La guerra culturale
Harvard respinge Trump, l’università non si piega ai diktat della Casa Bianca su programmi e assunzioni: perderà 2 miliardi
Esteri - di Carmine Di Niro

La “ribelle” Harvard non si piega alle richieste di Donald Trump. La prestigiosa università americana, parte di quel gruppo iper elitario di atenei della cosiddetta “Ivy League”, non modificherà i propri programmi di studio e le sue politiche di ammissioni per adeguarsi al nuovo corso della Casa Bianca, anche se questo comporta la perdita di fondi federali per 2,2 miliardi di dollari.
Lo ha annunciato in una nota il presidente dell’università con sede a Cambridge, nell’area metropolitana della città di Boston in Massachusetts: “Abbiamo informato l’amministrazione, tramite il nostro consigliere legale, che non accetteremo l’accordo proposto – ha dichiarato Alan M. Garber, in carica dal 2024, in una nota riportata dalla Cnn e ripresa dalle agenzie – l’università non rinuncerà alla sua indipendenza né ai suoi diritti costituzionali”.
“No government—regardless of which party is in power—should dictate what private universities can teach, whom they can admit and hire, and which areas of study and inquiry they can pursue.” – President Alan Garber https://t.co/6cQQpcJVTd
— Harvard University (@Harvard) April 14, 2025
La decisione di Harvard è il primo chiaro “no” di una università Usa di grande prestigio alla campagna di pressione messa in piedi dall’amministrazione Trump contro i più noti luoghi del sapere, per influenzarne l’attività e avvicinarle all’universo MAGA.
Il pretesto utilizzato da Trump e della Casa Bianca è quello di combattere il presunto antisemitismo all’interno delle università statunitensi, in riferimento alle estere proteste che si erano tenute lo scorso anno nei campus contro l’invasione della Striscia di Gaza da parte dell’esercito di Israele.
Ma quali erano le richieste dell’amministrazione Trump? Nell’elenco ci sono la cancellazione dei programmi DEI (Diversità, equità e inclusione), il divieto di indossare mascherine durante le proteste nei campus, l’immediata segnalazione alle autorità federali degli studenti stranieri che commettono violazioni della condotta, la revisione dei programmi accademici attraverso l’assunzione di consulenti esterni approvati dal governo.
Richieste “senza precedenti” per il presidente di Harvard, che le ha rispedite al mittente a costo di perdere sovvenzioni pluriennali per oltre due miliardi di dollari. Una scelta diversa da quella fatta invece a marzo dalla Columbia University di New York, altra università di grande pregio e storia, che aveva invece ceduto alle richieste dell’amministrazione repubblicana.
In difesa di Harvard si è schierato un ex studente dal cognome pesante, l’ex presidente Usa Barack Obama. “Harvard ha segnato un esempio per altre istituzioni, rifiutando un illegale e pericoloso tentativo di soffocare la libertà accademica“, ha scritto in un post l’ex presidente degli Stati Uniti.
Per Obama la sua Alma mater, dove ha frequentato la Law School, ha “adottato passi concreti per garantire che tutti gli studenti possano beneficiare di un ambiente di ricerca intellettuale, dibattito rigoroso e reciproco rispetto”. “Speriamo che altre istituzioni seguano il suo esempio”, ha concluso Obama in quello che è a tutti gli effetti un appello alla resistenza contro le ingerenze dell’amministrazione Trump.