione duratura contro tale rischi”. Il Governo italiano ha palesemente abusato della nozione di paese di origine sicuro creando una lunga lista (senza neppure indicare le fonti di tale scelta) di Paesi che non hanno affatto un ordinamento democratico e per i quali non si pone neppure la complessa questione della possibile individuazione di limitate categorie di persone per le quali il paese di origine non è in realtà sicuro poiché è proprio la scelta di qualificarli paesi sicuri ad essere in radicale contrasto con il diritto UE.

Se si esamina la lista italiana si vede infatti che vi figurano molti Paesi nei quali è violato l’obbligo di “rispetto dei diritti e delle libertà stabiliti nella Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e/o nel Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici e/o nella Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura” (allegato I della Direttiva procedure) che fungono da parametro di valutazione per poter qualificare il paese terzo come paese di origine sicuro. Se le tesi dell’avvocato generale verranno accolte dalla CGUE futuri tentativi, da parte dell’Italia o eventualmente di altri Stati membri, di attuare un’illegittima torsione della nozione giuridica di paese di origine sicuro per finalità politiche dovrebbero venire ridimensionati

14 Aprile 2025

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