Dal 17 aprile nelle sale

Intervista a Robert Guédiguian: “Borghesia e popolo, la lotta di classe nell’arte è tra chi illumina e chi oscura la realtà”

Ambientata a Marsiglia, l’opera racconta la storia di Maria, donna un tempo agiata che si guadagna da vivere accudendo gli anziani, e rubacchiando qualche spicciolo. “Sono tempi cupi, ma serve leggerezza”

Interviste - di Chiara Nicoletti

14 Aprile 2025 alle 17:24

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AP Photo/Alessandra Tarantino
AP Photo/Alessandra Tarantino

Dopo l’anteprima nazionale italiana lo scorso ottobre nella sezione Grand Public alla Festa del cinema di Roma, arriva finalmente in sala, il 17 aprile con Officine Ubu, La gazza ladra (La pie voleuse), il nuovo film diretto dal maestro del cinema francese Robert Guédiguian, con protagonisti, come di consueto, i suoi attori d’elezione, tra cui la moglie Ariane Ascaride, Jean-Pierre Darroussin e Gérard Meylan. Ambientato nuovamente nella sua Marsiglia, come era stato anche per E la festa continua, il film racconta di Maria (Ariane Ascaride), una donna un tempo agiata borghese ed ora in condizioni economiche precarie, che si dedica ad aiutare e ad accudire le persone anziane. Convinta però che la vita vada vissuta nel presente, per godersi le proprie passioni, la donna, come la gazza di Rossini, ogni tanto compie dei piccoli furti ai danni dei suoi anziani. Quando però esagera, per “finanziare” la potenziale sfavillante carriera da pianista dell’adorato nipote, la situazione prende una piega irreversibile.

Ancora una volta Robert Guédiguian dà voce ai dilemmi morali del proletariato ma al tempo stesso riesce a raccontare e celebrare l’amore in tutte le sue forme. Nelle note di regia dichiara: “Mangiando le ostriche ascoltando un concerto di Rubinstein, Maria si abbandona al piacere, alla sensualità e al gusto per la vita. Maria non ruba solo perché il nipote possa suonare il pianoforte. Penso che tutti, per quanto deprivati dalla vita, abbiano diritto al piacere. Non dovremmo pretendere solo il minimo indispensabile. La vita non può essere ridotta al necessario, occorre anche godere della leggerezza, della bellezza”. Incontrato alla Festa di Roma, il regista marsigliese ha parlato più ampiamente del suo cinema e della lotta di classe nel mondo della settima arte.

Come nasce questo racconto e questa storia di questa donna, che non si ferma, che vuole il bene degli altri, anche a discapito, ogni tanto, della legalità?
Sì, è vero, questa donna, in qualche modo, è una piccola ladra, ruba un pochino ma veramente poco quello di cui ha bisogno quindi per certi aspetti è la persona che ripartisce meglio la distribuzione della ricchezza. A un certo punto, quando viene sorpresa sul fatto, a sua difesa, spiegando il suo operato, lo dice: “Sse avessi chiesto loro un po’ più di soldi, mi avrebbero dato proprio quelli che ho preso”. E sostanzialmente è vero, oggi come oggi non osiamo neanche chiedere di più, soprattutto le persone che vengono pagate poco.

Qual è l’ispirazione di questo film e di questo personaggio?
È una storia vera, in realtà, il punto di partenza. Ma la fonte di ispirazione è una constatazione di fatto: nelle nostre società, l’invecchiamento della popolazione fa sì che siano tante le persone anziane a gestire le proprie finanze come possono. È quindi cosa comune affidare a un’altra persona i propri soldi per farsi fare la spesa. È un fenomeno molto diffuso che esiste e il problema scaturisce appunto dal fatto di non essere più in grado di chiedere. Questo è molto grave rispetto alla società in cui viviamo, non ci sarebbe nulla di male a chiedere, a dire al nostro vicino: “sono in difficoltà, mi puoi dare una mano?” Non lo facciamo e capita di commettere piccoli reati, come la protagonista di questa storia. Questo, in realtà, ci dà una misura dell’aria del tempo e della dislocazione dei rapporti umani che stiamo vivendo.

Il film mantiene il tono di commedia senza mai abbandonarsi al dramma. Nonostante ciò, lei riesce a parlare di temi attuali cosi come delle difficoltà dei legami familiari. Come è riuscito a mantenere questo equilibrio?
Alla base di questo film c’è il desiderio di fare una commedia, usare questi toni. Più noi viviamo un momento tragico come è la realtà dei fatti in questo momento, più abbiamo bisogno di di leggerezza. Viviamo in un mondo che sta veramente in una situazione disastrosa e catastrofica, dove tantissimi paesi stanno virando verso degli autoritarismi, verso una situazione assolutamente detestabile. Noi abbiamo bisogno di leggerezza per mantenere la capacità di trovare delle soluzioni diverse oppure anche soltanto per avere la possibilità di levare lo sguardo verso percorsi differenti, verso un altrove, verso il cielo, sorridere e aiutarci gli uni con gli altri.
Trovo veramente che più la situazione si fa pesante, più noi dobbiamo essere leggeri. Bisogna dipingere come Raffaello e non come Caravaggio in questo momento ed io amo entrambi i pittori.

Per raggiungere questo obiettivo e questo equilibrio, quanto è importante per lei avere sempre la stessa squadra con cui lavorare, a cominciare da sua moglie Ariane Ascaride?
È fondamentale, non soltanto nelle cose pratiche, nel girare un film ma anche nel capire il bisogno di fare le cose che decidiamo insieme di fare. Andiamo d’accordo, c’è un’intesa e una condivisione di vedute non soltanto nel cinema ma anche nella vita reale, nella politica, quindi i film che noi facciamo sono veramente dei progetti condivisi. Non credo che ci siano tanti cineasti oggi che intendono il cinema come un’arte collettiva fino in fondo com’è il caso nostro.

In ogni suo film, lei è riuscito a portare alla luce temi sociali e politici importanti. Sente anche una missione come artista in tal senso, nel portare avanti, attraverso i suoi film, certe istanze?
Sì, assolutamente. Se ne potrebbe parlare molto a lungo della responsabilità politica e sociale di un artista. Credo esistano due concezioni diverse dell’arte e del fare cinema. Da un lato abbiamo la borghesia che intende elaborare delle opere estremamente complesse, in qualche modo per mascherare la realtà delle cose, come se il messaggio fosse che la complessità è inestricabile. Dall’altra parte, invece, il popolo, la gente comune e il proletariato ha bisogno di un racconto che mostri la realtà per quello che è, proprio per avere gli strumenti per decifrarla, quindi: da un lato il tentativo di illuminare il mondo, dall’altro la volontà di oscurarlo. Sono veramente due concezioni in contrasto fra di loro, è la lotta di classe nell’arte.

Nel film che ha aperto la Festa di Roma, su Enrico Berlinguer, si descrive questo importante personaggio politico come una persona che ascoltava tutti per cercare di risolvere i problemi delle persone. Riguardo al suo lavoro da regista, come si fanno i film come i suoi, stando in ascolto?
Credo di sì, anche se non specificamente nel momento della costruzione del film ma principalmente nella vita reale. Mi piace frequentare e stare accanto a persone che nulla hanno a che vedere con il mondo del cinema e questo avviene con facilità nel quartiere dove sono nato e dove sono cresciuto, dove vivono persone che fanno mestieri diversi, dai camionisti agli infermieri, a tante altre professioni. Parigi, al contrario, rappresenta il mondo del cinema che non amo particolarmente, in più io sono un pazzo maniaco dell’informazione, leggo praticamente tutti i quotidiani e ascolto tutti i notiziari e i programmi di informazione in televisione o alla radio. Sono sopra informato in qualche modo rispetto a quello che avviene nel mondo intero.

14 Aprile 2025

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